Abbiamo visto che l'aristocratico di Nietzsche è capace di solitudine.
Questo è un topos rovesciato rispetto all’Ateniese di età classica, quello della tragedia, il quale, viceversa, soffre la solitudine
“C’è da dir male anche di chi soffre per la solitudine-io ho sempre e soltanto sofferto per la moltitudine”[1].
“Dal paese dei cannibali. Nella solitudine il solitario divora se stesso, nella moltitudine lo divorano i molti. Ora scegli”[2].
“I solitari come me debbono abituarsi lentamente anche alle persone che hanno più care: sia quindi indulgente con me su questo punto, o meglio, mi venga un poco incontro![3]”
Il solitario è talora restio a raccontare
Prometeo comincia il suo racconto con queste parole: “
"doloroso è per me raccontare queste cose (ajlgeina; me;n moi kai; levgein tavde),/ma doloroso è anche tacere (a[lgo~ de; siga'n), e dappertutto sono le sventure"( Prometeo incatenato, vv. 197-198).
Due versi questi, usati come epigrafe da Giuseppe Berto per il suo Il male oscuro (1964) che racconta la terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”. Il racconto infatti è doloroso e pure terapeutico.
Così Enea racconta a Didone la distruzione di Troia: “Infandum, regina, iubes renovare dolorem…Sed si tantus amor casus cognoscere nostros/et breviter Troiae supremum audire laborem,/quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,/incipiam” (Eneide, II, 3, 10-13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile…ma se tanto grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve l’estrema agonia di Troia, sebbene l’animo rabbrividisca a ricordare e rifugga dal pianto, comincerò.
Ma può accadere anche il contrario
Nella Tebaide di Stazio (45-96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare per gli infelici e rievocare le pene antiche.
La Medea di Euripide lamenta il proprio isolamento parlando con le donne corinzie del Coro:" Però non proprio lo stesso discorso va bene per te e per me;/tu hai questa tua città e la casa paterna/ e un vantaggio nella vita e compagnia di amici,/io, poiché sono isolata[4] e senza città[5], devo subire oltraggi/dall'uomo, dopo essere stata rapita da una terra barbara/senza avere la madre, né un fratello, né un congiunto/ per trovare un ancoraggio fuori da questa sventura" (vv. 252-258).
Per l'uomo ateniese che viveva nella povli" la solitudine è una condizione innaturale :"benché si muovesse liberamente, l' individuo restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali, nello stato, nella famiglia, nel fato "[6].
Filottete[7] , abbandonato nell'isola di Lemno, si lamenta e vedendo dei Greci chiede compassione per sé, uomo infelice (a[ndra duvsthnon) solo (movnon), abbandonato e senza affetti (e[rhmon...ka[filon , Filottete, vv. 227-228).
L'abitudine e il desiderio di stare soli sono condannati come disumani da Omero nella figura mostruosa del Ciclope[8] e da Menandro[9] nel Duvskolo" dove Cnemone[10] è definito uomo disumano assai (Knevmwn, ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo" sfovdra", v. 6).
Più avanti però, con la degenerazione brutale dei rapporti umani, con la trasformazione delle persone in turba, folla, diventerà non solo dignitoso ma necessario rimanere soli.
Seneca, tornato dal Circo dove ha assistito a mera homicidia , omicidi veri e propri, scrive:" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui "(Ep. 7, 3), torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini. Il consiglio allora è:"recede in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).
In altri tempi C. Pavese scrive :"Maturità è l'isolamento che basta a se stesso"[11]. E più avanti (15 ottobre, 1940):"Ci sono servi e padroni, non ci sono uguali. La sola regola eroica: essere soli soli soli". Quindi:"Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate le compagnie-torna la feroce gioia, il refrigerio di essere solo. E' l'unico vero bene quotidiano" (25 aprile 1946).
E' pur vero che questo nostro autore si uccise il 18 agosto del 1950.
Sentiamo un altro elogio della solitudine: “ Io ho sempre sofferto di più per il contatto con gli esseri umani, per la vita di società che non per la solitudine vera e propria. Fino a un certo punto della nostra vita la solitudine ci sembra una punizione, ci sentiamo come bambini lasciati soli in una stanza buia mentre in quella accanto gli adulti chiacchierano e si divertono. Un giorno anche noi diventiamo adulti, e scopriamo che la solitudine, quella vera, scelta consapevolmente, non è una punizione, e nemmeno una forma morbosa e risentita di isolamento, né un vezzo da eccentrici, bensì l’unico stato davvero degno di un essere umano”[12]. Con la maturità ci rendiamo conto per giunta che quanti chiacchierano non si divertono.
