NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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sabato 30 novembre 2024

Metodologia 14. 2. Argomento principale la guerra.


 

Un tovpo" può avere due o più aspetti. La mutatio locorum. La religione. L’economia. L’ossimoro “guerra santa”. Euripide (Ifigenia in Aulide).  La guerra fatta di propaganda: Alessandro Magno e Dario III in Curzio Rufo. Il console Claudio Nerone prima del Metauro.

La propaganda contro la guerra: Omero, Eschilo, Visconti (film Senso), E. Fromm (Anatomia della distruttività umana), Sofocle, Empedocle, Aristofane (Acarnesi e Pace), Euripide (Troiane, Elena, Oreste), Christa Wolf, Virgilio, Orazio, Tibullo, Curzio Rufo.

 

  Un topos può essere interpretato in modi diversi, magari dal medesimo autore: abbiamo già accennato ai due diversi imperialismi di Tacito; un esempio più netto  è quello della mutatio locorum  che secondo Orazio[1] e Seneca[2] è inutile, mentre per  Ovidio[3] e per Properzio[4] è uno dei Remedia amoris.

Un tovpo" ambivalente riguarda la religione che può essere interpretata come strumento di regno (Crizia, Polibio, Curzio Rufo, Machiavelli)[5], ovvero come causa di crimini (Lucrezio), oppure come salvezza dell’umanità (Sofocle).

Con una bella sintesi T. Mann definisce la religione:" il senso e il gusto dell'infinito"[6].

L’economia, da alcuni autori e personaggi della letteratura, è considerata l’antitesi della religione, o perfino dell’umanesimo inteso come amore per l’uomo : " E poi viviamo in un’epoca economica: l’economia è  il carattere storico del nostro tempo… Nell’economia si vede sempre più la mancanza dell'infinito"[7].

“Voi Italiani avete inventato i cambi e le banche, che Dio ve la perdoni, ma gli Inglesi inventarono la dottrina economica, cosa che il genio dell’uomo non potrà mai perdonare…I Padri della Chiesa hanno condannato le parole “mio” e “tuo”, hanno dichiarato usurpazione e ladrocinio la proprietà privata…Essi erano sufficientemente umani, sufficientemente antiaffaristici da chiamare l’attività economica un pericolo per la salvezza dell’anima. Odiarono il denaro e il traffico del denaro, chiamando la ricchezza capitalista tizzone d’inferno…essi chiamarono usura ogni speculazione e dichiararono ogni ricco: ladro o erede di un ladro. Oh, arrivarono molto in là. Come Tommaso d’Aquino, videro nel commercio in generale, nel puro traffico commerciale, nel comprare e vendere, insomma nel trarre vantaggio da una circostanza che non implica la lavorazione e il miglioramento del patrimonio trafficato, un atto riprovevole”[8].

“Per quanto parli di economia, il nostro tempo è un dissipatore: sperpera la cosa più preziosa, lo spirito”[9].

Leopardi in Il pensiero dominante  condanna l’ossessione dell’utile da parte della sua età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59-64).

Ancora più duramente si esprime nei confronti del lucro  il poeta di Recanati nella Palinodia al Marchese Gino Capponi :" anzi coverte/fien di stragi l'Europa e l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61-67).

 

La guerra, viene generalmente maledetta, ma non manca l’ossimoro “guerra santa”: Alessandro Magno per stimolare i suoi soldati stanchi dopo la conquista della Partia e l’uccisione di Dario III da parte del fellone Besso (330 a. C.), arringa la truppa sostenendo che i Persiani saranno più obbedienti al nuovo re, lo stesso Alessandro, se il satrapo della Battriana, l’infame traditore del suo re, verrà inseguito e punito: essi capiranno : “vos pia bella suscipere[10] che voi vi sobbarcate una guerra santa. Quindi i soldati entusiasti, lo invitarono a condurli dove voleva[11].

