NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 16 dicembre 2024

Ifigenia LIV. L’inverno a Pesaro 6. Il tentativo di pacificazione


 

La sera dopo la cena amorevolmente peparata dalle due zie guardavo la televisione in loro compagnia. A un tratto comparve l’immagine di una femmina babilonica che orrendamente truccata diceva parole senza senso,  pronunciandole con prepotenza canagliesca. Le sorelle di mia madre si agitavano sulle sedie per il disgusto. Una zia disse: “vedi quella Gianni?  Stai attento: il mondo ne è pieno!”. “Lo so, lo so, non preoccuparti”, cercai di assicurarla.

Intanto però pensavo con accoramento doloroso alla bella creatura che forse mi stava sfuggendo.

Volevo concentrarmi sugli ostacoli che dovevo saltare per procedere sulla via del riscatto dall’umiliazione e frustrazione subìta nel lavoro all’inizio dell’anno scolastico. Ho sempre reagito alle difficoltà, agli insuccessi e alle disgrazie opponendovi tutte le mie forze, fin da bambino  e questa volta non potevo essere da meno. Mi alzai, mi scusai, diedi la buonanotte alle zie e mi incamminai verso il mare.

 Un cammino breve e privo di inciampi.

Eppure sentivo un acuto dolore nel petto. Capivo di avere ancora bisogno di Ifigenia siccome in quella ragazza splendente vedevo incarnata la quintessenza della natura radiosa e trionfante sull’ottuso grigiore dei pensieri e degli atti comuni  diffusi in quanto funzionali al sistema.

Avevo bisogno del soccorso di quella giovane collega inusuale, probabilmente libertina, perché mi liberasse dall’oppressione inflittami periodicamente dai miei guardiani e aguzzini che volevano tenere schiacciati i miei istinti vitali e mentali sotto il peso dei sensi di colpa.

Fin da bambino mi piacevano il sole della nuda estate incoronata di spighe, mi piacevano molto le donne, mi piaceva pensare con la mia testa e approvare o disapprovare con i gusti miei anche se mi dicevano che tutto questo era male e mi avrebbe portato alla rovina.

Dovevo tenere duro, come sempre ho fatto.  Difendere la mia identità per quanto anomale e strana. Più che normale era, egregia, e questo ai mediocri asserviti non è mai andato giù.

Giunsi di nuovo sulla riva del mare. I venti si erano quasi placati. Il cielo a occidente era sereno ma avanzava da Fano, Fanum Fortunae una nebbia salata che ottundeva le stelle e inebetiva la luna. “Fortuna è una vox media- pensai- e voglio volgerla al meglio. Devo dissipare la nebbia del cuore e del cervello. Devo capire gli antichi dolori. Devo riprendere a parlare con la natura: il mare, i monti, i fiumi,  il cielo cui mi rivolgevo chiedendo aiuto e lumi  quando ero bambino qui a Pesaro, a Moena, a Montegridolfo, a Potenza Picena fissando Recanati e recitando a memoria i versi di Leopardi che mi riguardavano. Erano stati scritti per quelli come me.

 Da adolescente ho cercato e raggiunto successi effimeri, locali, svaniti alla fine del liceo pesarese. Allora mi sono messo di traverso sulla mia strada  ostacolando me stesso, infelice, e impedito di fare qualsiasi cosa buona. Ma con il volgersi delle stagioni ho recuperato parte delle mie forze grazie all’aiuto di persone oneste, di amici cari che mi hanno accettato pur diverso e strano com’ero, di donne buone e del tutto accoglienti, quindi ho acquisito potenza professionale e mentale  attraverso tre anni di studio continuo e indefesso. Da quando c’è Ifigenia, la mia vita è diventata più piena e più lieta. Ora è tempo di togliere  tutti gli ostacoli costituiti dai pensieri angosciosi che la casa di Pesaro fa riaffiorare con gli antichi dolori.

Non è probabile che quel fantasioso ragazzo menzionato nella telefonata orribile  sia un genio. Non ce ne sono tanti nemmeno su tutta la terra. Se Ifigenia è come appare nei suoi momenti migliori, non si accontenterà di uno da meno di me. Se troverà di meglio, farò i complimenti a lei e a lui.

Quindi troverò di meglio anche io”.

Pensato questo, andai a dormire pacificato e sereno come il cielo da dove era svanita la nebbia sparendo dietro la  Panoramica del monte San Bartolo, verso Cattolica,  spinta dal vento già fino a Focara.

 

Bologna 16 dicembe  2024 ore 9, 40 giovanni ghiselli

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Mi è piaciuta la danza pirrica- purrich; o[rchsi~- improvvisata da Sofia Goggia sul traguardo.