“Là dove la solitudine finisce, comincia il mercato; e dove il mercato comincia, là comincia anche il fracasso dei grandi commedianti e il ronzio di mosche velenose”[13].
Sentiamo l’esteta decadente Des Esseintes: “Non meno d’un monaco, sentiva un’immensa stanchezza, il bisogno di raccogliersi, il desiderio di non aver più nulla in comune col prossimo; composto ai suoi occhi di profittatori e di imbecilli”[14].
La solitudine è una condizione necessaria, strutturale per l'artista il quale ha bisogno di un punto di vista esterno da cui "rappresentare l'umano senza prendervi parte", come Tonio Kröger [15] di Thomas Mann:" E' necessario essere qualcosa di extraumano, d'inumano, è necessario trovarsi, rispetto all'umano, in una situazione stranamente lontana e neutrale, per essere in grado e anzi solo per sentirsi tentati di farne oggetto di rappresentazione, di giuoco, per raffigurarlo con gusto e con efficacia"[16].
Un’amica di Tonio, Lisaweta, lo definisce “un borghese smarrito- einen verrirten Bürger (IV parte). Infine l’intellettuale, l’artista Tonio trova il compromesso tra la vita artistica e quella borghese: tra la grande bellezza demoniaca bellezza- der groβen , der dämonischen Schönheit (IX parte) e l’amore per l’umanità.
Nella conclusione di questo romanzo breve l’artista riconosce che “se qualcosa è realmente in grado di fare di un letterato un poeta, è appunto questo mio borghese amore per l’umano e il vivo e l’ordinario. Ogni calore, ogni bontà, ogni sorriso proviene da esso e quasi mi sembra che sia quel medesimo amore del quale è scritto che chi ne fosse privo, anche se sapesse parlare tutte le lingue degli uomini e degli angeli, altro non sarebbe che un rame risonante e un tintinnante cembalo"[17].
Bologna 28 ducembre 2022 ore 11, 30
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[1] Ecce homo, Perché sono così accorto, 11.
[2] Umano, troppo umano II, prima parte 348
[3] Lettera a Lou Salomé del 28 maggio 1882
[4] e[rhmo" (v. 255): l' aggettivo a due uscite torna, sempre riferito a Medea, al v. 513 (fivlwn e[rhmo", su;n tevknoi" movnh movnoi" , priva di amici, sola con i figli soli) e al v. 604.
[5] a[poli" (v. 255): per un Greco, o per uno che viva in mezzo ai Greci, essere apolide è una tragedia. Sofocle nell'Antigone coniuga la mancanza di città con la carenza di bellezza:"e le leggi della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è grande nella città (uJyivpoli"); bandito dalla città (a[poli" ) è quello con il quale /coesiste la bruttura (to; mh; kalo;n) per la sfrontatezza./Non mi stia accanto sul focolare/né abbia lo stesso pensiero/chi compie queste azioni" (vv. 368- 375).-
[6]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Secondo, p. 24 e p. 30.
[7] La tragedia è del 409 a. C.
[8] I Ciclopi non hanno assemblee per consigliarsi né leggi ma vivono sulle cime di alti monti in caverne profonde, ognuno governa i figli e le donne e non si curano l'uno dell'altro (oujd j ajllhvlwn ajlevgousi, Odissea, IX, 112-115).
[9] 342-291 a. C.
[10] Il quale, come vede Sostrato davanti alla porta di casa sua, invoca il suo bene supremo:
"non è possibile ottenere la solitudine da nessuna parte!"( ejrhmiva" oujk e[stin oujdamou' tucei'n, v.169). Sembra un'anticipazione del monachesimo.
[11]Il mestiere di vivere , 8 dicembre 1938.
[12] S. Márai, La donna giusta, p. 158.
[13] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Delle mosche del mercato.
[14] J. K. Huysmans, Controcorrente (del 1884) p. 77.
[15] Del 1903.
[16]Tonio Kröger , (IV parte)
[17] Tonio Kröger (IX parte) T. Mann cita la prima Lettera ai Corinzi (13,1) di Paolo.
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