Santa è anche la guerra che Agamennone deve condurre contro Troia, secondo la figlia primogenita che pure deve dare la vita per  la partenza dell’armata.  L'Ifigenia in Aulide fu scritta negli ultimi anni di vita di Euripide[12] quando Ciro il Giovane:" parei'ce crhvmata Peloponnhsivoi" ej" to; nautikovn"( Tucidide, II, 65, 12)  forniva ai Peloponnesiaci il denaro per la flotta. Questo fatto, che segnò la fine della grande guerra tra i Greci, provocò la chiamata a raccolta di tutte le energie contro i Persiani da parte del tragediografo. Nell'Ifigenia in Aulide  dunque la ragazza, in un impeto di patriottismo, proclama la necessità della guerra santa contro i barbari di Oriente, identificabili con i Persiani da parte del pubblico ateniese, e si offre come prima combattente e prima vittima in uno scontro, giusto e necessario, fra civiltà: “"offro il mio corpo per l'Ellade. Sacrificatelo, espugnate Troia. Questo sacrificio infatti sarà il mio monumento duraturo, questi i figli, le nozze e la gloria. E’ naturale che i Greci comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi" (vv. 1397-1401).

 

Spesso la propaganda e perfino l’astuta chiacchiera pubblicitaria vengono spacciate come discorsi liberi fatti di parole franche e disinteressate.

 

La guerra, allora come ora, era fatta pure di propaganda e i duci ne erano consapevoli. Alessandro Magno, dopo la scoperta della seconda congiura: quella “dei paggi”[13] affermò che ricevere il nome di figlio di Giove aiuta a vincere le guerre: “Famā[14] enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit” ( Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni,  8, 8, 15), le guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità[15].

 Dopo la conquista della rupe di Aorno (326 a. C.) Alessandro magnae victoriae speciem fecit[16], creò l’apparenza di una grande vittoria con sacrifici e cerimonie in onore degli dèi.

Nelle Storie di Livio, il console Claudio Nerone, in rapida marcia contro Asdrubale, che verrà sconfitto poco dopo, sul fiume Metauro (tra Fano e Senigallia, 207 a. C.) arringa brevemente i soldati dicendo: “Famam bella conficere, et parva momenta in spem metumque impellere animos” (27, 45), quanto si dice decide le guerre e circostanze anche piccole spingono gli animi alla speranza e alla paura.  

 

La propaganda contro la guerra.

Nella letteratura antica non mancano le maledizioni della guerra

Ne voglio riferire alcune perché i rischi che corriamo adesso  rendono non solo attuali ma anche necessarie queste deprecazioni.

Già nell'Iliade Zeus  dice ad Ares:"e[cqisto" dev moiv ejssi qew'n oi}   [Olumpon e[cousin (V, 890), tu per me sei il più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.

 Nel primo Stasimo dei  Sette a Tebe di Eschilo il Coro di ragazze tebane dissacra il dio della guerra: Ares  è un domatore di popoli che  infuriando soffia con violenza e contamina la pietà "mainovmeno" d j ejpipnei' laodavma"-miaivnwn eujsevbeian"(vv. 343-344).

Nell'Agamennone[17] Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d j  [Arh" swmavtwn" (v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori. Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in guardia gli Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano, anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri. La lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459-454) in cui fu impegnato il fiore delle forze ateniesi"[18].

In maniera analoga il tenente Mahler, il disertore austriaco amante della contessa adultera, del film Senso di Visconti  pone questa domanda retorica:"Cos'è la guerra se non un comodo metodo per obbligare gli uomini a pensare e ad agire nel modo più conveniente a chi li comanda?".

“Al soldato si era tradizionalmente cercato di inculcare il concetto che ubbidire ai suoi capi fosse un obbligo religioso e morale, che egli doveva adempiere a costo della vita…Ma vi sono altre motivazioni emozionali, più sottili, che rendono possibile la guerra”[19]. Vediamole in inglese, perché lo studio e la conoscenza delle lingue classiche non deve accompagnarsi all’ignoranza di tutte le moderne: “War is exciting, even if it entails risks for one’s life and much physical sofference. Considering that the life of the average person is boring, routinized, and lacking in adventure, the readiness to go to war must be understood as a desire to put an end to the boring routine of daily life-and to throw oneself into an adventure, the only adventure, in fact, the average person may expect to have in his life[20], la guerra è eccitante, perfino se implica rischi per la propria vita e grandi sofferenze fisiche. Considerando che la vita della persona media è noiosa, fatta di routine, e carente di avventure, la disposizione a partire per la guerra deve essere intesa come il desiderio di porre fine alla noiosa routine della vita quotidiana e di gettarsi in un’avventura, l’unica avventura, di fatto, che la persona media può aspettarsi nella vita.

