NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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martedì 26 novembre 2024

Metodologia 7-8-9.


 

7. Il metodo comparativo può essere applicato agli oggetti. L’ensis del suicidio di Didone in Virgilio e la spada di Aiace in Omero e Sofocle.  Lo scudo in Archiloco, Orazio, Tacito. La letteratura europea diventa organica. Il fine è il potenziamento etico ed estetico dei giovani i quali, da parte loro, ci curano l’anima.

Anche gli oggetti materiali hanno presenze simultanee. L'ensis lasciata[1] da Enea e impiegata da Didone, quale dono richiesto non per essere usato in quel modo[2], ossia  per il suicidio, risale all'Aiace di Sofocle dove il Telamonio si uccide con la spada a borchie d'argento (xivfo" ajrgurovhlon) ricevuta in dono da Ettore[3], dopo averla ricordata come e[cqiston belw'n (Aiace, v. 658), la più odiosa tra le armi, e avere sentenziato che sono non doni, i doni dei nemici e non sono vantaggiosi:"ejcqrw'n a[dwra dw'ra koujk ojnhvsima" (v. 665).

In questo modo Virgilio non solo ci ricorda una concatenazione tragica dei destini, ma ci riporta, attraverso Sofocle, a Omero. Insomma accade che la letteratura europea diventi organica swmatoeidh' sumbaivnei givnesqai, poiché succede che si intreccino (sumplevkesqai) le opere degli autori, e  tendano tutte verso un unico fine (kai; pro;" e{n givnesqai tevlo" ). Polibio afferma questo a proposito dei fatti della  storia mondiale, unificati dai Romani in rebus ipsis, e da lui stesso nel racconto[4]. Per lo storiografo protetto dagli Scipioni il fine è l’impero romano. Per noi insegnanti deve essere l'educazione e il potenziamento mentale, etico ed estetico dei giovani. Essi da parte loro “ci curano l’anima”[5]. 

 

Si può pensare anche allo scudo carico di significati psicologici in Archiloco (fr. 6 D.), in Orazio (Odi, II, 7, 10), in Tacito (Germania, 6, 7).

 

 

8. Già gli antichi avevano coscienza di stare sulle spalle di Giganti del passato. Eschilo. Teocrito, Callimaco,  la poesia post-filosofica, e la cultura come “vasta forma del ricordo”  (Bruno Snell). Terenzio. Leopardi, Musil.

La coscienza di non dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi: Eschilo[6] diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" o}" ta;" auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen tw'n   JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[7]); Callimaco[8] afferma: "ajmavrturon oujde;n ajeivdw"[9], non canto nulla che non sia testimoniato.

Bruno Snell distingue la poesia greca pre-filosofica da quella post-filosofica e mette in rilievo il fatto che Teocrito e Callimaco costituiscono la fioritura della nuova poesia, ben diversa da quella arcaica e da quella classica: “"Questi poeti ellenistici erano, per dirla in una parola, post-filosofici, mentre i poeti arcaici erano pre-filosofici… La filosofia aveva dunque raggiunto in Grecia i risultati più alti, quando in un nuovo centro spirituale, in Alessandria d’Egitto, residenza dei Tolomei, si formò una cerchia di poeti, fra cui Teocrito e il più notevole di tutti, Callimaco, i quali portarono la poesia a una nuova fioritura. Post-filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo, e nell’esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall’universale…e si rivolgono al particolare. Post-filosofico è in particolar modo Callimaco…Egli prende sul serio soltanto le cose già note per tradizione. Anche se sfrutta a fini scherzosi la ricca tradizione letteraria greca che gli offriva la biblioteca di Alessandria, c’è in lui un autentico interesse di studioso per la ricerca e la conservazione erudita…

Callimaco vive a tal punto (se così si può dire) “di seconda mano”, che si esita ad attribuirgli una qualsiasi “scoperta”. Ma le sue conquiste hanno un valore così importante per la cultura europea, che egli può essere considerato uno dei suoi precursori. Cultura è per lui quella vasta forma del ricordo che non solo sa mettere spiritosamente in contatto cose fra loro distanti e divertire con sorprendenti trovate l'ascoltatore, ma che abbraccia anche, con largo sguardo, le varie parvenze della vita"[10]

 

Successivamente diversi altri autori hanno riconosciuto il loro debito all’edificio nobile e antico della tradizione.

