NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 1 novembre 2024

Viaggio in Grecia agosto 1981 XX parte. Pensieri notturni sull’identità smarrita.


Dopo avere coperto le nostre nudità scellerate con stracci sudici e ancora sudati uscimmo di corsa. Seguendo le indicazioni dateci dal portiere andammo a cambiare le lire in una strana banca ipogea aperta fino alle ventidue.

Quindi facemmo una pace precaria. Quindi ci lavammo, cambiammo e finalmente si andò a cenare. Per fortuna in Grecia si può mangiare fino a tardi.  Ci diede argomenti comuni e una schiarita all’umore il cibo gustoso preparato e servito da un cuoco epicureo di ottimo umore. Poi andammo nel teatro di Erode Attico situato sotto l’acropoli e la luna che la rischiarava. L’orchestra suonava la musica di Mendelsshon che ci rasserenò ulteriormente. Sicché potemmo tornare nell’albergo e metterci a letto abbastanza concordi per augurarci la buona notte con carezze e sorrisi. Tuttavia evitammo di fare del sesso. Ci sapeva di ybris che prima verdeggia poi diventa una spiga di acciecamento che, appena falciata, dà una messe di lacrime[1].  

Spenta la luce e rimasto solo con il tempo di concedermi un poco di otium cum dignitate, cioè con pensieri forse non sciocchi del tutto, mi domandai come avessimo fatto a trasfigurare il nostro amore che era bello, gioioso e variopinto come una festa panatenaica, riducendolo a un susseguirsi  di lamenti e gemiti  intervallati da esplosioni di rabbia. C’erano state offese reciproche anche gravi, egoismi sesquipedali, indifferenze da cozza  dell’uno alle umane sofferenze dall’altro. Avevamo perduto del tutto la fiducia reciproca. Ifigenia cercava altre guide, altri modelli nell’ambiente dello spettacolo. Io dubitavo della mia identità di educatore visto il risultato di questa relazione nata con l’intento della paideia reciproca. Mi tornò in mente con brivido di raccapriccio e spavento la crisi di identità sofferta fino a volerne morire quando ebbi terminato il liceo. Quasi  due anni durò. Non sostenevano più la mia vita lo studio e lo sport: le  due colonne che l’avevano sostenuta dai 6 ai 19 anni.

All’università la buona riuscita negli esami dipendeva da un sapere mnemonico di manuali e appunti presi a lezione su un corso monografico molto particolareggiato e isolato da tutto il resto, compresa la vita. Dovevo imparare una congerie di nozioni slegate tra loro: un sapere senza sapienza [2]che conferisce bellezza e potere alla vita.

Ho sempre avuto una memoria straordinaria, ma usare soltanto quella non mi bastava più: avrei voluto avere una visione d’insieme della letteratura, della storia, della filosofia e a quell’età avevo bisogno di una guida, per lo meno di un metodo per fare ricerca. Ma tutto si riduceva ai tecnicismi delle lingue, alla visione molto particolareggiata di alcune parole isolate dal contesto. La sinossi panoramica della cultura adulta non me la faceva intravvedere nessuno, a parte il professore di lingua e letteratura inglese, Carlo Izzo che ricordo con stima e affetto, ma la sua disciplina nel mio corso di studi era solo complementare.

Il corso di letteratura latina, un esame invece fondamentale, tanto per fare un esempio, verteva su “La corrispondenza poetica di Dante e Giovanni del Virgilio”. Quando iniziai a insegnare latino non avevo mai sentito nominare Lucrezio né  Lucano. Sentivo che la preparazione richiesta per gli esami non era adeguata al lavoro che avrei voluto fare: non bastava  a informare, e, tanto meno a educare. Sicché studiavo malvolentieri solo per superare gli esami.

 Cercavo consolazione nel cibo, ingrassando e perdendo tanto la lena necessaria per gli agoni quanto la voglia. Insomma la mia per un paio di anni fu una vita da aspirante suicida. Avevo perduto la mia fierezza di adolescente per quanto ero diverso dalle persone mediocri, uniformate all’insignificanza, e, anzi cercavo di conformarmi a loro, assai goffamente oltretutto, senza riuscirvi, per cui venivo disprezzato da quelli che un tempo ero io a disistimare. Nel 1981, passati i trentacinque non sarei certo ricaduto nell’errore che mi aveva azzerato tre lustri prima , però temevo che sbagli del genere potesse farli Ifigenia. Io a ventun anni per fortuna, per il risveglio della mia coscienza e con l’aiuto di  Euripide citato sopra e di Fulvio ora amico celeste, avevo capito che alla gente usuale non mi sarei mai potuto assimilare, né del resto sarei stato accolto bene da quanti erano troppo diversi da me[3], sicché iniziai a recuperare la mia vera natura fisica, culturale e morale. Il movimento del ’ 68 mi diede altro aiuto, poi gli scolari della scuola media Ugo Foscolo di Carmignano di Brenta e la collega umanissima Antonia, vicepreside e mamma vicaria.