 Il coro (di marinai di Salamina) dell’Aiace di Sofocle condanna la guerra e chi ha mostrato ai Greci la presenza universale di Ares dalle armi odiose : prima sarebbe dovuto sprofondare nel grande etere o nell’Ade (vv. 1192-1195). E’ un rifiuto indiretto di Omero educatore, almeno quale lo vede Eschilo personaggio delle Rane di Aristofane: il divino poeta, afferma il tragediografo, insegnò cose utili: schieramenti di eserciti, valore guerresco e armamenti di eroi. (v. 1035) .

La sofferenza delle donne per le guerre degli uomini è compianta dal Coro di vecchi Tebani nella Parodo dell' Edipo re: "La città muore senza tenere più conto di questi[21]/e progenie prive di pietà giacciono a terra portatrici di morte senza compassione,/ e  intanto le spose e anche le madri canute/di qua e di là, presso la sponda dell'altare/gemono supplici/per le pene luttuose"( vv. 179-185).   

Quindi  Ares viene deprecato dal religiosissimo autore come "il dio disonorato tra gli dei" ( ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn, v.215). Il dio è dissacrato poichè la guerra del Peloponneso dopo la morte di Pericle veniva condotta dal becero e sanguinario Cleone senza rispetto dell'etica eroica, delle consuetudini cavalleresche, e senza riguardo per l'umanità: Tucidide  nel dialogo senza didascalie del V libro fa dire dagli Ateniesi  ai Meli di non volgersi a quel senso dell' onore (aijscuvnhn, 111, 3) che procura grandi rovine agli uomini.

Empedocle[22] nel Poema lustrale   narra che gli uomini della primitiva età felice non avevano Ares come dio né il Tumulto della battaglia:"oujdev ti" h\n keivnoisin  [Are" qeo;" oujde; Kudoimov"", né Crono né Poseidone, ma solo Cipride regina (fr. 119, vv. 1-3). Inoltre non si bagnava l'altare con il sangue dei tori, ma si offriva mirra, incenso e miele, poiché per gli uomini era massima contaminazione (muvso~mevgiston, v. 9) divorare le membra staccandone l'anima (vv. 9-10)

Il protagonista degli Acarnesi[23] di Aristofane, fieramente avverso alla guerra, promette: "io non accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione del conflitto, visto come " un uomo ubriaco (pavroino" aJnhvr, v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986-987).

 Il pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché gli opliti spartani nella fase archidamica della guerra (431-421) ogni anno distruggevano  i raccolti dell’Attica.

  Respinto Polemos, arriva la Pace connessa alla festa, all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito, un paraninfo che offre a Diceopoli le carni del banchetto di nozze per avere una coppa di pace:" i[na mh; stratevouit  j ajlla; kinoivh mevnwn" (Acarnesi, v. 1052), al fine di non andare in guerra ma rimanere in casa a fare l'amore. Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei concittadini, non si commuove per lo sposo- non sposo, ma si adopera per la sposa: la donna non si merita di soffrire per la guerra (v. 1062). 

Nella seconda commedia pacifista di Aristofane (Pace del 421) la Festa per la pace (Qewriva)  odora di frutta, di conviti, del seno di donne che corrono verso la campagna (kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn, v. 536) e di tante altre cose buone.

Qui si racconta che gli dèi[24] si sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223). Intanto però il pestello (aJletrivbano" , v. 269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ bursopwvlh" , v. 270) che sconvolgeva l'Ellade, Cleone, è morto. Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni[25].

La pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo, il vecchio contadino ateniese che brama Irene e vuole liberarla : essa consente di navigare, rimanere dove si è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al cottabo, e gridare iù iù (vv. 341-345).

Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447-448). Alla fine questi riceveranno le pernacchie, mentre i contadini potranno tornare al lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che la Pace largiva: i pani di frutta secca, i fichi e i mirti, il dolce mosto, le viole accanto al pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La pace portava ai contadini la zuppa d'orzo verde e significava la salvezza (ci'dra kai; swthriva, v. 595) sicché le vigne e i teneri fichi, e quante altre piante vi sono, rideranno liete accogliendola. Segue nell'agone un'eziologia della guerra meno ridicola di quella presentata negli Acarnesi [26]:  Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci lacrimavano. Alla pace ritrovata conseguono progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate di cibo e orge sessuali: Teoria ha un culo da festa quinquennale e va molto bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è pronto:"tou' pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero. Quindi Trigeo cita due esametri omerici[27]:"è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra civile agghiacciante (vv. 1097-1098).