Terenzio[11]  nel Prologo[12] dell'Eunuchus [13], che contamina l’ Eujnou'co" con il Kovlax di Menandro, dichiara: "Denique/nullum est iam dictum quod non dictum sit prius" (vv. 40-41), in fin dei conti, non c'è più nessuna battuta che non sia  stata detta prima.

 

Leopardi ebbe a scrivere "Tutto si è perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia"[14].

Robert Musil[15] attraverso il suo protagonista Ulrich, il quale gioca sempre al ribasso, parla ironicamente di una  "catena di plagi"[16] che lega le grandi figure del mondo artistico l'una all'altra.

 

 

 

 

9. Nelle pagine di un autore moderno si devono leggere in filigrana altri auctores della tradizione europea. Eliot, Shakespeare e Seneca. La difesa dell’identità e il “darsi animo”. La tematica senecana dell’orrore ripresa dal teatro elisabettiano. L’Ecerinis (del 1314) di Albertino Mussato. Ferruccio Bertini e George Uscatescu.

 

 T. S. Eliot trova precise analogie tra i personaggi di Seneca e quelli del teatro elisabettiano:"Nell'Inghilterra elisabettiana si hanno condizioni in apparenza affatto diverse da quelle di Roma imperiale. Ma era un'epoca di dissoluzione e di caos; e in tale epoca, qualsiasi attitudine emotiva che sembri dare all'uomo alcunché di stabile, anche se è soltanto l'attitudine di "io sono solo me stesso", è avidamente assunta. Ho appena bisogno di segnalare (...) quanto prontamente, in un'epoca come l'elisabettiana, l'attitudine senechiana dell'orgoglio, l'attitudine montaigniana dello scetticismo, e l'attitudine machiavellica del cinismo giunsero a una specie di fusione nell'individualismo elisabettiano. Questo individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente, sfruttato molto a causa delle sue possibilità drammatiche...Antonio dice "Sono ancora Antonio [17]" e la Duchessa "Sono ancora Duchessa di Amalfi "[18]; avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse detto Medea superest ?"[19].

La Duchessa di Amalfi dice anche:"sappiate che condannata ch'io sia a vivere o a morire, posso comportarmi in entrambi i casi da principessa" (III, 2).

 

"E questa crisi socio-politica, ideologica e cosmica, dell'identità dell'io non produce soltanto la rinuncia, l'isolamento, e, in sostanza, il non-io, bensì due altre soluzioni egualmente importanti: e cioè, da un lato un paranoico amore di sé, con conseguente narcisistica interiorizzazione del mondo esterno, dall'altro la formazione mostruosa di un super-io che cerca di opporre pari possanza innanzi alle travolgenti forze nemiche, una esasperazione della volontà e una smaniosa ricerca di gloria. Sta in questi esiti della crisi dell'identità tutto l'animo barocco, e a questi offriva modelli tragici in abbondanza , ed un linguaggio già confezionato, sia il teatro di Seneca che il suo pensiero"[20].

 

Questo aggrapparsi alla propria identità fa parte dell’atteggiamento che Eliot definisce del “ darsi animo”. Lo individua nello stoicismo romano di cui Seneca è il rappresentante letterario, in Shakespeare e in Nietzsche:"Nietzsche è il più cospicuo esempio moderno del darsi animo. L'attitudine stoica è il rovescio dell'umiltà cristiana"[21]. Ed ecco l’Edipo di Seneca che si dà animo: l'accusa di paura non lo riguarda poiché ha la grande benemerenza di avere affrontato e confutato  la Sfinge :"Nec Sphinga coecis verba nectentem modis/fugi " (Oedipus, v. 92) io non sono fuggito davanti alla Sfinge che intricava le parole in ciechi stilemi.