Divenni capace di solitudini anche lunghe e paurose eppure sempre meno difficili e dolorose  dei tentativi maldestri di riuscire gradito a gente cui non piacevo e che non  mi piaceva.

Temevo però che Ifigenia non fosse capace di tanto e che si imbrancasse con gente avvezza al male più che al bene

Pensavo all’incirca queste parole: “Anche Ifigenia dovrà passare una crisi di progresso, o, dio non voglia, di regresso, sulla nuova strada che ha preso. Se mi chiederà aiuto, glielo darò. Ha dieci anni meno di me e la sento anche un poco quale figlia sostitutiva di quella abortita da Päivi. Ci siamo pure amati e perfino educati, reciprocamente, in questi tre anni. C’è del vero in quanto mi ha rinfacciato oggi.  Non è falso che io mi guardo dall’irrazionale perché ce l’ho dentro e mi spaventa, che coltivo maniacalmente l’ordine e la disciplina perché temo di ricadere nel caos. E’ vero che noi detestiamo con forza gli orrori presenti, vivi e attivi dentro di noi. Ciò che è estraneo alla nostra natura non ci fa tanto ribrezzo. Perciò i monchi minacciano i monchi, gli orbi detestano gli orbi e gli storpi sputano in faccia agli storpi.

Con queste immagini di stampelle, di occhi spenti e di sputi che turbinavano  davanti a me, mi addormentai,

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[1] Cfr. Eschilo, Persiani, 821-822.

2 Cfr. “to; sofo;n d’ jouj sofiva” ( Euripide, Baccanti, v. 395). Il sapere non è sapienza

 

3 Mi devono snobbare, dire che sono un ingenuo e un demagogo, non mi devono onorare come uno di loro, perché non sono come loro” (Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani, L’esilio di Barbiana, Introduzione di Tomaso Montanari, p. 7) .

 

Nerone e Budicca l’eroina dei Britanni.


Precedente, o modello di Nerone in questo fu Periandro di Corinto, il protipo del tiranno, del quale Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, I, 94-100) racconta che commise incesto con la madre Krateia (kravto~=potere), poi prese a incrudelire. In seguito in accesso d’ira uccise la moglie incinta scagliandole contro uno sgabello o con un calcio (I, 94). L’incesto è ricordato anche dal poeta callimacheo Partenio di Nicea, che fu cliente di Cornelio Gallo per il quale scrisse  Passioni d’amore in prosa, 36 storie di amori infelici. Servivano a fornire materiale per le elegie di Gallo. Partenio fu anche precettore di Virgilio e compose elegie e delle Metamorfosi.

 Inoltre Periandro si unì con il cadavere della moglie Melissa (Erodoto, 5, 92) e Nerone si prendeva amanti che somigliavano a Poppea morta. Periandro fu il primo a progettare lo scavo di un canale attraverso l’Istmo di Corinto.

Anche Demetrio Poliorcete, Giulio Cesare e Caligola pensarono di farlo, e Nerone diede inizio ai lavori. Plinio il Vecchio lamenta l’empietà dell’impresa (NH 4, 10). Era un atto di u{bri~, una tracotante invasione nella sfera di competenza degli dèi. Successivamente ci pensò Erode Attico oratore e sofista, console nel 143. Fu maestro di Marco Aurelio e Lucio Vero.

Periandro fu istruito da Trasibulo di Mileto a tagliare le teste.

Il tiranno di Corinto attrasse artisti e poeti, prima di tutti il cantore Arione che compose per primo o riformò il ditirambo.

Periandro vinse la corsa dei carri a Olimpia.

“A Nerone doveva piacere il paradosso dell’uomo le cui superiori virtù e capacità lo esentavano dagli obblighi morali della società” ( Champlin, p. 142).

 

Poppea Sabina era vissuta in maniera talmente lussuosa da fare applicare cordicelle dorate agli zoccoli delle mule che la trasportavano, e da far mungere ogni giorno 500 asine che avevano partorito, i{n j ejn tw'/ gavlakti aujtw'n louvhtai (62, 27). Giovenale satireggia la femina dives che imita Poppea: “ interea foeda aspectu ridendăque multo/pane tumet facies aut pinguia Poppaeana/spirat, et hinc miseri viscantur labra mariti ” (VI, 461-463), intanto è sconcia a vedersi e ridicola: la faccia è gonfia di molta mollica oppure puzza delle creme di Poppea e di qui rimangono invischiati le labbra del povero marito.