Ogni guerra degli uomini contro gli uomini è una guerra civile.

Nella II Parabasi  il Coro di contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[28] Trigeo gode nel vedere maturare viti precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella stagione! Di questo gode il contadino invece di essere arruolato ancor prima dei cittadini, e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero, che lui vende, può servire al massimo per pulire la tavola, e la corazza per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso, lei  ha la fica dolce ( th'~ d’ hJdu; to; su'kon, v.1352).  

 

Anche Euripide, che pure aizza spesso l'odio ateniese contro Spartani e Spartane, attribuisce a Poseidone una condanna delle devastazioni belliche nel prologo delle Troiane :"mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei' povlei", -naou;" te tuvmbou" q  j, iJera; tw'n kekmhkovtwn,-ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95-97), è stolto tra i mortali chi distrugge le città, gettando nella desolazione templi e tombe, sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.

Nell'Elena (vv. 37-40) e nell'Oreste (vv. 1640-1642) il tragediografo afferma che la guerra è un mezzo voluto dagli dèi per alleggerire il mondo oberato dalla massa troppo numerosa dei mortali.

Tale giudizio contro la guerra si trova anche alla fine dell’Elettra euripidea, quando Castore annuncia a Oreste che Elena sta arrivando, insieme con Menelao, dall'Egitto, dalla casa di Proteo, poiché a Troia non è mai andata, “Zeu;~ d  j,  wJ" e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n,- ei[dwlon JElevnh~  ejxevpemy j ej~  [Ilion ” ( Elettra, vv. 1282-1283),  ma Zeus mandò a Ilio un'immagine (ei[dwlon) di lei, affinché ci fosse guerra e strage dei mortali.

 

"Sì sì, lei non era qui". Dice di Elena la Cassandra  di Christa Wolf. E aggiunge:"Il re d'Egitto l'aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo. Lo sapevano tutti nel palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta"[29].

A proposito delle guerre ultime la Wolf ha definito G. W. Bush “più criminale di qualsiasi capo della D.d.r.”[30]

 

 

Ora passiamo in rassegna alcuni autori latini. 

 Virgilio nella prima Georgica  (v.511) depreca "Mars impius " che al tempo della guerra civile infuria dovunque, come nell'età del ferro. Orazio ricorda che le guerre, che pure a molti piacciono, sono esecrate dalle madri: “ bellaque matribus-detestata” (carm. 1. 1. 24-25), quindi  qualifica il dio Marte come torvus (carm. 1, 28, 17) e  cruentus (carm. 2. 14. 13).

Tibullo [31]attribuisce la colpa della guerra alla brama dell'oro:" Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? /Quam ferus et vere ferreus ille fuit!// Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,/tum brevior dirae mortis aperta via est.// An nihil ille miser meruit; nos ad mala nostra/vertimus, in saevas quod dedit ille feras?//Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes " (I, 10, 1-8), Chi per primo ha tirato fuori le orrende spade? Oh quanto feroce e davvero ferreo[32] fu quello! Allora la strage nacque per il genere umano, allora la guerra, allora più breve si è aperta la via della morte tremenda. Oppure quel disgraziato non ebbe colpa; ma noi volgemmo a nostro danno quello che egli ci diede contro le belve feroci?

 Questa è  colpa del ricco oro, e non c'erano guerre quando una coppa di faggio stava davanti alle vivande.  Non era ancora  l'età del business .

 

Curzio Rufo nota che durante la campagna di Alessandro Magno in India succedeva che gli assediati dessero fuoco alla loro città e gli assedianti cercassero di spegnere il fuoco: “adeo etiam naturae iura bellum in contrarium mutat” (Historiae Alexandri Magni, 9, 4, 7), a tal punto la guerra stravolge perfino le leggi di natura.

Questi e altri del genere sono biasimi e moniti che dobbiamo continuare a rivolgere ai promotori di guerre se non vogliamo essere loro complici.

