venerdì 23 dicembre 2022

1971. La storia di Elena. 15. L’ospedale. L’Annunciazione

Arrivato nella piazza dell’ospedale universitario, Orvostudományegyetem, era già imbarazzante la scritta sul frontone della facciata principale, la vidi io stesso, con gli occhi miei[1], mentre con il suo incedere elegante si avvicinava al grande cancello d’ingresso: la candida veste e la bianchissima pelle risplendevano al sole che, sviluppatosi dalla caligine opaca, restituiva i colori alle persone e alle cose.
  La luce del dio faceva brillare  quell’incarnato bianchissimo, ne potenziava lo spendore e l’incanto.
Il cielo mi appariva di limpidezza meravigliosa.  Nelle aiuole ardevano fiori d’oro. 
I capelli corvini della chioma ondeggiante, le screziavano la pelle e il vestito con pennellate di nero luminoso, come l’ombra meridiana degli alberi variegava il verde vivo dell’erba di chiazze dense, scure, brillanti.
I binari del tram riverberavano i dardi luminosi del sole.
Tutto sfolgorava di bellezza e di gioia, tutto imprimeva un moto allegro e vivace al mio sangue che pulsava rinato nelle vene del corpo e della mente resuscitata. Lucidi torrenti scorrevano fuori e dentro di me.
Tutto era tornato vivo,  bello,  ricco di significato.
Il sole, amico della bellezza, donava gocce d’oro, e aveva fatto fuggire nelle caverne le orrende creature della notte. La felicità aveva restituito alla madre terra le sue trecce verdi.
Ogni deformità era sparita. La natura si riapriva, pullulava di vita.
La raggiunsi e le chiesi se potevo aiutarla.
Il petto le sfavillava e fluttuava ad ogni passo.
Rispose direttamente e semplicemente “sì”, non senza un sorriso di gratitudine, poi spiegò che si era mossa da sola perché dopo le ore di scuola non mi aveva visto arrivare, ma sperava che l’avrei raggiunta presto, siccome continuava a pensare che il mio aiuto le sarebbe stato prezioso.
Le dissi che l’avevo aspettata sul prato che separa e unisce i collegi, poi l’avevo cercata con una certa apprensione, ed ero felice di averla trovata e di potere aiutarla. Avevo un’aria pia, protettiva, quasi materna.
Così entrammo insieme, prima nel giardino del complesso ospedaliero, poi nella “Clinica delle donne pregnanti e malate” dove un medico nero ci disse in ungherese che la signora aspettava un bambino.
Disse anche “ambulantia” che significa “ambulatorio”, ma Elena credette che significasse “autoambulanza” a mi supplicò di portarla con l’automobile mia . Glielo assicurai senza chiarire l’equivoco perché mi sembrava inutile, e anche, a dire il vero, e la cosa non mi fa onore, per aumentare la mia importanza. Residui di calcolo meschino.
Comunque la nostra intesa non decrebbe, anzi aumentò.
Mentre uscivamo, osservai una statua situata vicino all’ingresso. Non so quale luminare della medicina di Debrecen rappresentasse, ma la interpretai come un’immagine del dio Priapo, un dio davvero grande e importante[2],  che ammiccava lascivo. Accipio omen gli dissi con aria da maschio vicino al trionfo. Sentivo che Cloto aveva impiegato fili forti per tessere la trama della mia vita. E pure quella di Elena.

 
Bologna 24 dicembre 2022 ore 12, 09

p.s.
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Ieri sera ero a cena da amici ma passerò da solo almeno i prossimi tre giorni.
Non me ne dolgo. Mi sono messo in testa che le feste passate da solo fanno parte del mio metodo e del mio destino. Da quando ho preso la strada di non sposarmi, non fidanzami, non assicurarmi sessualmente né sentimentalmente,  bensì quella di cercare amanti diversamente impegnate o incommensurabilmente distanti, ho messo in conto che le feste comandate, quelle delle famiglie riunite, le avrei passate da solo. Non me ne dolgo:  è la mia vita, la strada e il metodo della mia vita e non ne voglio una diversa, quella dei cenoni e veglioni o del gioco dell’oca nelle sere dei dì delle feste invernali. Non è roba per me. Se c’è un bel film qui a Bologna magari questa sera ci andrò, poi lo commenterò. Oppure leggerò e scriverò. Questi sono i miei compiti, questa è la mia vita e spero che duri. Questa notte ho perso un poco di sangue dal naso. Ne ho avuto paura. Ho temuto che venisse dal mio cervello del quale ho una certa stima.
Ma presto il sangue è finito e la paura è passata.
Andrò in bicicletta. Spero di continuare così.
Buon Natale a voi che mi leggete
Baci
gianni
 
 


[1] Cfr Satyricon,  48, 8 "nam Sybillam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: "Sivbulla tiv qevlei" ;" respondebat illa: "  jApoqanei'n qevlw" . Infatti la Sibilla di sicuro a Cuma l'ho vista io stesso con i miei occhi sospesa in un'ampolla, e dicendole i fanciulli:'Sibilla, cosa vuoi?' rispondeva lei.'morire voglio'.
[2] E’ il dio dell’erezione,  per chi ancora non lo sapesse e invece di pregarlo dalla mattina alla sera, prende il viagra

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