Ci teneva talmente tanto all’aspetto che una volta guardandosi allo specchio e non trovandosi alla propria altezza hu[xato teleuth'sai pri;n parhbh'sai, pregò di morire prima di passare la giovinezza (parhbavw).

La preghiera fu esaudita nel 65.

 

Cassio Dione  dice pure che Nerone sposò Sporo, sebbene fosse già sposato con Pitagora, e gli diede una dote. Sporo veniva chiamato come se fosse una donna kuriva, basiliv~, devspoina (63, 13).

Nerone dunque aveva sposato anche un altro amante che faceva da uomo e si chiamava Pitagora.  In questo caso inditum imperatori flammeum, il velo rosso delle giovani spose. Insomma nihil flagitii reliquerat ( Tacito, Annales XV, 37). Pitagora forse era il coppiere ufficiale di Nerone: il liberto a potione.

Cfr. Marziale 11, 6.

Svetonio racconta che si faceva infilzare dal liberto Dorifŏro e che imitava le voci e i lamenti delle vergini sottoposte a violenza: “voces quoque et eiulatus vim patientium virginum imitatus   (29) .

Inoltre legava ragazze e ragazzi nudi a dei pali, poi usciva da una gabbia coperto da una pelle di belva, e si gettava sugli inguini dei giovani in atto di divorarli. Svetonio invece dice che si trattava di uomini e donne (29).

Nerone dunque eseguiva fellatio e cunnilingus.

Era quasi genus lusus, una specie di gioco inventato da Nerone il quale, sfogata la sua furia, veniva “spacciato” (conficeretur) dal liberto Doriforo. Questi era il confector, l’incaricato di sfondarlo. Era la riproduzione “artistica” della damnatio ad bestias. Bizzarra pantomima.  

Cassio Dione commenta: “toiau`ta me; oJ Nevrwn hjschmovnei (63, 13), in tali maniere dunque Nerone si comportava in modo indecoroso, ossia usciva dagli schemi (ajschmonevw). Insomma l’imperatore parhnovmei, trasgrediva (paranomevw) i costumi i tradizionali.


Budicca

 

Quanto all’effeminatezza di Nerone vediamo l’episodio di Budicca.

I centurioni romani avevano  violentato le figlie del re degli Iceni Prasutagus che aveva lasciato il suo regno a Nerone e alle due ragazze. Inoltre avevano frustato la madre delle principesse, Budicca. C’erano stati vari prodigi, come l’Oceano rosso di sangue.

 Budicca era dunque la regina degli Iceni, una popolazione della Britannia che, guidata da questa ribelle, nel 61 mise a sacco Londinium e Verulanium e uccise 80 mila persone tra Romani e alleati. Governatore della Britannia era Svetonio Paolino che scrisse anche Commentarii utilizzati da Tacito.

 Cassio Dione dice che una causa della rivolta fu lo strozzinaggio di Seneca.

Ma la promotrice fu Budicca regina di una tribù del nord-est (attuale Norfolk). Aveva un’intelligenza superiore a quella solita delle donne: mei'zon h] kata; gunai'ka frovnhma e[cousa” (62, 2).

Anche l’aspetto non era usuale: era to; sw'ma megivsth, grandissima di corpo, di aspetto terribile, di sguardo penetrante, e di voce aspra, aveva una chioma biondissima e foltissima che le scendeva fino alle natiche (mevcri tw'n gloutw'n) e al collo portava una grossa collana d’oro. Prese una spada in mano e parlò ai suoi.  Cfr. la regina Elisabetta nel film. Disse che è migliore una peniva ajdevspoto~ (62, 3), una povertà senza padroni che una ricchezza asservita. La Britannia era asservita ai Romani dal 43 quando era stata conquistata da Claudio. I vincitori l’avevano oberata di tasse. Neppure il morire con loro è esente da tasse. Veniamo vessati e depredati.

Cfr. Auferre, trucidare, rapere del caledone Calgaco nell’Agricola di Tacito (98 d. C.).

Giulio Cesare nel 55 era stato respinto, giustamente, continua Budicca, poi i Romani erano stati fatti sbarcare. Ora veniamo calpestati e disprezzati da uomini che non sanno fare altro che depredare. I Romani sono appesantiti dalle armature: “ejkei'noi de; ou[te diw'xai uJpo; tou' bavrou~ ou[te fugei'n duvnantai (62, 5), e non sopportano come noi ou[te limo;n ou[te divyo~, ouj yu'co~ ouj kau'ma uJpofevrousin w{sper hJmei'~, e muoiono, se non hanno coperte, vino e olio (kai; oi[nou kai; ejlaivou devontai); per noi invece pa'sa me;n pova kai; rivza si'tov~ ejsti, ogni erba e radice ci fa da pane (62, 5).