 

 

 

 

Ifigenia LIII. L’inverno a Pesaro 4. E colpo e contraccolpo e pena su pena si posa. La rosa dei vènti.


 

Dopo pranzo, fatti gli auguri alle zie, mi avviai verso la riva del mare, il confidente antico dei miei dolori e delle mie gioie. Come le montagne a Moena e la grande foresta  nelle estati di Debrecen.

Soffrivo e cercavo di raccapezzarmi. Certo: la telefonata era stata quella di una nemica che voleva inquietarmi. Rimuginavo cercando una via di uscita. Disprezzavo quella donna che aveva cercato di ingelosirmi, tuttavia avevo paura di perdere la ragazza che mi donava il suo corpo bello, saporito, odoroso e mi riempiva di gioia  in alcune giornate.

Le mostruosità di quella vigilia di Natale  andavano confutate e sconfitte con la forza della delicatezza.

Dovevo imparare a impiegarla sempre durante le crisi. L’alternativa era la guerra con la nemica fino alla distruzione di uno dei due, o di entrambi gli amanti nella morte avvinti.

Giunsi sulla spiaggia dove mi rifugiavo fin da bambino quando la confusione rabbiosa delle persone di casa mi faceva scappare in cerca di quiete. D’estate mi confortavano i sorrisi del sole riflessi e immillati dal tremolare della marina.

Ma quel 24 dicembre il mare in burrasca era battuto da venti contrari tra loro che spingevano ad accavallarsi grandi onde giallastre che poi si rompevano come mucchi di uova marce sul lido coperto di spazzatura e di bestie affogate, prive di vita e di memoria. Quel giorno la confusione sembrava eccessiva. Si sentiva un fragore come di urla gridate dal mare e dal vento. Mi tornavano in mente le tante liti sofferte fin da quando ero bambino: in casa, per strada, a scuola. Avevano maltrattato buona parte della mia persona: “dove i venti soffiano per possente necessità e colpo e contraccolpo e pena su pena ai posa. Dice queste parole la Pizia”. Le avevo lette in Erodoto e mi erano rimaste impresse nell’anima.

Quindi pensai: “travagliosa era mia vita: ed è, né cangia stile”

Trassi una strana consolazione da queste amicizie celesti.

 La letteratura mi salvava ancora una volta dalla disperazione.

Un compagno mi scuola poi collega mi accusava fin da bambino e, lo fa ancora, di essere ipersensibile. “Meglio che rozzo, privo di carità e di bello stile , come sei tu”, gli rispondo ogni volta.

 

La rosa dei vènti.

Il frastuono confuso non mi impedì l’individuazione di soffi diversi abituato com’ero ad ascoltare le voci e i segni della natura. Il vento più odioso e deleterio era quello balordo e criminale del luogo comune.

Mi diceva: “Se ammetti che l’ami senza riserve, quella accampa pretese di nozze per portarti via tutto quello che hai”.

“Ma io sono studente e povero!” ribattevo ricordando il Duca seduttore.

“Sì ma quella è uno squalo e sa che presto o tardi erediterai della roba. Va   dicendo in giro che la tua casa di Bologna è già  sua. Poi ne verranno altre due qui a Pesaro e della terra per giunta, a Tavullia e Montegridolfo, e sarà tutta roba  di lei. Quindi ti lascerà. Dunque non ammettere mai che l’ami, che le vuoi bene, che hai buoni sentimenti per lei: questo si ritorcerebbe contro di te. Tiella a distanza con aria superciliosa, sprezzante, se vuoi che ti rispetti; non attribuirle mai importanza, falle capire che dovrebbe quasi darti del lei, data la distanza di educazione e di stile tra voi due.  Che stia al suo posto l’improba avventuriera e consumata volpe, se non vuoi che occupi e usurpi il tuo eremo di uomo studioso! ”

Da altre parti della rosa dei vènti però giungevano soffi dalle voci diverse e mi rimescolavano il sangue.

Uno era l’uragano della grande passione per Ifigenia la giovane femmina bella e prosperosa mai sazia, mai stucchevole, né annoiata, né noiosa almeno quando si faceva l’amore; un altro era l’alito dolce del tenero affetto per la ragazza che avrei voluto educare quale figlia adottiva,  il terzo era il  fiato  velenoso del sospetto più putrido delle pantegane immonde allineate a marcire lì sulla riva; era il  risentimento per la telefonata terroristica che mi aveva reso più geloso di Otello, più pazzo di Aiace, più torturato di Prometeo sulla rupe scitica. Tornai a casa per leggere parole belle in un mio libro buono.   

 

  Bologna 16 dicembre 2024 ore 19, 19 giovanni ghiselli

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Ifigenia LII. la casa di Pesaro 3. La telefonata plebea.