 

 Mi sembra assolutamente opportuno ricordare tali giudizi sull'assurdità della guerra che viene imposta  agli uomini comuni, se non proprio dagli dèi, dall'alto dei palazzi del potere, affinché  i mortali poveri, servano a interessi che sicuramente non sono i loro.

 

Bololgna 30 novembre 2024 ore 21, 28 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Epistulae, 1, 11, 27-28.

[2] Ep., 69, 1.

[3] Remedia amoris, 224-225.

[4] Elegie, III, 21, 9-10.

[5] Per questo argomento cfr. il mio Mu'qo" kai; lovgo"  Loffredo, Napoli, 200, pp.543-547.

[6] Doctor Faustus, (1947)  p. 119.

[7] T. Mann, Doctor Faustus, p. 163 e p. 164.

[8] T. Mann, La montagna incantata, II, p. 41 e p. 67. E’ Naphta che parla.

[9] Nietzsche, Aurora, p. 130.

[10] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, VI, 3, 18.

[11] Curzio Rufo , op. cit. Vi, 4.

[12] Morto tra il 407 e il 405

[13] Avvenuta in Sogdiana, l’attuale Uzbekistan, nella primavera 327 a. C 

[14] Cfr. fhmiv. La gente non solo vive e mangia ma pure fa e interpreta la guerra seguendo il “si dice”. Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci secondo il "si dice".

[15] Cfr. Historiae Alexandri Magni, 3, 8, 7 dove  pure Dario, prima della battaglia di Isso (novembre 333),  dice “famā bella stare”. Come nelle Eumenidi di Eschilo, le parti in conflitto hanno un pensiero comune.

[16] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 8, 11, 24.

[17] Del 458 a. C.

[18] Storia dei Greci , II vol., p.91

[19] E. Fromm, Anatomia della distruttività umana, p. 269.

[20] The Anatomy of human destructiveness, pp. 241-242.

[21] Dei cadaveri. La peste è anche morale, dunque simboleggia pure la guerra.

[22] Fiorito intorno alla metà del V secolo.

[23] Del 425 a. C.

[24] Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.

[25] A chi potremmo paragonare questi due guerrafondai?

[26] Dove Diceopoli racconta che dei giovanotti ateniesi avvinazzati rapirono una prostituta megarese, e i Megaresi per rappresaglia ne sottrassero due ad Aspasia: di qui si scatenò per tutti il principio della guerra: per tre puttane (Acarnesi, vv. 524-529).

[27] Da Iliade 9, 63-64.

[28] Questa, hJliomanhv~ (Uccelli, 1096), va pazza per il sole, e non dà segni ambigui come la rondine.

[29]C. Wolf, Cassandra , p. 85.

[30] Ho trovato in la Repubblica del 27 aprile 2011 (p. 47) la citazione tratta da Un giorno in ogni anno, 2001-2011, nel nuovo secolo, Ein Tag im Jahr, 2001-2011, im neuen Jahrhundert,  appena uscito da Suhrkamp Verlag

[31]  Nato a Gabii o a Pedum , nel Lazio rurale fra il 55 e il 50 a. C., morto tra il 19 e il 18 a. C. Sotto il suo nome ci è giunto il Corpus tibullianum , tre libri di elegie. Sono sicuramente e autenticamente tibulliani i primi due che cantano l'amore per due donne, Delia e Nemesi. Il terzo libro che gli umanisti divisero in due parti è un' antologia di vari autori, compreso Tibullo. Quintiliano lo definisce tersus atque elegans maxime…auctor  (Institutio oratoria , X, 93), l'autore più elegante e raffinato, nel campo dell'elegia dove i latini possono sfidare i Greci.

[32]  Cfr. Erodoto:" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai" (I, 68, 4), il ferro è stato inventato per la rovina dell'uomo

 

giovedì 28 novembre 2024

Metodologia 14. 1. Altri topoi.


La condanna della tirannide, il diritto del più forte, l’imperialismo, l’ esecrazione del denaro e del potere. Seneca e Manzoni.

 Il biasimo dell’ uomo privo di bisogni spirituali. Fedro, Sallustio, Platone. La bellezza con semplicità. Eleganza priva di affettazione.