Ecco perché non era grassa.

Ogni succo è il nostro olio, pa'n de; u{dwr oi\no~, pa'n de; devndron oijkiva. C’è uno stile di vita della semplicità e dell’anticonsumismo. Conosciamo il territorio e attraversiamo a nuoto i fiumi anche nudi. Quelli sono lepri e volpi (lagwoi; kai; ajlwvpeke~) che cercano di dominare dei cani e dei lupi. Quindi lasciò scappare una lepre dal suo vestito. Questa si mise a correre nel verso giusto per loro. Poi Budicca ringraziò la divinità femminile Andraste, da donna a donna, lei era una donna e una regina non come Nitocri o Semiramide, in quanto i loro sudditi non erano guerrieri.

E non regno nemmeno sui Romani, comunque dominati da donne: Messalina, poi Agrippina ed ora la femmina Nerone (cfr. Egisto nell’Agamennone e nelle Coefore) Nevrwn o[noma me;n ajndro;~ e[cei, e[rgw/ de; gunhv ejsti: shmei'on de;, a[/dei kai; kiqarivzei kai; kallwpivzetai (62, 6).

Io invece, continua Budicca, regno su uomini che non sanno coltivare la terra né produrre manufatti, ma conoscono l’arte della guerra e che considerano tutto bene comune, anche i bambini  le donne le quali proprio per questo hanno lo stesso valore dei maschi: th;n aujth;n toi'~ a[rresin ajrethvn, con allitterazione e paronomasia o adnominatio.

 

Tacito nella Germania (98 d. C.) scrive che ai Germani sembra ignavia guadagnarsi con il sudore ciò che può essere conquistato con il sangue:"pigrum quin immo et iners videtur sudore adquirere quod possis sanguine parare "(14).

 

I Romani sono uomini sì e no: si lavano con acqua calda, si profumano, giacciono con i ragazzini e sono schiavi di un suonatore di cetra, per giunta malvagio.

Ebbene, Budicca continua l’auspicio chiedendo che questa Domizia Nerona (Nerwni;~ hJ Domitiva, 62, 6, 5) non regni più su di me né su di voi, ma tiranneggi cantando i Romani : “kai; ga;r  a[xioi toiauvth/ gunaikiv douleuvein”, i quali infatti meritano di servire una tale donna. I Romani erano senza guida poiché Paolino si trovava nell’isola di Mona, uno dei centri del druidismo in Britannia.

Budicca compì una strage incredibile. Ai catturati in Londinium furono riservate torture orrende. Appesero nude le donne nobili, tagliarono loro i seni (tou;~ te mastou;~ aujtw'n perievtemon) e li cucirono sulle loro bocche (kai; toi'~ stovmasiv sfwn prosevrrapton), in modo che si vedessero mentre li mangiavano (62, 7, 2).

Il governatore Paolino intanto aveva assoggettato Mona  e navigò verso Londinium. Ma non affrontò subito la battaglia. Poi però fece un discorso incitando i soldati contro quella gente maledetta oiJ katavratoi ou|toi, 62, 11).

 Loro, i Romani, potevano contare sull’alleanza con gli dèi i quali appoggiano di solito le vittime dell’ingiustizia. Abbiamo esteso il nostro dominio sull’umanità intera. Vinceremo per la nostra dignità, poiché combattiamo contro i nostri schiavi. I Romani vinsero, racconta Cassio  Dione  e Budicca si ammalò e morì.

 

Passiamo ora a Tacito il quale racconta che Svetonio Paolino era sempre pronto a gareggiare con Corbulone. Tacito li elogia entrambi.

Sulla spiaggia dell’isola di Mona (ora Anglesey) c’erano uomini armati tra i quali le donne  in modum Furiarum veste ferali (funebre) crinibus deiectis faces praeferebant (Annales, XIV, 30). Intorno i Druidi che con le mani tese al cielo lanciavano maledizioni: preces diras sublatis ad caelum manibus fundentes. E’ una scena apocalittica. I Romani rimasero quasi paralizzati dalla novitas dello spettacolo. Poi però reagirono spinti ne muliebre et fanaticum agmen pavescerent.

Una turba di donne e di invasati (coloro che appartengono al tempio).

