Un esempio di commento letterario sulle due
subordinate finali dell’esametro di Ovidio citato sopra : maledizioni del teatro e del circo. Platone.
Seneca. Tacito. Tertulliano: l’impudicizia del teatro e la crudeltà dell’arena.
Agostino. Flaubert. Cromwell il Lord Protector. La lettera scarlatta di
Hawthorne. Il palcoscenico elisabettiano (mal)visto come il sito
dell’omoerotismo. Vittorio Alfieri e papa Pio VI Braschi. L’ostilità del potere
odierno nei confronti del teatro che fa pensare.
L’uomo come problema.
Spiegate
le finali dunque, si può procedere con un commento
contenutistico-comparativo riferendo i punti di vista di autori ostili agli spettacoli
circensi davvero atroci, e a quelli del teatro considerati poco pudichi. Questo
genererà stupore nel ragazzo abituato a pensare che il teatro sia una cosa,
magari noiosa ma nobile, o darà soddisfazione a chi ritiene che invece sia solo
una noia.
Platone critica gli
agoni drammatici frequentati troppo spesso, e male, da un pubblico becero, trascinato dalla musica caotica diffusa da
poeti ignoranti, maestri di disordinate trasgressioni, i quali mescolavano
peani con ditirambi, confondendo, appunto, tutto con tutto (pavnta eij~ pavnta sunavgonte~, Leggi,
700d); di conseguenza le càvee dei teatri divennero, da silenziose, vocianti, e al posto
dell’aristocrazia del gusto subentrò una
sfacciata teatrocrazia per quanto
riguarda quest’arte (701). Come se fossero stati tutti sapienti, diventarono
impavidi e l'audacia generò l'impudenza (701b).
Seneca condanna l'efferatezza dei giochi circensi quali mera omicidia
( Ep. 7), omicidi veri e propri.
Nel
Dialogus de oratoribus di Tacito Messalla biasima i vizi
particolari di Roma propria et peculiaria huius urbis vitia , che sono
quasi insiti nel DNA dei Romani si direbbe ora:"paene in utero matris
concipi mihi videntur, histrionalis
favor et gladiatorum equorumque studia" ( 29), sembrano quasi
concepiti nello stesso grembo materno, la simpatia per gli istrioni, la
passione per i gladiatori e i cavalli. Nell'animo dei ragazzi occupatus et obsessus, occupato e
bloccato da tali studia, non rimane
spazio per l'interesse nei confronti delle arti liberali. Questo
avvertimento può essere attualizzato con la passione per il calcio o per la
musicaccia fatta di rumore.
L' histrionale
studium del gaglioffo Percennio, per esempio, la sua esperienza di attore,
e il suo essere stato dux olim theatralium operarum (Annales, I,
16) un capo della claque teatrale, ne fa un acclamato duce durante la rivolta
delle legioni della Pannonia successiva alla morte di Augusto.
Queste parole di Tacito, secondo Auerbach, denigrano e infamano
la ribellione dei legionari:"A suo modo di vedere, si tratta soltanto
d'arroganza plebea e di mancanza di disciplina. (…) Egli batte e ribatte che è
soltanto la schiuma sempre pronta alla ribellione; per il caporione Percennio,
ex capo di claques teatrali col suo "histrionale studium",
che si atteggia a generale (velut contionabundus"), egli ha il più
profondo disprezzo".
Contro il teatro
latini e cristiani
Nella
Germania Tacito nota che le
donne di quella terra vivono con la
castità ben custodita, senza essere guastate dalla seduzione degli spettacoli
né dagli stimoli dei banchetti:"saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis
conviviorum inritationibus corruptae" (19, 1).
Negli Annales lo storiografo denuncia, tra
le altre passioni basse (foeda studia) di Nerone quella di
cantare accompagnandosi con la cetra, come
si fa negli spettacoli:“ nec minus foedum
studium cithărā ludĭcrum in modum
canere” (14, 14).
Poco più avanti Tacito ricorda che dopo la conquista
dell’Asia e della Grecia, a Roma i giochi si erano organizzati con maggiore
cura, “nec quemquam Romae honesto loco
hortum ad theatralis artes degeneravisse, ducentis iam annis a L. Mummii
triumpho qui primus id genus spectaculi in urbe praebuerit” (14, 21), anche
se nessun romano nato in una buona famiglia si era abbassato a fare l’attore
per duecento anni dal trionfo di Mummio che per primo aveva fatto
vedere a Roma quel genere di spettacolo.
Tertulliano nell’ Apologeticum
afferma che i sensi puri dei cristiani
non hanno nulla in comune con la follia del circo né con l'impudicizia del
teatro (cum impudicitia theatri ) né con la crudeltà dell'arena (cum
atrocitate arenae) né con la vanità del portico (38).
Quindi
nel De spectaculis
l’apologista predica contro teatri e circhi in quanto tutta la messinscena
degli spettacoli trae la sua essenza ex idolatrīa (IV, 3)
dall'idolatria.