 

 

 Un tovpo" politico presente nella tragedia e nella storiografia greca e latina è quello che condanna la tirannide[1]. Esempi molto chiari si trovano in Erodoto e nella tragedia con i suoi paradigmi mitici.

Aggiungo una riflessione di Gandhi tratto dal film a lui dedicato dal regista Richard Attenborough: “ When I despair, I remember that all through history the way of truth and love has always won. There have been tyrants and murderers and for a time they seem invincible. But in the end they always fall. Think of it, always” (Gandhi, 1982), quando dispero, ricordo che attraverso tutta la soria la via (o il metodo, cfr. oJdov~, “via”) della verità e dell’amore ha sempre vinto. Ci sono stati tiranni e assassini e per un certo tempo essi sembrano invincibili. Ma alla fine essi cadono sempre. Pensaci, sempre.

E’ una brevissima lezione a una discepola.

Un altro topos  è quello che afferma, o nega, il diritto del più forte[2]. In Tucidide soprattutto.

 Connesso a questo è il tema dell'imperialismo[3].

Nell’opera di Tacito,  Mazzarino distingue quello rinunciatario della Germania da quello velleitario degli Annales.

Un tovpo" economico è l'esecrazione del denaro e degli uomini avidi di denaro[4].

Connessa a questo locus particolarmente provocatorio nei confronti dell'attualità, c'è la maledizione del potere, di ogni potere.  "Il tema fondamentale di tutto il teatro senecano…è che potere e regno, condizioni di illusoria felicità soggette a rovinosi cambiamenti di sorte, coincidono con la frode, con l'Erinni familiare, con il furor mentre l'unica salvezza è la obscura quies [5], la serenità del proprio cantuccio, l'esser parte indistinguibile della folla. L'avversione al regno ha come aspetto complementare l'esaltazione della tranquillità di ogni piccolo uomo, uno qualsiasi della massa silenziosa: felix mediae quisquis turbae, come canta un coro dell' Agamennone (v. 103). Liceat in media mihi/latere turba (Thy. 533 sg,) afferma Tieste prima di cadere nelle lusinghe del potere e nella trappola tesagli da Atreo"[6].

 Seneca tragico è del tutto malevolo con il potere. Il regnum è un fallax bonum del quale non c'è da gioire: copre grande quantità di mali sotto un aspetto seducente: “ Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis”(vv.7-8). Sono parole del re parricida e incestuoso che dà inizio all'Oedipus descrivendo l'infuriare della pestilenza.  Il regno è un bene scivoloso, un potere claudicante, in particolare quello di Tebe. Nelle Phoenissae Giocasta chiede a Polinice di rinunciare alla guerra poiché il premio che spetta al vincitore non è desiderabile: anzi  Eteocle pagherà il fio del successo a caro prezzo, con il solo fatto di essere re: “poenas, et quidem solvet graves: regnabit ”(v.645).

Manzoni riprende il tovpo" nell' Adelchi  quando il protagonista ferito consola il padre sconfitto: “Godi che re non sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra non v'è: non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo possiede, e fa nomarsi/Dritto..” (V, 8). E' il diritto del più forte.

Il secondo coro del Thyestes formato da vecchi micenei contrappone al tiranno crudele e avido un'immagine della regalità interiore: “rex est qui posuit metus/et diri mala pectoris,/quem non ambitio impotens/et numquam stabilis favor/vulgi praecipitis movet,/non quidquid fodit Occidens,/aut unda Tagus aurea/claro devehit alveo” (vv. 348-355), è re chi ha deposto le paure e le cattive passioni dell'animo crudele, quello che l'ambizione sfrenata non tocca e l'instabile favore del volgo precipitoso, né tutto quello che l'Occidente scava, o il Tago trasporta nel letto lucente con l'onda ricca d'oro. La regalità interiore non ha paura e non è avida.

 

Il quotidano “la Repubblica” del 17 gennaio del 2006 recava il titolo in prima pagina “Solo 11 le donne al potere”; ebbene una mente non fuorviata dai luoghi comuni attualmente di moda può pensare che questa rara presenza dovrebbe essere ambita dai miliardi di donne, e di uomini, che non sono al potere. Io credo che a molti uomini-quorum ego- e molte ambili donne non piaccia comandare né essere comandati.