Non solo: “Shakespeare, "simile al mondo ed alla vita", secondo Kott, riprende la tematica senecana dell'orrore, e l' atrocità shakespeariana non stupisce, non ci è mai lontana. Titus Andronicus, Riccardo III , si ritrovano in Medea e Thyestes. Da Titus Andronicus fino ad Amleto, fino alla crudeltà senza nome della morte di Cordelia. In Shakespeare, il teatro di sangue che porta l'insegna senecana, raggiunge il suo punto culminante"[22].

 George Uscatescu ricorda fu Albertino Mussato (1261-1329) "il primo scrittore moderno che volle imitare le tragedie di Seneca. Mussato, scopritore di un "Seneca tragicus" (Ecerinis [23]) sotto la descrizione dei crimini di Ezzelino[24], rappresenta i crimini del suo contemporaneo Cangrande della Scala, il tiranno di Verona e cerca il suo modello nei temi di orrore e di sangue delle tragedie di Seneca…Si inizia la traiettoria moderna di un Seneca tragicus…che culmina nella esposizione che ci offre Shakespeare in Titus Andronicus, opera degna del più specifico Tieste o di Medea. Esposizione tematica del teatro della crudeltà così formulata:"I must talk of murders, rapes and massacres/Acts of black night, abominable deeds,/ Complots of mischief, treason, villainies/ Ruthful to hear, yet piteously performed " (V, 1, 63-66)"[25], io devo parlare di assassinii, stupri e massacri, atti della nera notte, azioni abominevoli, complotti del demonio, tradimenti, malvagità, penosi a udirsi, eppure eseguiti in modo da fare pietà. Sono parole di Aaron il moro amato da Tamora[26].

Sentiamo Ferruccio Bertini a proposito dell’influenza di Seneca sulla  rinascita preumanistica del genere tragico : “uno dei punti di svolta decisivi nella storia della rinascita del genere tragico di matrice classica è senz’altro costituito dalla stimolante scoperta, forse nell’abbazia di Pomposa, d’un nuovo manoscritto contenente le tragedie di Seneca (eccettuata l’Octavia), l’Etruscus, che risale alla fine dell’XI secolo, ma la cui famiglia deve avere avuto origine nel secolo IX. Tale ritrovamento condusse Lovato Lovati, il promotore del cosiddetto preumanesimo padovano, e l’ambiente culturale raccolto attorno al suo magistero, a una nuova riflessione sul genere tragico, tanto critica ed esegetica, quanto, di lì a poco, operativa sul duplice piano della ricezione e della scrittura emulativa. Proprio in questo milieu si colloca e si giustifica l’opera di Albertino Mussato, allievo di Lovati, che fu “in grado di identificare alcuni elementi costitutivi delle tragedie senecane, come il tema della volubilità della fortuna, l’importanza della varietà metrica, le finalità pedagogiche, e il concetto-sia pure non perfettamente assimilato-di catarsi aristotelica”[27]. Se i grandi tragici antichi si ispiravano agli eroi del mito, il Mussato riscrive e attualizza in chiave moderna l’Octavia e il Thyestes, contaminandoli, mentre trae ispirazione per l’argumentum e per il truculento intreccio della sua tragedia dalla recente storia narrata nei Cronica Marchie Trivixiane ( composti fra il 1260 e il 1262) del conterraneo Rolandino da Padova. Nell’Ecerinis egli ripercorre, infatti, la vita e i criminosi misfatti del tiranno locale, Ezzelino da Romano, novello Nerone e, al contempo, novello Atreo per l’empietà sanguinaria delle nefandezze compiute, dalla leggendaria nascita per opera diabolica nel 1194 sino alla terribile  morte (1259) sua e di suo fratello Alberico (1260). L’intento evidente era quello di riattizzare nei Padovani la fiamma sopita dell’orgoglio campanilistico, ricordando, con un terribile monito di avvertimento, le atrocità commesse dagli atroci despoti del secolo passato, nel momento dell’inquietante ascesa politica di Cangrande della Scala. Per far questo, egli decide di comporre non un pamplhet politico dagli intenti parenetici, ma una tragedia a tinte cupe basata sul modello dell’antico Cordovano, aprendo in tal modo, con lo spirito del precursore, la grande stagione della tragedia rinascimentale di imitazione senecana. Del frutto prematuro l’Ecerinis ha tutti i limiti e i difetti, ma si può convenire con Gustavo Vinay che essa costituisce “il punto di arrivo di una complessa corrente spirituale, durata otto secoli, dominata dal gusto per il pauroso e per il macabro, ma sorretta anche da un profondo desiderio di liberazione e di pace: di quella pace che il Mussato e tanti altri come lui cercavano in Boezio e, perché no, nel più antico consolatore romano, Seneca[28][29].  