Sant'Agostino nelle Confessiones
definisce miserabilis insania la passione per il teatro, una follia da
lui stesso provata quando lo trascinavano gli spettacoli teatrali "plena
imaginibus miseriarum mearum et fomitibus ignis mei" (III, 2), pieni
di immagini delle mie miserie e di esche del mio fuoco.
Nel
De civitate Dei
il santo padre sostiene che i ludi
scenici, introdotti a Roma
per placare la pestilenza dei corpi, importarono dall'Etruria la pestilenza nei
costumi. Infatti il pontefice, per sedare la pestilenza delle anime, proibiva
addirittura la costruzione del teatro (I, 32).
Insomma
il teatro, che tratta spesso della peste, è esso stesso latore di peste.
In Madame Bovary il curato di Yonville
sembra condividere l'opinione di Ovidio sul lenocinio dei teatri, i quali perciò,
dato il punto di vista critico del prete autorizzato da "tutti i Santi
Padri", vengono sconsigliati:"So anch'io" obiettò il curato,
"che esistono buone opere, buoni autori, tuttavia, non fosse altro, tante
persone di sesso diverso riunite in un locale seducente, ornato di pompe
mondane, e poi tutti quei travestimenti pagani, tutto quel belletto, tutti quei
candelabri, tutte quelle voci effemminate, tutto insomma deve ingenerare alla
fin fine un certo libertinaggio dello spirito e suggerirti pensieri disdicevoli,
tentazioni impure. Almeno questa è l'opinione di tutti i Santi Padri. Infine…se
la chiesa ha condannato gli spettacoli, significa che aveva la sua ragione di
farlo: occorre sottometterci ai suoi decreti".
Questa
linea platonico-cristiana di avversione per gli spettacoli teatrali si
riscontra fra i Puritani del Seicento: il Lord Protector Cromwell
fece chiudere i teatri durante la sua tirannide in Inghilterra.
Per
quanto riguarda la presenza di tale ostilità nel Nuovo Mondo, sentiamo La
lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne,
pubblicata nel 1850 ma ambientata nella Boston puritana del XVII
secolo:"inutilmente si sarebbe immaginato di vedere quel popolo
abbandonarsi ai divertimenti popolari che erano in uso in Inghilterra sotto la
regina Elisabetta o sotto re Giacomo. Niente spettacoli teatrali, né
musiche di sonatori ambulanti, né canzoni di menestrelli, né trucchi di
giocolieri, né lazzi di saltimbanchi. Il fondo del carattere di questa
gente-s'è detto-era triste, e tutti questi professionisti dell'allegria
sarebbero stati scacciati non soltanto dalla legge, ma dal sentimento popolare
che conta assai più della legge".
La protagonista del romanzo è una donna bella e fine, marchiata e messa al
bando da questa gente tetra.
Una
studiosa della scuola del Dramma dell’università di Washington rileva un nesso
tra l’ostilità dei Puritani nei confronti del teatro e il fatto che nel teatro
elisabettiano le parti femminili fossero recitate da maschi travestiti. Sicché
il palcoscenico poteva essere visto come il sito dell’omoerotismo: “Several extant Puritan sermons were built
upon a quotation in Deutoronomy (22: 5) which specifically forbade
cross-dressing: ‘The woman shall not wear that which pertaineth unto a man,
neither shall a man put a woman’s garment; for all that do so are an
abomination unto the Lord thy God”, diversi sermoni puritani arrivati sino a noi erano
costruiti su una citazione del Deuteronomio che proibiva specificamente I
travestimenti: ‘La donna non indosserà quello che appartiene a un uomo, né un
uomo si metterà un articolo di vestiario da donna; in quanto tutto questo è
abominio nei confronti del Signore tuo Dio.
Nella
propria autobiografia Vittorio Alfieri
racconta che cercò ingraziarsi Pio VI, papa Braschi, offrendogli di dedicargli il Saul. Il pontefice rifiutò l’omaggio
e “
se ne scusò, dicendo che egli non poteva accettar dedica di cose teatrali quali
ch’elle si fossero”. “Né io altra cosa replicai su ciò” , conclude l’autore (Vita, IV, 10).
Insomma
c'è tutta una letteratura contro il teatro.
Tuttora
c’è un’ostilità del potere contro il teatro che presenta l’uomo come problema,
e spinge a pensare, pone degli interrogativi, instilla dei dubbi. La
televisione non manda più in onda i drammi grandi e meravigliosi dei grandi
autori che così perdono visibilità e presenza anche nella scuola.
I minorati
sono i primi a ripetere spesso: “Non c’è problema”. Quando insegnavo didattica
della letteratura greca a contratto nella SSIS un collega ebbe l’impudenza di
dirmi che la tragedia greca non può presentare l’uomo come problema perché
questa frase non ha senso
Bologna
16 dicembre 2024 ore 11, 07 giovanni ghiselli
p.
s.
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“Ribadire la necessità del commento in un mondo che
non sopporta il commento perché si presenta falsamente già commentato: questo è
il rilievo etico e pedagogico del commento” (R. Luperini, op. cit., p. 112)