Il toposo dell'esercito sfarzoso e inefficace.
Si pensi all'esercito di Dario III.
L’ateniese Caridemo dice a Dario: verum…et tu forsitan audire nolis, ma
devo dirtela ora. Questo esercito splendente di porpora e di oro può essere
temibile solo per i tuoi vicini “finitimis
potest esse terribilis: nitet purpura auroque, fulget armis” ( Curzio Rufo, III, 2, 12).
Nell’Amphitruo
di Plauto i Telèboi, che poi
vengono sconfitti dai Tebani di Anfitrione, “ex oppido-legiones educunt suas nimi ‘ pulchris armis praedĭtas” (Amphitruo, vv. 217-218), tirano fuori
dalla fortezza le proprie truppe dotate di armi pur troppo belle.
Nel
mondo moderno si può pensare alle uniformi degli ufficiali dell'impero
asburgico in disfacimento, i quali"come incomprensibili adoratori di una
crudele e remota divinità, di cui essi erano a un tempo anche i variopinti e fastosi animali da
sacrificio, andavano su e giù per la città".
Corbulone
Campagna di Corbulone: 58-60, quando
conquista Artaxata.
Corbulone congedò quegli infingardi arruolò nuovi soldati e diede l'esempio: ipse cultu levi, capite intecto, in
laboribus frequens adesse, laudem strenuis, solacium invalidis, exemplum
omnibus ostendere (Tacito, Annales, XIII, 35). Quando fu
accusato di congiurare contro Nerone si
suicidò nel 67 a Corinto dove l'imperatore l'aveva convocato
Altro esempio
Alessandro giunse a Tarso, la capitale della Cilicia. Et tunc aestas erat (del 333) e il re
accaldato volle fare un bagno nel fiume Cidno. Si spogliò fiero di mostrare ai
suoi levi ac parabili cultu corporis se
esse contentum (Curzio Rufo, III,
5, 2) che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente
procurabile.
Così pure Annibale.
Contro i riottosi, Corbulone adopera la medicina forte
di una assoluta severità. Chi
abbandonava le insegne veniva punito con la morte. La dura disciplina funzionò:
quippe pauciores illa castra deseruēre quam ea in quibus ignoscebatur (Tacito, Annales, XIII, 35).
Corbulone conquistò e distrusse Artaxata capitale
dell'Armenia (60). Per tale successo Nerone fu salutato imperator.
Contro Seneca
Intanto (
dal 58) a Roma si levavano voci contro Seneca. Suillius terribilis ac venalis
(era stato console nel 41) diceva che Seneca era un uomo abituato agli ozi
letterari e ai giovani inesperti e che
era invidioso di quanti praticavano un'eloquenza viva per difendere i
cittadini: "livēre iis qui vividam et incorruptam eloquentiam tuendis
civibus exercerent" ( Tacito, Annales, XIII, 42).
Inoltre
aveva commesso adulterio con Giulia Livilla, figlia di Germanico e sorella di
Caligola e Agrippina. Per questo nel
41 era stato mandato in Corsica. Tornato a Roma nel 49 richiamato da Agrippina,
dava la caccia ai testamenti di
persone senza eredi, inoltre spogliava
l'Italia e le province con l'usura: Italiam
et provincias immenso faenŏre hauriri (13, 42).
La Gallia si andava romanizzando, in particolare
quella Narbonese che secondo Plinio il Vecchio era più una parte d'Italia che
una provincia (N. H., 3, 31). Anche
la Spagna si romanizzò.
"Seneca crede dunque che il saggio debba agire
come il più comune dei mortali, ma in una prospettiva differente, cioè
ponendosi un fine morale. E' l' eujkairiva, virtù stoica per eccellenza: il senso della
congiuntura e dell'opportunità, l'adattamento alla realtà".
E' complicità con la realtà. cfr. Ulisse.
"Il saggio
'sa acquistare ciò che è in vendita', diceva Seneca -scit emere
venalia- (De const. sap., 14,
2)".
Dione scrive che Seneca (nel 58) ejneklhvqh o{ti th'/ jAgrippivnh/
sunegivgneto (61, 10) fu accusato di rapporti con Agrippina. In
effetti Agrippina lo fece richiamare nel 49 e gli fece ottenere la pretura.
Inoltre: turannivdo~ kathgorw'n turannodidavskalo~
ejgivneto, e mentre
inveiva contro i cortigiani non stava lontano dal palazzo: "oujk ajfivstato tou' palativou" (61, 10), mentre condannava gli adulatori, aveva adulato Claudio, Messalina e il
liberto Polibio. Criticava la sontuosità degli altri ed era ricchissimo.
Inoltre trasmise a Nerone la passione per i ragazzi.
Nel 58 Seneca se la cavò da queste accuse.
Nerone
poi aveva un amico molto simile a lui: Otone,
cui fece sposare Poppea Sabina per
goderla insieme con lui.
Plutarco
nella Vita di Galba racconta che Otone era peribovhto~ ejn J Rwvmh/ dia; to;n Poppaiva~ gavmon (19, 2), famigerato a Roma per il matrimonio con Poppea.