Infine i Romani li sconfissero e abbatterono le foreste consacrate alle loro feroci superstizioni: excisique luci saevis superstitionibus sacri: nam cruore captivo adolēre aras  et hominum fibris consulĕre deos fas habebant (XIV, 30) infatti i Britanni consideravano giusto onorare gli altari con il sangue dei prigionieri e consultare gli dèi con viscere umane.ò  

Intanto era scoppiata la rivolta di Budicca.

In Britannia i Romani erano in difficoltà. I ribelli avevano preso e incendiato Camulodūnum, Colchester. Svetonio Paolino si portò a Londinium che non aveva il titolo di colonia, sed copiā negotiatorum et commeatuum maxime celebre (XIV, 32), molto popolosa per il gran numero di mercanti e la quantità di derrate. Paolino decise di non difendere Londinium per la scarsità delle sue truppe: unius oppidi damno, servare universa statuit (14, 33), stabilì di dssalvare tutto il resto con il sacrificio si una sola città. I ribelli trucidarono tutti i cittadini romani e gli alleati che vi rimasero . Identica sorte ebbe il municipio di Verulanium (St. Albans). I barbari non facevano prigionieri. Uccisero settantamila persone. Poi c’è la battaglia dove i barbari portavano le donne, testes victoriae,  fatte salire sui carri collocati in cerchio al limite del campo.

Budicca testabatur solitum quidem Britannis feminarum ductu bellare (XIV, 35), lei però li guidava non come regina verum ut una e vulgo per recuperare non tanto le ricchezze e il potere quanto la libertà.

Poi diceva: “Eo provectas Romanorum cupidines ut non corpora, ne senectam quidem aut virginitatem impollutam relinquant ”.

In quella battaglia dunque si doveva vincere o morire: vincendum illa acie vel cadendum esse. Id mulieri destinatum: viverent viri et servirent, questo era stato deciso da una donna: gli uomini vivessero da schiavi, se volevano.

 

Svetonio parla ai suoi e sottolinea il fatto che in quell’esercito c’erano più donne che maschi coraggiosi. I vecchi soldati si entusiasmarono. I Romani vinsero et miles ne mulierum quidem neci temperabat (XIV, 37), i soldati non risparmiavano nemmeno le donne. Uccisero 80 mila Britanni. Budicca vitam veneno finivit.   

Fine Budicca

p. s.

Budicca e e le sue figlie (Boadicea and Her Daughters) è una statua realizzata da Thomas Thornycroft dal 1856 al 1883 e collocata a Londra, sul Victoria Embankment, all'estremità occidentale del Ponte di Westminster.

      

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Nerone, Corbulone, Seneca, Otone e Poppea. I Saturnali.


 

Il toposo dell'esercito sfarzoso e inefficace.

Si pensi all'esercito di Dario III.

L’ateniese Caridemo dice a Dario: verum…et tu forsitan audire nolis, ma devo dirtela ora. Questo esercito splendente di porpora e di oro può essere temibile solo per i tuoi vicini “finitimis potest esse terribilis: nitet purpura auroque, fulget armis” ( Curzio Rufo, III, 2, 12). 

 

Nell’Amphitruo di Plauto i Telèboi, che poi vengono sconfitti dai Tebani di Anfitrione, “ex oppido-legiones educunt suas nimi ‘ pulchris armis praedĭtas” (Amphitruo, vv. 217-218), tirano fuori dalla fortezza le proprie truppe dotate di armi pur troppo belle.

Nel mondo moderno si può pensare alle uniformi degli ufficiali dell'impero asburgico in disfacimento, i quali"come incomprensibili adoratori di una crudele e remota divinità, di cui essi erano a un tempo anche i variopinti e fastosi animali da sacrificio, andavano su e giù per la città"[1].

 

Corbulone

 

 Campagna di Corbulone: 58-60, quando conquista Artaxata.

Corbulone congedò quegli infingardi  arruolò  nuovi soldati e diede l'esempio: ipse cultu levi, capite intecto, in laboribus frequens adesse, laudem strenuis, solacium invalidis, exemplum omnibus ostendere (Tacito, Annales, XIII, 35). Quando fu accusato di congiurare contro Nerone  si suicidò nel 67 a Corinto dove l'imperatore l'aveva convocato

 

Altro esempio

Alessandro giunse a Tarso, la capitale della Cilicia. Et tunc aestas erat (del 333) e il re accaldato volle fare un bagno nel fiume Cidno. Si spogliò fiero di mostrare ai suoi levi ac parabili cultu corporis se esse contentum (Curzio Rufo, III, 5, 2) che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente procurabile.

Così pure Annibale.