 

Al tocco, durante l’ora del desinare, telefonò Ifigenia. Andai a rispondere con una corsa perché non venisse intercettata. Era lei.

Disse che aveva iniziato le vacanze nel migliore dei modi: frequentando gli amici di una sua cugina simpatica. Conosceva ogni giorno diverse persone nuove. Alcune non erano male per niente. Ma sopra tutti aveva trovato interessante un ragazzo che la sera prima l’aveva fermata per strada, davanti alla Standa di via Rizzoli. Sembrava dotato di una gran fantasia oltre che di una buona educazione. Perciò non si era sentita di negargli il numero di telefono quando glielo aveva chiesto con garbo.

“Ti ha domandato con garbo anche di quale colore avevi le mutande?”

“No perché?”

“Perché se gli piacevi davvero, te lo chiedeva, come ho fatto io. Comunque prova a vedere che cosa succede. Se son rose profumeranno”

“Sei geloso?”

“No, perché se mi ami, hai detto quello che hai detto solo per ingelosirmi, se non mi ami vai pure con chi ti pare. Vedi come va e fammi sapere. Ti saluto perché sono a pranzo con le mie zie”.

Riattaccai senza aspettare la sua risposta.

La scena era stata ignobile, indegna di me. Frequentando le persone volgari ci involgariamo. Avevo mantenuta calma e freddezza ma ero agitato come  un raggio di luce lunare che vibra e guizza sull’acqua.

O come una mosca che ci zampetta dentro.

Mi appoggiai a una parete prima di rientrare nella cucina  perché le zie non mi vedessero piegato in due dall’angoscia. Sbagliavo. Di una donna così bisognerebbe disamorarsi, anzi schifarsi subito. Molti anni più tardi, educato dal dolore, ne ho lasciata un’altra appena ha tentato di ingelosirmi.  

Non fu difficile perché non era giovane né bella come Ifigenia nel 1978.

 La gelosia è una piovra dai cento tentacoli, è un’idra di Lerna cui ricresce ogni testa appena tagliata, è un mostro ingordo che si fa beffe del cibo che inghiotte e ne chiede sempre dell’altro. Non dovevo cascarci. Le tre finniche mi hanno lasciato, ma finché sono state con me non permettevano ad altri di  corteggiarle.

“Costei è plebea nell’anima” mi dissi.

Poi, ripreso il controllo di me stesso tornai dalle zie. Se avessero letto nel mio viso il travaglio interno, avrebbero detto: “Così smetterai  di  preferire la gente strana, e sceglierai una collega brava, illibata di buona famiglia.  Così imparerai a non confonderti con quelle ragazzacce che ti succhiano il sangue e magari te lo avvelenano”.

Mi avrebbero dato il colpo di grazia con queste parole  non tutte prive di senso ma non le dissero quando mi videro rientrare con una maschera ferrea sul volto. Non se la sentirono nemmeno di domandarmi chi avesse chiamato, né di chiedermi perché avessi assunto quel travestimento facciale, persona tragica,  ma avevano capito che soffrivo, perché non erano stupide e di rapporti umani dolorosi si intendevano. Dopo qualche minuto ripresi a sorridere e il pranzo terminò.

 

Bologna 16 dicembre 2024  ore 16, 35  ore 11, 09 giovanni ghiselli

p. s.

Sto uscendo per presentare il mio percorso su Nerone alla Ginzburg di Bologna.

A chi lo vuole intero posso inviarlo. Gratis ovviamente.

 

Metodologia 21. 2; 22 e 22. 1.

Metodologia 21, 2. Il congiuntivo potenziale e l’ ottativo spiegati da  Musil e  da Steiner.

Sul congiuntivo potenziale si può fare dell'ironia citando Robert Musil:"Ulrich scrisse nel componimento…che probabilmente anche Dio preferisce parlare del mondo da lui creato servendosi del congiuntivo potenziale (hic quispiam dixerit…) perché Dio fa il mondo e intanto pensa che potrebbe benissimo farlo diverso"[1].

 

Sull'uso dell'ottativo da parte di Antigone, anzi dei personaggi femminili in generale, c'è una considerazione interessante di  George Steiner:" La prima impressione è che il linguaggio femminile sia più ricco di quello maschile in quelle sfumature di desiderio e di progetti futuri note in greco e in sanscrito come ottativo; si ha l'impressione che le donne esprimano molto più frequentemente propositi ipotetici e promesse velate"[2].

 

Metodologia 22. I giovani vogliono cultura e tolleranza.

Da qualche tempo c'è chi sostiene che bisogna dare valore alla cultura tecnico-professionale. Io affermo che senza un poco di idealismo arriveremo a scannarci l'un l'altro.

