Esistono elogi entusiastici dell'amore e addirittura del matrimonio purché l’unione comporti la fusione delle due anime. Si tratta di passare dall'Amore Volgare a quello Celeste, dal matrimonio di convenienza, o di libidine, a quello di intesa.
La distinzione risale al Simposio il dialogo platonico sull'amore composto presumibilmente fra il 387 e il 377 ma ambientato nel 416 in casa di Agatone il giorno dopo che il drammaturgo ha vinto l'agone poetico con la sua prima tragedia. E' una gara oratoria tra sette uomini di alta e insigne personalità più una donna estranea al convito : la sacerdotessa Diotima di Mantinea, la "celebre professoressa dell'amore" (R. Musil, L'uomo senza qualità, p. 86) che ha istruito Socrate. Ed è proprio il maestro di Platone "colui che riporta la vittoria nell'agone oratorio, una vittoria che val più dell'applauso tributato il giorno prima ad Agatone da più di trentamila spettatori nel teatro (Symp. 175e)"( W. Jaeger, Paideia 2, p. 302).
Il tema è l'elogio di Eros. I sette personaggi che dialogano rappresentano figure emblematiche delle differenti correnti della cultura europea. Quello che ci interessa è il discorso di Pausania (180 c 4-185 c 3): Amore non è unico ma duplice come Afrodite: c'è un Eros Uranio o Celeste, compagno di Afrodite Urania, figlia del Cielo, e c'è un Eros Pandemio, Volgare, legato ad Afrodite Pandemia figlia di Zeus e Dione. Soltanto l'amore celeste deve essere elogiato. Quello volgare infatti ama i corpi più delle anime e si volge tanto ai fanciulli quanto alle donne; inoltre agisce a casaccio senza tendere al bene. Chi segue Eros Celeste invece ama l'anima più che il corpo, e tende al perfezionamento dell'amato.
Leopardi nella Storia del genere umano sostiene che il massimo della felicità e della forza amorosa è concessa da "Amore, figliuolo di Venere Celeste". E spiega:" Quando viene in sulla terra sceglie i cuori più teneri e più gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio; diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti nobili e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa del tutto nuova nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine. Rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un medesimo tempo e inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue; benché pregatone con grandissima istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli consente di compiacergli, trattone alcuni pochi; perché la felicità che nasce da tale beneficio è di troppo breve intervallo superata dalla divina. A ogni modo, l'essere pieni del suo nume vince per sé qualunque più fortunata condizione fosse in alcuno uomo ai migliori tempi".
Il passaggio dall' amore Pandemio o Volgare a quello Uranio o Celeste viene sentito e dichiarato dal passionale Dimitri Karamazov:"questo amore mi tortura, mi tortura! (...) Prima, mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo[1] corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un uomo!"[2].
C'è una versione latina di questa trasfusione di anime che, pur se prelude a un tradimento, rievoca in endecasillabi faleci una notte d'amore, omosessuale oltretutto, comunque con una delicatezza e una profondità degna della migliore poesia amorosa :"qualis nox fuit illa, di deaeque,/quam mollis torus. haesimus calentes/et transfudimus hinc et hinc labellis/errantes animas. valete, curae/mortales. ego sic perire coepi " (Satyricon, 79, 8), che notte fu quella, dei e dee, che morbido letto. ci stringemmo ardenti e ci trasfondemmo con le labbra a vicenda le anime deliranti. addio, affanni mortali. così io cominciai a morire.
Si tratta dell'amore tra Encolpio e Gitone insidiato del resto da Ascilto.
Anche quando non si arriva alla fusione, l'accordo e l'intesa costituiscono la forza e la coesione inscindibile della coppia.
Nell'Andria di Terenzio, Panfilo, parlando con Miside, la serva dell'amata Glicerio, le fa sapere che non la abbandonerà:" conveniunt mores . Valeant/ qui inter nos discidium[3] volunt: hanc nisi mors mi adĭmet nemo "(696-697), i nostri caratteri vanno d'accordo. Vadano a farsi benedire quelli che vogliono una rottura tra noi: questa non me la strapperà nessuno tranne la morte.
Similmente Kierkegaard afferma:" sincerità, apertura di cuore, rivelarsi, intendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le quali cose esso è contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale, perché così si separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale (...) L'intesa, ecco dunque il principio vitale del matrimonio"[4].
Analoga riflessione (sempre a proposito del matrimonio) si trova in Svevo:"Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"[5].
Sentiamo infine Nietzsche. Il matrimonio come lungo dialogo. In procinto di contrarre un matrimonio bisogna porsi la domanda: credi tu, di poter ben conversare fino alla vecchiaia con questa donna? Ogni altra cosa nel matrimonio è transitoria, mentre la maggior parte del tempo della vita comune è presa dalla conversazione”[6]
Mentalità agonistica dei Greci.
“Gli artisti greci, per esempio i tragici, poetavano per vincere; tutta la loro arte non è pensabile senza gara: la buona Eris esiodea, l’ambizione dava le ali al loro genio”[7].
Esiodo distingue una Eris (contesa) cattiva da un’altra buona (Opere, 14 e sgg.): questa sta alla base del progresso umano e sveglia al lavoro anche l'ozioso: grazie a lei il vasaio è sdegnato con il vasaio-kerameu;" keramei' kotevei-, il mendico invidia il mendico, e l'aedo l'aedo ( kai; ptwco;" ptwcw'/ fqonevei kai; ajoido;" ajoidw'/, v. 26).
Quella cattiva fa crescere la guerra.
“Poiché il voler vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più antico e originario di ogni stima e gioia di uguaglianza. Lo Stato greco aveva sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo l'ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica, lo Stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione interna”[8].
Nell’Edipo re di Sofocle il coro prega dio perché alla guerra possa succedere una competizione incruenta: la nobile gara democratica e ginnica, benefica per la città.
Leggiamo la prima antistrofe, vv.873-882 del secondo stasimo di questa tragedia:
"La prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/se si è riempita oltre misura senza ragione di molti orpelli/che non sono opportuni e non convengono/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa dove non si avvale di valido piede./La gara benefica per la città,/prego dio di non/interromperla mai;/dio non cesserò mai di averlo patrono".-
La volontà di primeggiare non manca nemmeno nella guerra del resto
Il motto del combattente omerico è "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn" (VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri. Lo raccomandano i padri ai figli (nel sesto canto dell’Iliade, il licio Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo Peleo ad Achille (v. 784).
Bologna 30 dicembre 2022 ore 19, 20
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[1] Di Gruscenka.
[2]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov (del 1880), parte quarta, libro undicesimo, capitolo quarto L’inno e il segreto.
[3] discidium , dal verbo scindere , significa lo spezzarsi, o il taglio (cfr. discindere, tagliare) di un filo troppo teso in due parti i cui capi si possono riannodare; mentre il divortium implica il volgersi altrove (divertere ) e non incontrarsi più.
[4]Enten-Eller (Aut-Aut) , Validità estetica del matrimonio , trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p. 163 del Tomo Quarto.
[5] Una vita , p. 208.
[6] Umano, troppo umano, I, parte settima, La donna e il bambino, 406
[7] Umano, troppo umano I, parte quarta Dell’anima degli aristi e degli scrittori, , 170
[8] Umano, troppo umano II, Parte seconda, Il viandante e la sua ombra, 226.
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