Il mito
Erodoto ha raccontato un mito: ebbene i miti sono quasi sempre racconti sulle origini e spesso danno forma, per dirla con Nietzsche a “un’immagine concentrata del mondo”[1], un’immagine che può essere spiegata e attualizzata fino a darci chiarimenti su eventi cui assistiamo o partecipiamo ogni giorno.
Il mito fa parte della nostra vita, realmente: Pasolini nel film Medea fa dire al Centauro il quale istruisce il piccolo Giasone che dovrà andare in cerca del vello d’oro “in un paese lontano al di là del mare. Qui farai esperienze di un mondo che è ben lontano dall’uso della nostra ragione, la sua vita è molto realistica come vedrai perché solo chi è mitico è realistico e solo chi è realistico è mitico”[2].
La pubblicità recupera e utilizza tutto: anche il mito
A proposito della pubblicità, il più effimero degli eventi, anche questa è collegabile al mito: la prima réclame scritta è quella di inviata da Aconzio a Cidippe.
Bettini afferma che "anche i pubblicitari sono degli Aconzi"[3]. Il giovane Aconzio obbligò Cidippe a sposarlo scrivendo delle parole e facendole leggere alla ragazza che era sul punto di maritarsi con un altro.
"La scrittura di Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per sottrarsi alla sua trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?"[4]. Nella festa di Apollo a Delo, Aconzio di Ceo si innamora di Cidippe di Nasso e la vincola a sé gettandole un pomo su cui aveva scritto: “Lo giuro per Artemide: io sposerò Aconzio”.
Questo racconto si trova negli Aitia di Callimaco. Febo rivelò a Ceuce, il padre di Cidippe che la ragazza in procinto di sposare il fidanzato si ammalava a morte poiché un giuramento grave (baru;~ o{rko~, Aitia fr. 75 Pf., v. 22) impediva le nozze alla fanciulla la quale fu sentita da Artemide in visita a Delo quando giurò che avrebbe avuto come sposo Aconzio e non altri ( jAkovntion oJppovte sh; pai`~-w[mosen, oujk a[llon, numfivon ejxemevnai[5] (vv. 26-27).
La storia è narrata anche da Ovidio nelle Heroides. Aconzio scrive a Cidippe e le ricorda “volubile malum-verba ferens doctis insidiosa notis” (XX, 211-212), la mela che rotolava portando parole insidiose in formule dotte. Queste furono lette nella sacra presenza di Diana e la fides di Cidippe ne rimase vincta.
Cidippe risponde ad Aconzio che sta morendo, si sente sballottata come una nave, ipsa velut navis iactor (XXI v. 43), veneficiis tuis (54) per le tue parole avvelenate. Ricorda che navigava verso Delo impaziente di arrivare. Aconzio ne vide la semplicità e gli sembrò che potesse essere facile preda: “visaque simplicitas est mea posse capi” (v. 106). Le venne gettata davanti ai piedi una mela con quei versi che Cidippe non vuole ripetere “mittitur ante pedes malum cum carmine tali ” (v. 109). La nutrice raccolse l’ingannevole frutto e lo fece leggere alla ragazza: “insidias legi, magne poeta, tuas” (112). Aconzio non deve essere fiero di avere preso con ‘inganno una fanciulla poco esperta :
“ sumque parum prudens capta puella dolis” (v. 124). E’ stata ingannata come Atalanta da Ippòmene che lanciò i pomi d’oro delle Esperidi. Aconzio avrebbe dovuto convincerla more bonis solito (v. 129), come fanno i galantuomini, non ingannarla costringendola a proferire sine pectore vocem (143), una voce senza anima. Ora, invece della fiaccola di nozze c’è quella di morte: “et face pro thalami fax mihi mortis adest” (v. 174). “mirabar quare tibi nomen Acontius esset” (v. 211), mi domandavo con stupore perché ti chiamassi Aconzio , ora lo so[6]: “quod faciat longe vulnus, acumen habes” (v. 212), hai una punta che provoca ferite anche da lontano. La ragazza ferita sta morendo: “concidimus macie, color est sine sanguine, qualem/in pomo refero mente fuisse tuo” (vv. 217-218), sono estenuata dalla magrezza, il colore è senza sangue, quale, come ricordo, era il tuo pomo.
Ecco dunque il paradigma mitico del tossico pubblicitario delle parole ingannevoli e velenose continuamente scagliate dalla pubblicità.
I classici dotano di spirito critico chi li legge, li capisce e li impara
Le voci di questi auctores, veri e propri accrescitori della nostra anima, della nostra capacità di intendere il mondo, conservano la loro eco attraverso i secoli e tutta la letteratura europea forma un corpo, del quale, come scrisse T. S, Eliot, il latino e il greco sono il sangue.
"Il latino e il greco[7] costituiscono la corrente sanguigna della letteratura europea: e come un solo, non già due distinti sistemi di circolazione; giacché è attraverso Roma che possiamo ritrovare la nostra parentela con la Grecia"[8].
Il fatto è che se non saliamo sulle spalle dei classici e ci lasciamo confondere dal frastuono ignorandoli, rimane assai limitata la nostra visione, non solo quella esterna del mondo, ma anche quella interiore, di noi stessi.
A questo proposito ricordo un aforisma che il vescovo teologo Giovanni di Salysbury (XII secolo) attribuisce a Bernardo di Chartres[9]:"Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possīmus plura eis et remotiora videre, non utĭque proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantēa" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca.
Del resto la coscienza di non dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi: Eschilo[10] diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" … o}" ta;" auJtou' tragw/diva" temavch[11] ei\nai e[legen tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[12]); e Callimaco[13] afferma: "ajmavrturon oujde;n ajeivdw"[14], non canto nulla che non sia testimoniato.
Bologna 15 novembre 2024 ore 18, 20 giovanni ghiselli
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[1] La nascita della tragedia, cap.22.
[2] P. P. Pasolini, Medea in Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, p. 545-
[3]Con i libri , p. 9.
[4]M. Bettini, op. cit., p. 10.
[5] Infinito futuro epico di e[cw.
[6] ajkovntion significa dardo
[7] Io metterei prima il greco.
[8] Che cos’è un classico? In T. S. Eliot, Opere, p. 975.
[9] Filosofo scolastico francese morto nel 1130. Scrisse un’opera su Porfirio.
[10] 525-455 a. C.
[11] Cfr. tevmnw. “taglio”.
[12] Ateneo (II-III sec. d. C.) I Deipnosofisti, VIII, 39.
[13]305 ca-240ca a. C.
[14] Fr. 612 Pfeiffer.
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