Qui a Bologna una studentessa di liceo ha fatto un intervento significativo in una riunione insignificante di burocrati attenti solo ai numeri e al potere, al loro potere. Parlavano di tutto tranne che di cultura e di educazione. La ragazza ha chiesto che la scuola vada incontro ai bisogni di tutti, e alla domanda:"quali sono i bisogni di tutti?", ha risposto: "la cultura e la tolleranza"[3].

Ebbene la cultura non può essere priva di idee, ideali, idealità.

 

22. 1. Tolleranza e intolleranza. Il relativismo erodoteo.

Da qualche tempo serpeggia una forma di intolleranza verso le altre culture, in particolare verso quella musulmana .

Diversi anni  fa lessi in un giornale reputato progressista queste parole a proposito dei secondi Giochi Islamici , riservati alle donne:"Siamo fantasmi, per una settimana. Fantasmi che svolazzano. Rondini nere, marroni, verde scuro, nei nostri chador, nei nostri impermeabili dall'orlo lunghissimo. Fantasmi insaccati come salami..." e così via con il biasimo o l'irrisione di costumi diversi dai nostri fino all'incredibile "Si divertono, in maniera schifosa, ma si divertono". E’ un esempio della “giornaliera luce/delle gazzette”[4].

Ho citato Emanuela Audisio dalla prima pagina di la Repubblica  del 16 Dicembre 1997. Questa è la china in fondo alla quale, e speriamo sia davvero il fondo, alla fine del 2006 una donna, una vicina di casa è arrivata a sgozzare un bambino figlio di un arabo con la madre, la nonna, e un’altra vicina di casa. Del resto la televisione quasi ogni giorno racconta, senza marchiare tali notizie con biasimo e sdegno, che, al fine di snidare alcuni presunti rifugiati pronti a delinquere, vengono bombardate comunità di civili con centinaia di donne e bambini.

 In un articolo mio di “la Repubblica”  del 27 dicembre 1997 (p. II) viceversa utilizzai il "relativismo" erodoteo per incoraggiare i lettori a  diventare ciascuno se stesso:"Erodoto insegna il relativismo delle culture e racconta di popoli che compiangono i nati mentre si felicitano con i parenti dei morti, e di altre genti che praticano usanze ancora più strane e lontane da quelle greche. Eppure lo storico non infligge condanne, ossia riconosce a ogni nazione, e di conseguenza a ogni individuo, il diritto di usare costumi suoi. Queste storie antiche, se vengono attualizzate e personalizzate, possono diventare uno strumento critico contro l'omologazione e l'annullamento delle identità personali cui spinge la pubblicità tutta, talora perfino la scuola, con la pressione della norma che vuole negare i caratteri individuali schiacciandoli in una poltiglia informe".  

“Dimostrano di avere scarsa cultura i viaggiatori che si fanno beffe dei costumi e dei valori dei popoli che li ospitano”[5].

 

Bologna 16 dicembre 2024 ore 11, 28 giovanni ghiselli

 

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[1] L'uomo senza qualità, p. 14.

[2]G. Steiner, Dopo Babele , p. 69.

[3] Ce la insegnano Erodoto e Cornelio Nepote, per esempio. Erodoto denuncia la follia intollerante di Cambise il quale  molto matto era Cambise (" ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh""( III 38)  in quanto bruciava le immagini dei santuari e  scherniva  religioni e costumi.

Nel Proemio al Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium  Nepote afferma che dalla sua opera si può imparare:"non eadem omnibus esse honesta atque turpia ", che non sono uguali per tutti gli atti onorevoli e turpi.

 

[4] Leopardi, Palinodia al marchese Gino Capponi (del 1835), vv. 19-20.

[5] T. Mann, La montagna magica, p. 299.

Metodologia21.1. Esempi di commenti letterari aggiunti a quelli sintattici.


 

 Un esempio di commento letterario sulle due subordinate finali dell’esametro di Ovidio citato sopra : maledizioni del  teatro e del circo. Platone. Seneca. Tacito. Tertulliano: l’impudicizia del teatro e la crudeltà dell’arena. Agostino. Flaubert. Cromwell il Lord Protector. La lettera scarlatta di Hawthorne. Il palcoscenico elisabettiano (mal)visto come il sito dell’omoerotismo. Vittorio Alfieri e papa Pio VI Braschi. L’ostilità del potere odierno nei confronti del teatro che fa pensare.

L’uomo come problema.

 

Spiegate le finali dunque, si può procedere con un commento[1] contenutistico-comparativo riferendo i punti di vista di autori ostili agli spettacoli circensi davvero atroci, e a quelli del teatro considerati poco pudichi. Questo genererà stupore nel ragazzo abituato a pensare che il teatro sia una cosa, magari noiosa ma nobile, o darà soddisfazione a chi ritiene che invece sia solo una noia.