. Poppea aveva come primo marito
Crispino, prefetto del pretorio sotto Claudio, ma di lei si innamorò Nerone il quale però th;n mhtevra fobouvmeno~, spinse Otone a sposare Poppea.
Otone piaceva a Nerone dia; th;n ajswtivan, per la sua dissolutezza (19, 4) nella quale superava l’imperatore. Otone
convinse Poppea a lasciare il marito. Poi però gli spiaceva di condividerla con
Nerone (h[scalle
metadidouv~ , 19, 7), mentre Poppea non
era infastidita dalla gelosia di Otone. Questo non venne ucciso da Nerone che
lo mandò a governare la Lusitania, ed ebbe Seneca favorevole: Senevkan d’ ei\cen eu[noun (20, 1).
Quindi
Otone appoggiò la ribellione di Galba.
Poppea era affascinata dal culto di Iside
e proteggeva i Giudei.
Flavio Giuseppe la definisce”pia” (Ant. Iud.
20, 8, 11). Era filoorientale.
Nerone dunque si innamorò di Poppea, e
Agrippina per distoglierne il figlio cercava di sedurlo. Cassio Dione non sa se
abbiano praticato incesto: certo è che Nerone frequentava un'etera che
assomigliava assai ad Agrippina.
“Tacito
esamina anch’egli la faccenda: secondo Cluvio Rufo, Agrippina avrebbe fatto
delle avances al figlio; secondo Fabio Rustico, sarebbe avvenuto l’inverso”.
Allora
Poppea spingeva Nerone a uccidere la madre. Lo chiamava pupillum, bambino soggetto alla madre (Annales, XIV,
1).
Poppea, come Agrippina, aspirava al potere: ella
"unde utilitas ostenderetur,
illuc libidinem transferebat " (Annales, XIII, 45),
volgeva la libidine là dove si mostrava l'utile.
Pasolini:"L'interpretazione puramente pragmatica (senza
Carità) delle azioni umane deriva dunque in conclusione da questa assenza di
cultura: o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica".
Poppea
aveva tutto tranne un animo onesto. Dalla madre aveva ricevuto bellezza e
rinomanza. Era bella, ricca, intelligente: modestiam
praferre et lasciviā uti, affettava riservatezza ma era dissoluta. Si
faceva vedere poco in pubblico Rarus in publicum egressus, idque velata parte oris, ne satiaret
aspectum, vel quia sic decebat, per non saziare lo sguardo, o perché le
donava.
Non
si curava della propria reputazione: maritos et adulteros non distinguens.
L’adulterio è un argomento
ricorrente nell'opera di Seneca che ne evidenzia la diffusione a Roma. Nel
De beneficiis leggiamo: “Numquid iam
ullus adulterii pudor est, postquam eo ventum est, ut nulla virum habeat, nisi
ut adulterum inrītet? Argumentum est
deformitatis pudicitia”(III, 16, 3), c'è forse più un poco di
vergogna dell'adulterio, dopo che si è arrivati al punto che nessuna donna ha
il marito, se non per stimolare l'amante? La pudicizia è indizio di bruttezza.
Il
marito Otone la elogiava a Nerone.
Quando
lasciava il banchetto, Otone diceva che andava da quella eccelsa creatura, vota omnium et gaudia felicium,
desiderio di tutti e gioia dei fortunati (molti).
Entrata
a corte, fingeva di non poter contrastare la passione e di essere stata presa
dalla bellezza di Nerone: “impărem cupidini
se et formā Neronis captam simulans” (Annales,
13, 46). Quando l’amore di Nerone divenne acuto, lei diventò superba.
Addirittura umiliava Nerone elogiando Otone
che nel 59 venne allontanato come
governatore della Lusitania. Lì si comportò con saggezza: procax otii et potestatis temperantior,
sfrontato in privato e più saggio nel potere.
Ritratti paradossali
La Penna qualifica come “paradossale” questo tipo di ritratto che raffigura un uomo dissoluto, magari anche criminale,
eppure capace.
“Per esempio, uno splendido calco del ritratto di Catilina,
forse il più splendido dopo quelli fatti da Tacito, è il ritratto del papa Alessandro VI-il Borgia-dipinto dal Guicciardini poco dopo l’inizio della Storia d’Italia (I 2): “perché in Alessandro sesto…fu solerzia
e sagacità singolare, consiglio eccellente, efficacia a persuadere
meravigliosa, e a tutte le faccende gravi sollecitudine e destrezza
incredibile; ma erano queste virtù avanzate di grande intervallo da’ vizi:
costumi oscenissimi, non sincerità non vergogna non verità non fede non religione,
avarizia insaziabile, ambizione immoderata, crudeltà più che barbara e
ardentissima cupidità di esaltare in qualunque modo i figliuoli i quali erano
molti”….Se il Guicciardini ci ha dato un ritratto così affascinante del
principe catilinario, il ritratto dell’altro tipo si potrà riconoscere, in
qualche misura, in un testo molto più celebre, cioè nella tragedia di Shakespeare su Enrico V, il principe dissipato, gozzovigliatore, che
diviene re saggio e capo di eserciti valorosi. A guisa di commiato è
opportuno qui riportare, non solo per la sua grazia ma anche per la sua
profondità, un passo celebre in cui Shakespeare cerca di spiegare come grandi
qualità potessero celarsi nel principe libertino (atto I, scena 2,
60 sgg,): “la fragola cresce sotto l’ortica
e le bacche salutari prosperano e maturano meglio in compagnia di frutti di
qualità inferiore: così il principe celò il suo spirito di osservazione sotto
le apparenze del libertinaggio, e questo spirito senza dubbio deve aver fatto
come l’erba estiva che cresce di notte non vista, ma proprio allora più
soggetta alla forza di sviluppo che le è insita” (trad. di F. Baiocchi). E’
probabile che Shakespeare non debba nulla alla tradizione antica del ritratto
“paradossale” di tipo “petroniano”.