 

Contro i riottosi, Corbulone adopera la medicina forte di una assoluta  severità. Chi abbandonava le insegne veniva punito con la morte. La dura disciplina funzionò: quippe pauciores illa castra deseruēre quam ea in quibus ignoscebatur (Tacito, Annales, XIII, 35).

Corbulone conquistò e distrusse Artaxata capitale dell'Armenia (60). Per tale successo Nerone fu salutato imperator.

 

Contro Seneca

Intanto ( dal 58) a Roma si levavano voci contro Seneca. Suillius terribilis ac venalis (era stato console nel 41) diceva che Seneca era un uomo abituato agli ozi letterari e ai giovani inesperti  e che era invidioso di quanti praticavano un'eloquenza viva per difendere i cittadini: "livēre iis qui vividam et incorruptam eloquentiam tuendis civibus exercerent" ( Tacito, Annales, XIII, 42).

Inoltre aveva commesso adulterio con Giulia Livilla, figlia di Germanico e sorella di Caligola e Agrippina. Per questo nel 41 era stato mandato in Corsica. Tornato a Roma nel 49 richiamato da Agrippina, dava la caccia ai testamenti di persone senza eredi, inoltre spogliava l'Italia e le province con l'usura: Italiam et provincias immenso faenŏre hauriri (13, 42).

 

La Gallia si andava romanizzando, in particolare quella Narbonese che secondo Plinio il Vecchio era più una parte d'Italia che una provincia (N. H., 3, 31). Anche la Spagna si romanizzò.

"Seneca crede dunque che il saggio debba agire come il più comune dei mortali, ma in una prospettiva differente, cioè ponendosi un fine morale. E' l' eujkairiva, virtù stoica per eccellenza: il senso della congiuntura e dell'opportunità, l'adattamento alla realtà"[2]. E' complicità con la realtà. cfr. Ulisse.

"Il saggio  'sa acquistare ciò che è in vendita', diceva Seneca -scit emere venalia- (De const. sap., 14, 2)"[3].

Dione scrive che Seneca (nel 58) ejneklhvqh o{ti th'/  jAgrippivnh/ sunegivgneto (61, 10)  fu accusato di rapporti con Agrippina. In effetti Agrippina lo fece richiamare nel 49 e gli fece ottenere la pretura. Inoltre: turannivdo~ kathgorw'n turannodidavskalo~ ejgivneto,  e mentre inveiva contro i cortigiani non stava lontano dal palazzo: "oujk ajfivstato tou' palativou" (61, 10), mentre condannava gli adulatori, aveva adulato Claudio, Messalina e il liberto Polibio. Criticava la sontuosità degli altri ed era ricchissimo. Inoltre trasmise a Nerone la passione per i ragazzi.

Nel 58 Seneca se la cavò da queste accuse.

 

Nerone poi aveva un amico molto simile a lui: Otone, cui fece sposare Poppea Sabina per goderla insieme con lui.

Plutarco nella Vita di Galba racconta che Otone era peribovhto~ ejn  J Rwvmh/ dia; to;n Poppaiva~ gavmon (19, 2), famigerato a Roma per il matrimonio con Poppea.  . Poppea aveva come primo marito Crispino, prefetto del pretorio sotto Claudio, ma di lei si innamorò Nerone il quale però th;n mhtevra fobouvmeno~, spinse Otone a sposare Poppea.

Otone piaceva a Nerone dia; th;n ajswtivan, per la sua dissolutezza (19, 4) nella quale superava l’imperatore. Otone convinse Poppea a lasciare il marito. Poi però gli spiaceva di condividerla con Nerone (h[scalle metadidouv~ , 19, 7), mentre Poppea non era infastidita dalla gelosia di Otone. Questo non venne ucciso da Nerone che lo mandò a governare la Lusitania, ed ebbe Seneca favorevole: Senevkan d’ ei\cen eu[noun (20, 1).

Quindi Otone appoggiò la ribellione di Galba.

Poppea era affascinata dal culto di Iside e proteggeva i Giudei.

Flavio Giuseppe la definisce”pia” (Ant. Iud. 20, 8, 11). Era filoorientale.

 Nerone dunque si innamorò di Poppea, e Agrippina per distoglierne il figlio  cercava di sedurlo. Cassio Dione non sa se abbiano praticato incesto: certo è che Nerone frequentava un'etera che assomigliava assai ad Agrippina.

“Tacito esamina anch’egli la faccenda: secondo Cluvio Rufo, Agrippina avrebbe fatto delle avances al figlio; secondo Fabio Rustico, sarebbe avvenuto l’inverso”[4].

 Allora Poppea spingeva Nerone a uccidere la madre. Lo chiamava pupillum, bambino soggetto alla madre (Annales, XIV, 1).