Platone[2]  critica gli agoni drammatici frequentati troppo spesso, e male, da un pubblico becero,  trascinato dalla musica caotica diffusa da poeti ignoranti, maestri di disordinate trasgressioni, i quali mescolavano peani con ditirambi, confondendo, appunto, tutto con tutto (pavnta eij~ pavnta sunavgonte~, Leggi, 700d); di conseguenza le càvee dei teatri  divennero, da silenziose, vocianti, e al posto dell’aristocrazia del gusto subentrò una  sfacciata  teatrocrazia per quanto riguarda quest’arte (701). Come se fossero stati tutti sapienti, diventarono impavidi e l'audacia generò l'impudenza (701b).

Seneca condanna l'efferatezza dei giochi circensi quali mera omicidia ( Ep. 7), omicidi veri e propri.

Nel Dialogus de oratoribus[3] di Tacito[4] Messalla biasima i vizi particolari di Roma propria et peculiaria huius urbis vitia , che sono quasi insiti nel DNA dei Romani si direbbe ora:"paene in utero matris concipi mihi videntur, histrionalis favor et gladiatorum equorumque studia" ( 29), sembrano quasi concepiti nello stesso grembo materno, la simpatia per gli istrioni, la passione per i gladiatori e i cavalli. Nell'animo dei ragazzi  occupatus et obsessus, occupato e bloccato da tali studia, non rimane  spazio per l'interesse nei confronti delle arti liberali. Questo avvertimento può essere attualizzato con la passione per il calcio o per la musicaccia fatta di rumore.

 L' histrionale studium del gaglioffo Percennio, per esempio, la sua esperienza di attore, e il suo essere stato dux olim theatralium operarum (Annales, I, 16) un capo della claque teatrale, ne fa un acclamato duce durante la rivolta delle legioni della Pannonia successiva alla morte di Augusto.

Queste parole di Tacito, secondo Auerbach, denigrano e infamano la ribellione dei legionari:"A suo modo di vedere, si tratta soltanto d'arroganza plebea e di mancanza di disciplina. (…) Egli batte e ribatte che è soltanto la schiuma sempre pronta alla ribellione; per il caporione Percennio, ex capo di claques teatrali col suo "histrionale studium", che si atteggia a generale (velut contionabundus"), egli ha il più profondo disprezzo"[5].

 

Contro il teatro latini e cristiani

Nella Germania Tacito nota che le donne di quella terra  vivono con la castità ben custodita, senza essere guastate dalla seduzione degli spettacoli né dagli stimoli dei banchetti:"saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis conviviorum inritationibus corruptae" (19, 1).

 Negli Annales lo storiografo denuncia, tra le altre passioni basse  (foeda studia) di Nerone quella di cantare accompagnandosi con la cetra, come si fa negli spettacoli:“ nec minus foedum studium cithărā ludĭcrum in modum canere” (14, 14).

Poco più avanti Tacito ricorda che dopo la conquista dell’Asia e della Grecia, a Roma i giochi si erano organizzati con maggiore cura, “nec quemquam Romae honesto loco hortum ad theatralis artes degeneravisse, ducentis iam annis a L. Mummii triumpho qui primus id genus spectaculi in urbe praebuerit” (14, 21), anche se nessun romano nato in una buona famiglia si era abbassato a fare l’attore per duecento anni dal trionfo di Mummio[6] che per primo aveva fatto vedere a Roma quel genere di spettacolo.

Tertulliano[7] nell’ Apologeticum [8]  afferma che i sensi puri dei cristiani non hanno nulla in comune con la follia del circo né con l'impudicizia del teatro (cum impudicitia theatri ) né con la crudeltà dell'arena (cum atrocitate arenae) né con la vanità del portico (38). 

Quindi nel De spectaculis [9] l’apologista predica contro teatri e circhi in quanto tutta la messinscena degli spettacoli trae la sua essenza ex idolatrīa (IV, 3) dall'idolatria.

Sant'Agostino nelle Confessiones[10] definisce miserabilis insania la passione per il teatro, una follia da lui stesso provata quando lo trascinavano gli spettacoli teatrali "plena imaginibus miseriarum mearum et fomitibus ignis mei" (III, 2), pieni di immagini delle mie miserie e di esche del mio fuoco.

Nel De civitate Dei [11] il santo padre sostiene che  i ludi scenici, introdotti a Roma[12] per placare la pestilenza dei corpi, importarono dall'Etruria la pestilenza nei costumi. Infatti il pontefice, per sedare la pestilenza delle anime, proibiva addirittura la costruzione del teatro (I, 32).

Insomma il teatro, che tratta spesso della peste[13], è esso stesso latore di peste.

