Una ragazza di “buona famiglia”, bella intelligente e infelice, entra in una scuola di recitazione dove trova sesso, droga, il rischio di malattie mortali e pure un amore tragico. L’attrice molto brava è l’altera ego della regista.
Questa ragazza viene risparmiata dal fuoco celeste che punì le due città nella Bibbia. Sarà poco bellina? Lo diceva mia nonna Margherita della sua nipote omonima. Ripeto, siffatta domanda retorica sull’attrice protagonista che non per caso ha la madre finlandese. Infatti mi è piaciuta assai.
Ora scrivo questo post per segnalare un episodio sul tipo di quello biblico avvenuto a Roma, nel secondo decennio del secondo secolo a. C.
Invece del fuoco celeste ci fu una repressione manu militari dei riti bacchici presentati da Tito Livio come manifestazioni di una prava religio.
Sentiamo dunque lo storiografo caro ad Augusto che voleve ripristinare gli antiqui mores e avrà gradito questa condanna totale della “religione depravata” venuta dall’est.
I Baccanali. Una prava religio, religione depravata.
Secondo Tito Livio la religio seguita da Camillo è santa, mentre sono turpi i Baccanali venuti a Roma dall’Etruria attraverso la mediazione di un Graecus ignobilis (39, 8). “Huius mali labes ex Etruria Romam veluti contagione morbi penetravit.” (39, 9), la vergogna di questo male penetrò a Roma dall’Etruria come per il contagio di un morbo.
Nel 186 a. C. il console Postumio fece un’indagine e la schiava Ispala rivelò che si trattava di riunioni notturne promiscue: “nihil ibi facinoris, nihil flagitii praetermissum. Plura virorum inter sese quam feminarum esse stupra. Si qui minus patientes dedecoris sint et pigriores ad facinus pro victimis immolari. Nihil nefas ducere, hanc summam inter eos religionem esse” (39, 13), nessun misfatto, nessuna turpitudine lì erano omessi. I connubi vergognosi tra maschi erano più frequenti che con le donne. Se alcuni erano meno meno disposti a subire il disonore ed erano troppo restii ai misfatti venivano sacrificati come vittime. La perfetta iniziazione era non considerare nulla come illecito.
“Fas è la parola divina[1], simile a quella che si esprime nel fatum o "destino"; fas è il "diritto divino" e violarlo appunto è nefas[2].
"Il fas sta scritto direttamente nella natura. Esso costituisce la regola che prescrive di non commettere certe azioni di particolare gravità, la cui mostruosità è fuori discussione”[3].
Nelle Phoenissae di Seneca l'incesto del figlio con la madre è maius nefas rispetto all'assassinio del padre: "nullum crimen hoc maius potest natura ferre" (vv. 271-272), nessun delitto più grande di questo può comportare la natura.
L’incesto è il delitto che l’ombra di Laio maledice sopra tutti :"maximum Thebis scelus- maternus amor est "(Seneca, Oedipus, vv.627-628), il delitto più grande a Tebe è l'amore per la madre.
Ma torniamo a Tito Livio e ai Baccanali di Roma.
Il console Postumio riferì in senato e i senatori affidarono ai consoli “quaestionem deinde de Bacchanalibus sacrisque nocturnis extra ordinem” (39, 14), l’inchiesta sui Baccanali e i riti notturni con mandato straordinario.
Quindi Postumio convocò l’assemblea popolare e, salito sulla tribuna (rostrum) informò il popolo. Disse che gli strepiti e gli ululati notturni avevano già fatto avvertire il fenomeno diffuso in tutta Italia ma ancora non ne era conosciuta la turpitudine: “Primum igitur mulierum magna pars est, et is fons mali huiusce fuit; deinde simillimi feminis mares stuprati et constupratores fanatici, vigiliis, vino, strepitibus clamoribusque nocturnis attoniti” (39, 15), dapprima dunque la parte grande la fanno le donne, e tale è la fonte di questo male; poi maschi del tutto simili alla femmine, violentati e violentatori invasati, intontiti dalle veglie, dal vino, dalle urla e dai clamori notturni.
Anche in questo caso fa parte dell’ u{bri" la negazione del principium individuationis: i maschi non si distinguono più dalle femmine.