 Poppea, come Agrippina, aspirava al potere: ella "unde utilitas ostenderetur, illuc libidinem transferebat " (Annales, XIII, 45), volgeva la libidine là dove si mostrava l'utile.

 

Pasolini:"L'interpretazione puramente pragmatica (senza Carità) delle azioni umane deriva dunque in conclusione da questa assenza di cultura: o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica"[5].

Poppea aveva tutto tranne un animo onesto. Dalla madre aveva ricevuto bellezza e rinomanza. Era bella, ricca, intelligente: modestiam praferre et lasciviā uti, affettava riservatezza ma era dissoluta. Si faceva vedere poco in pubblico Rarus in publicum egressus, idque velata parte oris, ne satiaret aspectum, vel quia sic decebat, per non saziare lo sguardo, o perché le donava.

Non si curava della propria reputazione: maritos et adulteros non distinguens.

 

L’adulterio è un argomento ricorrente nell'opera di Seneca che ne evidenzia la diffusione a Roma.  Nel De beneficiis leggiamo: “Numquid iam ullus adulterii pudor est, postquam eo ventum est, ut nulla virum habeat, nisi ut adulterum inrītet? Argumentum est deformitatis pudicitia[6](III, 16, 3), c'è forse più un poco di vergogna dell'adulterio, dopo che si è arrivati al punto che nessuna donna ha il marito, se non per stimolare l'amante? La pudicizia è indizio di bruttezza.

 

Il marito Otone la elogiava a Nerone.

Quando lasciava il banchetto, Otone diceva che andava da quella eccelsa creatura, vota omnium et gaudia felicium, desiderio di tutti e gioia dei fortunati (molti).

Entrata a corte, fingeva di non poter contrastare la passione e di essere stata presa dalla bellezza di Nerone: “impărem cupidini se et formā Neronis captam simulans” (Annales, 13, 46). Quando l’amore di Nerone divenne acuto, lei diventò superba. Addirittura umiliava Nerone elogiando Otone che nel 59  venne allontanato come governatore della Lusitania. Lì si comportò con saggezza: procax otii et potestatis temperantior, sfrontato in privato e più saggio nel potere.

 

Ritratti paradossali

La Penna qualifica come “paradossale” questo tipo di ritratto che raffigura un uomo dissoluto, magari anche criminale, eppure capace.

“Per esempio, uno splendido calco del ritratto di Catilina, forse il più splendido dopo quelli fatti da Tacito, è il ritratto del papa Alessandro VI-il Borgia-dipinto dal Guicciardini poco dopo l’inizio della Storia d’Italia (I 2): “perché in Alessandro sesto…fu solerzia e sagacità singolare, consiglio eccellente, efficacia a persuadere meravigliosa, e a tutte le faccende gravi sollecitudine e destrezza incredibile; ma erano queste virtù avanzate di grande intervallo da’ vizi: costumi oscenissimi, non sincerità non vergogna non verità non fede non religione, avarizia insaziabile, ambizione immoderata, crudeltà più che barbara e ardentissima cupidità di esaltare in qualunque modo i figliuoli i quali erano molti”….Se il Guicciardini ci ha dato un ritratto così affascinante del principe catilinario, il ritratto dell’altro tipo si potrà riconoscere, in qualche misura, in un testo molto più celebre, cioè nella tragedia di Shakespeare su Enrico V, il principe dissipato, gozzovigliatore, che diviene re saggio e capo di eserciti valorosi. A guisa di commiato è opportuno qui riportare, non solo per la sua grazia ma anche per la sua profondità, un passo celebre in cui Shakespeare cerca di spiegare come grandi qualità potessero celarsi nel principe libertino (atto I, scena 2[7], 60 sgg,): “la fragola cresce sotto l’ortica e le bacche salutari prosperano e maturano meglio in compagnia di frutti di qualità inferiore: così il principe celò il suo spirito di osservazione sotto le apparenze del libertinaggio, e questo spirito senza dubbio deve aver fatto come l’erba estiva che cresce di notte non vista, ma proprio allora più soggetta alla forza di sviluppo che le è insita” (trad. di F. Baiocchi). E’ probabile che Shakespeare non debba nulla alla tradizione antica del ritratto “paradossale” di tipo “petroniano”.

Al “paradosso” della compresenza di vizi e virtù egli aggiunge un altro “paradosso”, secondo cui il vizio può essere condizione favorevole alla segreta crescita della virtù; chi mai nell’antichità avrebbe potuto accettarlo? Non è poca cosa, comunque, che storici antichi quali Sallustio e Tacito avessero messo a fuoco il problema: il loro travaglio di pensiero, che coglie le contraddizioni di una realtà sempre più ricca ed oscura, non li porta troppo lontano dal genio del poeta moderno”[8].