 In Madame Bovary il curato di Yonville sembra condividere l'opinione di Ovidio sul lenocinio dei teatri, i quali perciò, dato il punto di vista critico del prete autorizzato da "tutti i Santi Padri", vengono sconsigliati:"So anch'io" obiettò il curato, "che esistono buone opere, buoni autori, tuttavia, non fosse altro, tante persone di sesso diverso riunite in un locale seducente, ornato di pompe mondane, e poi tutti quei travestimenti pagani, tutto quel belletto, tutti quei candelabri, tutte quelle voci effemminate, tutto insomma deve ingenerare alla fin fine un certo libertinaggio dello spirito e suggerirti pensieri disdicevoli, tentazioni impure. Almeno questa è l'opinione di tutti i Santi Padri. Infine…se la chiesa ha condannato gli spettacoli, significa che aveva la sua ragione di farlo: occorre sottometterci ai suoi decreti"[14].

Questa linea platonico-cristiana di avversione per gli spettacoli teatrali si riscontra fra i Puritani del Seicento: il Lord Protector Cromwell[15] fece chiudere i teatri durante la sua tirannide in Inghilterra.

Per quanto riguarda la presenza di tale ostilità nel Nuovo Mondo, sentiamo La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne[16], pubblicata nel 1850 ma ambientata nella Boston puritana del XVII secolo:"inutilmente si sarebbe immaginato di vedere quel popolo abbandonarsi ai divertimenti popolari che erano in uso in Inghilterra sotto la regina Elisabetta o sotto re Giacomo. Niente spettacoli teatrali, né musiche di sonatori ambulanti, né canzoni di menestrelli, né trucchi di giocolieri, né lazzi di saltimbanchi. Il fondo del carattere di questa gente-s'è detto-era triste, e tutti questi professionisti dell'allegria sarebbero stati scacciati non soltanto dalla legge, ma dal sentimento popolare che conta assai più della legge"[17]. La protagonista del romanzo è una donna bella e fine, marchiata e messa al bando da questa gente tetra.

Una studiosa della scuola del Dramma dell’università di Washington rileva un nesso tra l’ostilità dei Puritani nei confronti del teatro e il fatto che nel teatro elisabettiano le parti femminili fossero recitate da maschi travestiti. Sicché il palcoscenico poteva essere visto come il sito dell’omoerotismo: “Several extant Puritan sermons were built upon a quotation in Deutoronomy (22: 5) which specifically forbade cross-dressing: ‘The woman shall not wear that which pertaineth unto a man, neither shall a man put a woman’s garment; for all that do so are an abomination unto the Lord thy God[18], diversi sermoni puritani arrivati sino a noi erano costruiti su una citazione del Deuteronomio che proibiva specificamente I travestimenti: ‘La donna non indosserà quello che appartiene a un uomo, né un uomo si metterà un articolo di vestiario da donna; in quanto tutto questo è abominio nei confronti del Signore tuo Dio.

Nella propria autobiografia Vittorio Alfieri racconta che cercò ingraziarsi Pio VI, papa Braschi, offrendogli di dedicargli il Saul. Il pontefice rifiutò l’omaggio e  se ne scusò, dicendo che egli non poteva accettar dedica di cose teatrali quali ch’elle si fossero”. “Né io altra cosa replicai su ciò” , conclude l’autore (Vita, IV, 10).

Insomma c'è tutta una letteratura contro il teatro.

Tuttora c’è un’ostilità del potere contro il teatro che presenta l’uomo come problema, e spinge a pensare, pone degli interrogativi, instilla dei dubbi. La televisione non manda più in onda i drammi grandi e meravigliosi dei grandi autori che così perdono visibilità e presenza anche nella scuola.

I minorati sono i primi a ripetere spesso: “Non c’è problema”. Quando insegnavo didattica della letteratura greca a contratto nella SSIS un collega ebbe l’impudenza di dirmi che la tragedia greca non può presentare l’uomo come problema perché questa frase non ha senso

Bologna 16 dicembre 2024 ore 11, 07 giovanni ghiselli

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[1] “Ribadire la necessità del commento in un mondo che non sopporta il commento perché si presenta falsamente già commentato: questo è il rilievo etico e pedagogico del commento” (R. Luperini, op. cit., p. 112)

 

[2] 427-347 a. C.

[3] Ambientato tra il 75 e il 77 e redatto, probabilmente, un quarto di secolo più tardi.

[4] 55 ca-120 ca.

[5] Mimesis, p. 43.

[6] 146  a. C.

[7] 160 ca-220ca d. C.

[8] 197 d. C.

[9] Del 200 ca d. C.

[10] In 13 libri composti fra il 397 e il 401  d. C.

[11] In 22 libri composti fra il 413 e il 426 d. C.