La setta non ha ancora grandi forze ma le acquisterà “quod in dies plures fiunt”, poiché aumentano di giorno in giorno. I ragazzi vengono iniziati giovanissimi e da tale gioventù non si possono ricavare dei soldati. La forza dell’esercito, la sua disciplina, altro valore che entra nella sfera del fas, spariranno dunque con la santità della pudicitia: “Hi cooperti stupris suis alienisque pro pudicitia coniugum ac liberorum vestrorum ferro decernent?” (39, 15), questi coperti delle vergogne sessuali proprie e altrui, combatteranno per la pudicizia delle mogli e dei figli vostri?
Ecco che le orge bacchiche mettono in crisi alcuni valori forti della repubblica. Il contagio di tali turpitudini è pericoloso: “Nihil enim in speciem fallacius est quam prava religio. Ubi deorum numen praetenditur sceleribus, subit animum timor ne fraudibus humanis vindicandis divini iuris aliquid immixtum violemus (39, 16), niente infatti è più ingannevole per l’immaginario di una religione depravata. Quando la potenza degli dèi diviene pretesto di delitti, subentra nell’animo il timore che nel reprimere le colpe umane si violi qualche cosa del diritto divino confuso con esse.
I culti stranieri sono stati tradizionalmente proibiti poiché niente dissolve la vera religio “quam ubi non patrio sed externo ritu sacrificaretur”, tanto quanto laddove si sacrifica non secondo i riti tradizionali ma quelli stranieri.
Si pensi alla posizione dei leghisti padani nei confronti della religione musulmana. Si pensi viceversa al relativismo erodoteo: ogni popolo ha il diritto di conservare la propria cultura.
Bisogna dunque abbattere le sedi dei Baccanali, disperdere i “nefarios coetus”, le nefaste congreghe di tali streghe e profeti depravati.
Dopo questa assemblea, si diffuse il panico tra i seguaci della nuova religione. Molti tentarono di fuggire, ma furono arrestati dalle guardie poste alle porte, alcuni si uccisero. “Coniurasse supra septem milia virorum ac mulierum dicebantur” (39, 17), si diceva che i congiurati fossero più di sette mila. Si trattava dunque di una vera e propria congiura contro la civiltà.
Quindi i consoli furono incaricati della demolizione dei locali “In reliquum deinde senatus consulto cautum est ne qua Bacchanalia Romae neve in Italia essent ” (39, 18), per il futuro quindi con un decreto del senato si provvide che né a Roma né in Italia ci fossero i Baccanali.
Nella Casina di Plauto, la sua ultima commedia, scritta nel 186, si trova un’eco di questa vicenda: quando Mirrina, amica di Cleostrata la madre adottiva della trovatella Casina, fanciulla del caso, sbugiarda il vecchio Lisidamo che giurava di essere stato depredato di un mantello dalle Baccanti: “Nugatur sciens. Nam ecastor nunc Bacchae nullae ludunt ” (v. 980), vuole dartela a intendere e lo sa.
Infatti i giochi delle Baccanti si sono chiusi.
Torniamo un attimo al film. Nel 1986 ero meno giovane dei ragazzi rappresentati nella Sodoma del film. Avevo magari l’età dei loro maestri. Infatti insegnavo. Non ho mai fatto uso di droghe, tranne uno moderato di alcol. Tuttavia ho fruito della libertà sessuale pur senza arrivare a quella omosessuale né esserne stato tentato.
La libertà sessuale ha contribuito a fare di me un uomo, l’uomo che sono, non un granché, per carità, però me stesso non un altro posticcio, e dunque non ne sono pentito. In conclusione depreco le droghe come violenza inflitta a se stessi e ogni violenza inflitta al prossimo.
Il resto invece: la diffusa socialità e pure la licenza amorosa è stata una liberazione anche intellettuale, culturale e umana. Quindi la approvo e la rimpiango nei suoi anni più belli: gli ultimi del decennio Sessanta e i primi anni Settanta. Chi ha letto la mia narrativa sa come erano allora i rapporti umani.
Poi è subentrata la decadenza con la depravazione dei rapporti umani. Ma chi ha vissuto in pieno e umanamente quegli anni ne porta ancora impresso lo stampo, il carakthvr, il conio, il segno distintivo. Quorum ego.
Bologna 6 dicembre 2022 ore 11, 15
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Cfr. P. Cipriano, Fas e nefas, Università degli Studi di Roma, Istituto di Glottologia, Roma 1978.
[2] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, II, pp. 348-349. Per la differenza tra fas e ius cfr. Servio in Georgica, I, 269:" (…) ad religionem fas, ad homines iura pertinent".
[3] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 257.
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