  

 

Gli anatemi contro i tiranni possono estendersi al biasimo dell'eterno filisteo, "l'uomo privo di bisogni spirituali", o a[mouso~ ajnhvr"[7].  In latino c'è il pullus ad margaritam di Fedro, la bestia "potior cui multo est cibus",  o ci sono i porci del Vangelo ai quali non bisogna gettare le perle " neque mittatis margaritas vestras ante porcos, ne forte colcuncent eas pedibus suis et conversi dirumpant vos "[8], perché non accada che le calpestino con i piedi e rivolti contro di voi non vi sbranino.

L’imbestiamento umano

 Sallustio il quale inizia la sua monografia sulla congiura di Catilina affermando che tutti gli uomini i quali vogliono stare davanti agli altri esseri animati devono adoperarsi con tutte le forze per non passare la vita nel silenzio : “veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedentia finxit ", i bruti che la natura foggiò chini a terra e al servizio del ventre   (De coniuratione Catilinae , 1).

In greco Platone svaluta completamente i piaceri dei sensi ricercati dagli uomini fronhvsewς kai; ajreth`ς a[peiroi (Repubblica, 586), inesperti di saggezza e virtù. Questi non hanno mai guardato in alto, né si sono mai riempiti di ciò che essenzialmente è, non hanno mai gustato un piacere saldo e puro ajlla;  boskhmavtwn divkhn kavtw ajei; blevponteς kai; kekufovteς[9] eijς gh̃n kai; eijς trapevzaς bovskontai cortazovmenoi  kai; ojceuvonteς, kai; e[neka th̃ς touvtwn pleonexivaς laktivzonteς kai; kurivttonteς ajllhvlouς sidhroĩς kevrasiv te kai; oJplaĩς ajpokteinuvasi di’ ajplhstivan” (586b), ma come bestiame al pascolo guardando sempre in giù e piegati verso terra e sulle mense pascolano riempiendosi e accoppiandosi, e per l’avidità di queste cose, scalciando e cozzando, con corna e zoccoli di ferro si ammazzano a vicenda per insaziabilità.           

 

 Svilupperò ulteriormente questo argomento nel capitolo 26.

 

Un altro locus concerne la bellezza che viene spesso coniugata con la semplicità[10] e l’eleganza cui ripugna l’affettazione[11].

Al culto del bello si può collegare il rovesciamento del cupio dissolvi  della sapienza silenica, ossia la giustificazione estetica della vita umana. Sulla bellezza torneremo più volte, in particolare nei capitoli 59, 59.1, 59. 2, 59. 3, 59 4., 59 5., 59 6.

Bologna 28 novembre 2024 ore 13, 35

giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Per un'ampia trattazione di questo vedi la mia Antigone (Loffredo, Napoli, 2001) pp. 121-127.

[2] Per questo cfr. i miei Storiografi Greci (Loffredo, Napoli, 1999) pp. 174-178.

[3] G. Ghiselli, Storiografi Greci , pp. 363-364.

[4] Cfr. la mia Antigone, pp. 65, 73, 84. Gli autori più citati sono i tragici greci  Seneca e Shakespeare.

[5] Fedra 1127.

[6] Gianna Petrone, Il disagio della forma: la tragedia negata di Seneca, "Dioniso" 1981., p. 360.

[7] Queste definizioni si trovano nei Parerga e Paralipomena  (1851) di A. Schopenhauer (1788-1860). Il filosofo tedesco afferma che tale individuo non sente alcun impulso alla conoscenza e non è capace di godimenti estetici; egli si sobbarca ai presunti piaceri imposti dalla moda e dall'autorità: "di conseguenza le ostriche e lo champagne sono il punto culminante della sua esistenza, e lo scopo della sua vita consiste nel procurarsi tutto ciò che contribuisce al suo benessere materiale" (pp.462-465 del primo tomo.

 

[8] Matteo, 7, 6. Questo accostamento me lo ha suggerito il collega Giovanni Polara .

[9] Participio perfetto di kuvptw.

[10] Cfr. G. Ghiselli, Ubique naufragium  est, pp. 4-6.  Ne riferirò una parte più avanti (59, 2).

[11] Cfr. G. Ghiselli,  Tre amori a Debrecen, Società Editrice “Il Ponte Vecchio”, 2023.