[12] Nel 364 a. C. secondo il racconto di Tito Livio (VII, 2-3)

[13] Si pensi, per esempio all’ Edipo re di Sofocle e all’Oedipus di Seneca.

[14] G. Flaubert, Madame Bovary (del 1857),  p. 177.

[15] Esercitò una dittatura personale dal 1653 al 1658.  Suo segretario fu John Milton, l’autore di Il paradiso perduto (1667)

[16] Scrittore statunitense: 1804-1864.

[17] N. Hawthorne, La lettera scarlatta, p. 180.

[18] Sue-Ellen Case, Feminism and theatre, p. 24.

Metodologia 21. La sintassi spiegata con la letteratura.


 

La sintassi, al pari della grammatica, va “condita” con la letteratura. Due congiuntivi esortativi e la perifrastica passiva in Catullo (5). Commento ai basia mille. Due subordinate finali nell’Ars amatoria di Ovidio (Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsae", I, 99).

 

Il congiuntivo esortativo della terza e della prima coniugazione si rendono memorabili ai ragazzi leggendo e commentando:"Vivamus mea Lesbia atque amemus"[1] prendiamoci la vita, mia Lesbia, e facciamo l'amore, con quello che segue.

Vediamo come: “nobis cum semel occidit brevis lux/nox est perpetua una dormienda” (5, 5-6), noi, quando è tramontata la breve luce, dobbiamo dormire una notte eterna.

In questo modo  si traduce, si spiegano la perifrastica passiva e l’endecasillabo faleceo o, se si preferisce, falecio, poi si passa ai baci (da mi basia mille, deinde centum, v. 7), non solo per insegnare i numerali, ma pure per indicare altri baci insidiati dalla morte nella grande letteratura: “perché l’amore…è la simpatia per la materia organica, il commovente abbraccio voluttuoso di colui che è destinato alla putrefazione. E la Charitas esiste certo sempre nella passione sia che essa ammiri in purezza o avidamente brami ”. E’ il commento che segue il bacio di Hans Castorp e di Claudia Chauchat[2].

E più avanti: “Dio del cielo, che istituzione è mai questa, che la carne brami la carne soltanto perché non è propria ma appartiene ad un altro? Quanto è strana, e a ben guardare, di quante poche pretese!”[3].  

 

Due forme delle subordinate finali si possono esemplificare con Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsae"[4], vengono (le donne al circo) per osservare, vengono per essere osservate loro stesse. C’è un chiasmo, un poliptoto con due costruzioni: il supino indica uno scopo più generico; ut + il congiuntivo è maggiormente connotato dalla volontà.

I versi naturalmente vanno pure contestualizzati. Ovidio è un autore gradevolissimo anche per i più giovani:"Il primo gusto che presi ai libri mi venne dal diletto delle favole delle Metamorfosi di Ovidio"[5].

Il participio predicativo si può spiegare in modo da colpire la sfera mentale e quella emotiva degli studenti con la fichiarazione di umanesiomo che Sofocle attribuisce a Teseo  nell'Edipo a Colono : "e[xoid  j ajnh;r w[vn"(v.567), so bene di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale è possibile ogni ingiustizia e prepotenza.

Bologna 16 dicembre 2024 ore 9, 58 giovanni ghiselli

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Un suggerimento a chi prepara un esame: smettere di ripassare acune ore prima. Ho cominciato a farlo il pomeriggio precedente la prova scritta di italiano all’esame di Maturità ancora molto problematico nel 1963 non solo per chi voleva primeggiare come me: era difficile anche diplomarsi per poter accedere all’Università e cambiare vita. Era già tempo di dire alla mamma: “Nunc dimittis filium tuum domina”.

Era la fine di giugno e andai al molo del porto a piedi per rivolgere preghiere al sole che tramontava declinando sul mare, poi ci entrava. Pregavo e non mi saziavo di lacrime.

Oggi terrò una conferenza. Ne ho tenute diverse centinaia in una ventina di anni. Ognuna è pur sempre un esame non privo di imprevisti. Un pubblico scarso mi scoraggia, una platea piena mi rallegra. Comunque faccio sempre del mio meglio nel preparare il percorso e nel presentarlo. Non ho perso l’abitudine di cambiare argomento di studio o anche attività almeno quattro ore prima dell’esame. Trovavo stupidi e ineleganti gli studenti che sfogliavano ansiosamente  un o più libri davanti alla porta dell’aula dell’esame lamentando di non ricordare niente. Credo che non ricordare significhi non avere appreso con la testa e con il cuore.  Il participio predicativo spiegato citando "e[xoid  j ajnh;r w[vn”, so bene di essere un uomo, non può dimenticarsi né  scordarsi.

 

  

 

 

 



[1] Catullo, 5, 1.