 

 Bologna 26  novembre 2024 ore 19, 41 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Eneide, IV, 507.

[2] Eneide IV, 647.

[3]  Nell'Iliade , VII, 303.

[4] Polibio, Storie, I, 3, 4.

[5] F. Dostoevskij, L’idiota, p. 84.

[6] 525-455 a. C.

[7] Ateneo (II-III sec. d. C.) I Deipnosofisti, VIII, 39.

[8]305 ca-240ca a. C.

[9] Fr. 612 Pfeiffer.  

[10] B. Snell, Il giocoso in Callimaco in La cultura greca e le origini del pensiero europeo”, pp. 371 sgg.

[11] 190ca-159ca a. C.

[12] "Luogo privilegiato della commedia dal punto di vista delle informazioni date, siano esse di trama o di poetica" (G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 1, p. X9.

[13] Del 161 a. C.

[14]Zibaldone ,  58.

[15] 1880-1942.

[16]L'uomo senza qualità , p. 270.

[17] "I am Antony yet ", Antonio e Cleopatra (del 1606-1607) , III, 13.

[18]Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J. Webster  (1580-1625).

[19]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, (del 1927) in T. S. Eliot Opere , p. 800.

[20] M. Pagnini, Seneca e il teatro elisabettiano, in "Dioniso" LII,  1981, p. 412,

[21] Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot, Opere, p. 799.

[22]  George Uscatescu, Seneca e la tradizione del teatro di sangue, "Dioniso" 1981, p. 387.

[23] Del 1314 .

[24] Crudelis ut Nero (ndr)

[25] George Uscatescu, op. cit,. p. 374

[26]Tante, troppe parole che fanno pensare a questo giudizio di Nietzsche:" Shakespeare..paragonato con Sofocle, è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo più nobile, tale da far quasi dimenticare il suo valore come metallo" Umano, troppo umano II vol. , p. 57..

 

[27] S. Pittalunga, Modelli classici e filologia nell’Ecerinis di Albertino Mussato, in La scena interdetta Napoli 2002, pp. 245-246, in part. p. 246…Sulla riscoperta di Seneca tragico nel Medioevo cfr. inoltre, del medesimo studioso, Mestissima mortis imago (note su Seneca tragico nel Medioevo e nell’Umanesimo), in La scena interdetta cit. pp. 257-265.

[28] G. Vinay, Studi sul Mussato, “Giornale Storico della Letteratura Italiana”, 126 (1949), p. 159.

[29]  F. Bertini, XXVI Convegno Internazionale, Tragedie dell’onore nell’Europa Barocca, Roma, 12-15 settembre 2002., pp.37-39.

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