 

Plutarco  racconta la morte di Otone scrivendo che non visse più decorosamente di Nerone ma morì più nobilmente ( Vita di Otone, 18, 2).

 Nerone non si curava più di coprire scelleratezze e turpitudini

Svetonio riferisce altre nefandezze di Nerone: dopo la morte di Poppea (65) fece castrare il giovinetto Sporo in muliebrem naturam transfigurare conatus (28). Nel 67 lo sposò con il flàmmeo e un grande corteo nuziale e deductum ad se pro uxore habuit.

Durante il rito, Tigellino fungeva da padre della sposa.

“Non mancava nulla del rituale romano del buon tempo antico-la dote, il velo della sposa, la folla che accompagna la sposa novella a casa del marito, la preghiera per i figli legittimi, forse anche i lazzi volgari…Ma si trattava altresì di un atrimonio greco, perché c’era un contratto (symbòlaion), forma legale greca, non romana; c’era un “padre” per l’ékdosis o consegna della sposa…e la cerimonia avvenne non già a Roma ma durante il viaggio in Grecia e per i Greci” (p. 192) (Dione, 63, 13, 1).

Svetonio narra che Nerone portava con sé il ragazzino per tutte le fiere della Grecia (conventus mercatusque) e circa Sigillaria a Roma, baciandolo in continuazione. Era il mercato delle statuine, di cera o di argilla da donare per i Saturnali. Sigillaria erano anche le statuine e la festa delle statuine. Nerone era il saturnalicus princeps, il re della festa. Aveva fatto castrare Sporo exsectis testibus. Lo aveva chiamati Spovro~ (Seme), come battuta di spirito.

 

I Saturnali.

I Saturnali del dicembre 54 avevano dato a Nerone lo spunto per eliminare Britannico.

Lo racconta Tacito nel XIII libro degli Annales. I ragazzi inter alia ludĭcra, tra gli altri scherzi, sorteggiavano il re e capitò Nerone il quale ordinò a Britannico di intonare qualche canto sperando di renderlo ridicolo. Il ragazzo che aveva 14 anni (Nerone 17) intonò un canto con il quale lamentava di essere stato rimosso dal posto che gli spettava: quia dissimulationem nox et lascivia exemerat (XIII, 15), poiché la notte e la licenza aveva tolto di mezzo la dissimulazione. Britannico due mesi dopo fu avvelenato da Locusta già damnata veneficii.   

I Saturnali erano la grande festa romana del solstizio invernale. Si festeggiavano i giorni più brevi dell’anno, dal 17 dicembre per tre, quattro, fino a sette giorni. Gli schiavi cenavano con i padroni che a volta li servivano . C’era il rovesciamento delle norme sociali. Erano una valvola di sicurezza. La condotta di Nerone si ispirava ai Saturnali.  

“Era la notte dopo i Saturnali/…Roma dormiva, ebbra di sangue. I ludi/eran finiti. In sogno le matrone/ora vedean gladiatori ignudi/…Dormivan su le umane ossa già róse,/le belve in fondo degli anfiteatri;/e gli schiavi tornati erano cose”[9].

Cassio  Dione  aggiunge che Nerone diede a Sporo il nome di Sabina poiché assomigliava a Poppea che era morta (siamo nel 67) . L’aveva fatta morire Nerone colpendola lavx, con un calcio, kuouvsh/, quando era incinta ( nel 65).

C. D. non specifica se Nerone la uccise volutamente (ei[te ejkw;n ei[te a[kwn, 62, 27).

Bologna primo novembre 2024 ore 11, 45 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]Joseph Roth, La marcia di Radetzky , pp.115 e 125). 

 

[2] Cizek, p92.

[3] Cizek, p. 102.

[4] E. Cizek, p. 35.

[5] Scritti corsari , p. 49.

[6] . Si ricordi l'irrisorio "casta est quam nemo rogavit di Ovidio (Amores, I, 8, 44), è casta quella cui nessuno ha fatto proposte.

[7] The strawberry grows underneath the nettle,/ And wholesome berries thrive and ripen best/Neighbour’d by fruit of baser quality:/And so the prince pbscur’d his contemplation/Under the veil of wildness; which, no doubt,/Grew like the summer grass, fastest by night,/Unseen, yet crescive in his faculty  Si tratta in realtà della scena 1 dell’atto II. Ndr.

[8] A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, pp. 220-221.

[9] G. Pascoli, Poemi Conviviali, La Buona Novella, II, in Occidente.