[2] T. Mann, La montagna incantata, p. 285.

[3] T. Mann, La montagna incantata, p. 303.

[4] Ovidio, Ars amatoria , I, 99.

[5] Montaigne, Saggi, p. 233.

domenica 15 dicembre 2024

Ifigenia LI. la casa di Pesaro seconda parte. I nonni Margherita Scattolari e Carlo Martelli, detto Carlino.


 

Devo comunque essere grato alla mamma e alle zie: da quando non abito più a Pesaro criticato e limitato in tutto da loro, queste donne mi hanno fornito i mezzi per vivere una vita da studente poi da studioso dedito allo studio appunto, all’amore e alla bicicletta. Un poco mi hanno beneficato per espiare i maltrattamenti inflitti al padre cui fisicamente assomiglio, e ancora di più per consentirmi di prendere la laurea con lode e fare carriera.

Non ne ho fatta poi tanta nell’istituzione ma a loro è bastato e anche a me. Dunque per Natale andavo a trovarle. Mia madre diceva che  Rina e Giulia- da lei soprannominate  “ le sorelle Materassi” per il loro nepotismo-quando vedevano me era come se vedessero il sole. Il Natale, come sapete, era il dies Natalis solis invicti, sicché il 24 ero apparso alle zie e il 25 le illuminavo. La zia Giulia dopo la pensione e la morte del marito era tornata a Pesaro.

Conquistata la mia emancipazione dalla lunga servitù pesarese, non solo ero grato ma volevo bene ai miei consanguinei. L’ambiente conflittuale nel quale avevo passato l’infanzia e l’adolescenza non mi ha consentito il mollescere, diventare mollis-malakov~, ossia il rammollirmi nel torpore, il veternus, dove tanti ragazzi si ottundono in situazioni dai problemi occultati e irrisolti. La durezza delle virago di casa mi ha preparato alle battaglie che avrei dovuto affrontare per diventare e rimanere me stesso. Il dolore mi ha reso buono, la deformità e lo squallore dove ero precipitato a ventanni mi ha spinto alla ricerca della bellezza. Ero stato messo in croce, come il figlio di Dio da suo padre, perché risuscitassi migliore di prima: più generoso, più bravo e più bello.

L’unico che sorrideva in casa era il nonno Carlo che ho recuperato del tutto al mio affetto anche se non poteva darmi denaro siccome aveva venduto il palazzo quattrocentesco della sua famiglia a Gherardo Buitoni per 200 mila lire che non investì nel 1944 e gli servirono per pagarsi il funerale una cinquantina di anni più tardi.

Questo palazzo  conserva il cognome Martelli  nella piantina che si trova nella pinacoteca di Borgo Sansepolcro nel cui cimitero ora riposano in pace i resti mortali dei nonni, della mamma delle zie e dei Martelli più antichi.

Sono stato più volte a trovarli, pregare e a prendere auspici su questa tomba che per me è un’ara. Ogni volta scavalcando l’Appennino con la bicicletta. Anche questo devo ai miei cari. Credo che l’ultimo viaggio mi riporterà tra loro.

 

A Pesaro c’è  un altro palazzo non più nostro ma con un cognome nostro: il palazzo Scattolari dove nacque nel 1882 la nonna Margherita che invece seppe conservare la terra. Da lei ho preso l’amore per la terra e il mio essere parco.

 

Nella tragedia Eracle di Euripide, Megara rivendica il palazzo di famiglia: “ figli, seguite il piede disgraziato della madre al palazzo paterno: ou| th'" oujsiva"-a[lloi kratou'si, to; d j o[nom j    e[sq j hJmw'n e[ti ( 337-338), del quale altri hanno la proprietà, ma il nome è ancora nostro”.

 

 

Questo nonno, del tutto improvvido rispetto al denaro, sorridendo ha svolto  la funzione della madre del puer alla fine della IV Bucolica di Virgilio: “incipe, parve puer, risu conoscere matrem (60)

(…)

Incipe, parve puer: cui non risere parentes,

nec Deus hunc mensa, Dea nec degnata cubili est  (62-63), comincia bambino fin da piccolo, a conoscere la madre dal sorriso, comincia  fin da piccolo: quelli cui non sorrisero i genitori, né un dio ha giudicato degno della sua mensa, né una dea del suo letto.  Sono molto grato a Carlino.

 Sono molto grato anche alle signorine e alle signore che mi hanno considerato degno del loro letto. Ricordo in particolare due Elene.

Il nonno mi ha lasciato più del denaro: oltre il ricordo dei suoi sorrisi da vecchio povero, l’amore per le donne, per il sole e per la bicicletta.

 

Bologna 15 dicembre 2024 ore 19, 56

giovanni ghiselli

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