Al “paradosso” della
compresenza di vizi e virtù egli aggiunge un altro “paradosso”, secondo cui il
vizio può essere condizione favorevole alla segreta crescita della virtù; chi mai nell’antichità avrebbe
potuto accettarlo? Non è poca cosa, comunque, che storici antichi quali
Sallustio e Tacito avessero messo a fuoco il problema: il loro travaglio di
pensiero, che coglie le contraddizioni di una realtà sempre più ricca ed
oscura, non li porta troppo lontano dal genio del poeta moderno”.
Plutarco racconta la
morte di Otone scrivendo che non visse più decorosamente di Nerone ma morì più
nobilmente ( Vita di Otone, 18, 2).
Nerone non si curava più di coprire
scelleratezze e turpitudini
Svetonio riferisce altre nefandezze di Nerone: dopo la morte
di Poppea (65) fece castrare il
giovinetto Sporo in muliebrem naturam
transfigurare conatus (28). Nel 67 lo sposò con il flàmmeo e un grande
corteo nuziale e deductum ad se pro uxore
habuit.
Durante il rito, Tigellino fungeva da
padre della sposa.
“Non
mancava nulla del rituale romano del buon tempo antico-la dote, il velo della
sposa, la folla che accompagna la sposa novella a casa del marito, la preghiera
per i figli legittimi, forse anche i lazzi volgari…Ma si trattava altresì di un
atrimonio greco, perché c’era un contratto (symbòlaion),
forma legale greca, non romana; c’era un
“padre” per l’ékdosis o consegna
della sposa…e la cerimonia avvenne non già a Roma ma durante il viaggio in
Grecia e per i Greci” (p. 192) (Dione,
63, 13, 1).
Svetonio
narra che Nerone portava con sé il ragazzino per tutte le fiere della Grecia (conventus mercatusque) e circa Sigillaria a Roma, baciandolo in continuazione. Era il mercato
delle statuine, di cera o di argilla da donare per i Saturnali. Sigillaria erano anche le statuine e la
festa delle statuine. Nerone era il saturnalicus
princeps, il re della festa. Aveva
fatto castrare Sporo exsectis testibus.
Lo aveva chiamati Spovro~ (Seme),
come battuta di spirito.
I Saturnali.
I Saturnali del dicembre 54 avevano dato a Nerone lo spunto per eliminare
Britannico.
Lo
racconta Tacito nel XIII libro degli
Annales.
I ragazzi inter alia ludĭcra, tra gli
altri scherzi, sorteggiavano il re e capitò Nerone il quale ordinò a Britannico
di intonare qualche canto sperando di renderlo ridicolo. Il ragazzo che aveva
14 anni (Nerone 17) intonò un canto con il quale lamentava di essere stato
rimosso dal posto che gli spettava: quia
dissimulationem nox et lascivia exemerat (XIII, 15), poiché la notte e la
licenza aveva tolto di mezzo la dissimulazione. Britannico due mesi dopo fu
avvelenato da Locusta già damnata
veneficii.
I Saturnali erano la grande festa romana
del solstizio invernale. Si festeggiavano i giorni più brevi dell’anno, dal 17
dicembre per tre, quattro, fino a sette giorni. Gli schiavi cenavano con i padroni che a volta li
servivano . C’era il rovesciamento delle
norme sociali. Erano una valvola di sicurezza. La condotta di Nerone si
ispirava ai Saturnali.
“Era
la notte dopo i Saturnali/…Roma dormiva, ebbra di sangue. I ludi/eran finiti.
In sogno le matrone/ora vedean gladiatori ignudi/…Dormivan su le umane ossa già
róse,/le belve in fondo degli anfiteatri;/e gli schiavi tornati erano cose”.
Cassio Dione
aggiunge che Nerone diede a Sporo il
nome di Sabina poiché assomigliava a Poppea che era morta (siamo nel 67) . L’aveva
fatta morire Nerone colpendola lavx, con un calcio, kuouvsh/, quando era incinta ( nel 65).
C.
D. non specifica se Nerone la uccise volutamente (ei[te ejkw;n ei[te a[kwn, 62, 27).
Bologna
primo novembre 2024 ore 11, 45 giovanni ghiselli
p.
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Joseph Roth, La
marcia di Radetzky , pp.115 e 125).
G. Pascoli, Poemi Conviviali, La Buona Novella, II, in Occidente.