54. Odisseo come eroe e artista dell’eloquio. Non è bello, ma le sue parole sono simili a fiocchi di neve (Iliade III). In lui c’è morfh; ejpevwn, come in un aedo (Odissea, XI). Nel Filottete, Odisseo afferma la supremazia della lingua, guida della vita umana.
Nel Filottete di Sofocle Odisseo chiarisce al giovane Neottolemo il percorso che l'ha portato a prediligere la glw'ssa rispetto agli e[rga:" ejsqlou' patro;" pai', kaujto;" w]n nevo" pote;- glw'ssan me;n ajrgo;n, cei'ra d j ei\con ejrgavtin:-nu'n d j eij" e[legcon ejxiw;n oJrw' brotoi'"-th;n glw'ssan, oujci; ta[rga, panq j hJgoumevnhn" (vv. 96-99), figlio di nobile padre, anche io da giovane un tempo, avevo la lingua incapace di agire, la mano invece operosa; ora però, giunto alla prova, vedo che per gli uomini la lingua ha la supremazia su tutto, non le azioni.
Persino nelle guerre possono essere decisive le parole
La guerra, allora come ora, era fatta pure di propaganda e i duci ne erano consapevoli. Alessandro Magno, dopo la scoperta della seconda congiura: quella “dei paggi”[1] affermò che ricevere il nome di figlio di Giove aiuta a vincere le guerre: “Famā [2] enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit” ( Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 8, 8, 15), le guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità[3].
Dopo la conquista della rupe di Aorno (326 a. C.) Alessandro magnae victoriae speciem fecit[4], creò l’apparenza di una grande vittoria con sacrifici e cerimonie in onore degli dèi.
Nelle Storie di Livio, il console Claudio Nerone, in rapida marcia contro Asdrubale, che verrà sconfitto poco dopo, sul fiume Metauro (tra Fano e Senigallia, 207 a. C.) arringa brevemente i soldati dicendo: “Famam bella conficere, et parva momenta in spem metumque impellere animos” (27, 45), quanto si dice decide le guerre, e circostanze anche piccole spingono gli animi alla speranza e alla paura.
Si può chiarire il valore pratico, oltre che estetico, della parola attraverso l'espressione di Tucidide ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I, 22, 2), le azioni tra i fatti. L'altra componente dei fatti , precedente i fatti, preparazione dei fatti, dei fatti, sono le parole-lovgoi- dette dai capi della guerra: sul modo di riferirle, Tucidide dichiara le intenzioni e il metodo nella prima parte del capitolo metodologico (I, 22, 1).
54. 1. Il culto del successo attraverso la parola non va disgiunto dalla morale. Infatti la parola è un'arma potentissima, dal doppio taglio. Socrate nelle Nuvole e, di nuovo, Odisseo nel Filottete. Gorgia. L’apostolo Giacomo. Socrate nelle Nuvole di Aristofane. L’Odisseo di Pindaro fa torto all’a[glwsso~ Aiace (Nemea VIII). L’Ulisse di Virgilio, scelerum inventor. Fedra nell’Ippolito di Euripide non parla per sfiducia nelle lingua.
55. La Persuasione come divinità (Hillman). Il personaggio Euripide delle Rane di Aristofane: la parola è il tempio della dea Persuasione. Cicerone: l’equivalenza di Peiqwv e Suada.
56. Peiqwv è connessa, anche etimologicamente, a Fides, valore di base nella civiltà latina, politico, giuridico, e pure etico. Cicerone la considera fundamentum iustitiae. La fides di Camillo in Tito Livio. Perfidia di Lisandro in Plutarco, e del Principe “golpe et lione” di Machiavelli. La perfidia plus quam punica di Annibale. Il graeculus[5] di Giovenale. Il culto della perfidia negli schiavi plautini. L’ostinazione nel mantenere la parola data dei Germani di Tacito. Teognide: malafede e ingratitudine dei kakoiv. Nietzsche e gli aristocratici “veritieri”. Don Giovanni di Mozart-Da Ponte.
57. Torniamo alla supremazia della parola. Don Lorenzo Milani: "bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola"[6].
Isocrate (Nicocle), il Vangelo di Giovanni. " jEn ajrch'/ h\n oJ lovgo", kai; oJ lovgo~ h\n pro;" to;n qeovn, kai; qeo;" h\n oJ lovgo". ou|to" h\n ejn ajrch'/ pro;" to;n qeovn. pavnta di' aujtou' ejgevneto, kai; cwri;" aujtou' ejgevneto oujdevn. In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil (1, 1-3), in principio c'era la Parola e la Parola era con Dio e la Parola era Dio. Questa era in principio con Dio. Tutto fu fatto tramite lei e senza lei nulla fu fatto. Quindi il verbo si fece carne:"kai; oJ lovgo" savrx ejgevneto" (14). Io collego questa affermazione, del tutto arbitrariamente, alla facundia persuasiva che attira gli ascoltatori, massime le donne, poiché è in corpo di donna che il verbo si fa carne.
Di nuovo il Nicocle di Isocrate. La traduzione: Leopardi, che ha tradotto Isocrate, riflette sulla traduzione perfetta. Cicerone sconsiglia quella letterale.
Bologna 24 novembre 2024 ore 18, 03 giovanni ghiselli
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[1] Avvenuta in Sogdiana, l’attuale Uzbekistan, nella primavera 327 a. C
[2] Cfr. fhmiv. La gente non solo vive e mangia ma pure fa e interpreta la guerra seguendo il “si dice”. Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci secondo il "si dice".
[3] Cfr. Historiae Alexandri Magni, 3, 8, 7 dove Dario, prima della battaglia di Isso (novembre 333), dice “famā bella stare”. Come nelle Eumenidi di Eschilo, le parti in conflitto hanno un pensiero comune.
[4] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 8, 11, 24.
[5] Cfr. 17 e 25.
[6]Lettera a una professoressa , p. 95.
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