Eco: ogni lezione deve essere un’avventura. Pasolini: la scuola, purtroppo, è tutt’altro che un’avventura. Morin: la vita stessa, la storia dell’uomo è un’avventura ignota (cfr. la conclusione dell’Alcesti, della Medea, dell’Andromaca, dell’Elena e delle Baccanti di Euripide).
Dario III capisce a Gaugamela “quam versabilis fortuna sit”.
Annibale a Zama: la tuvch ci tratta come se fossimo dei bambini.
Ortega y Gasset: il classico deve essere contemporaneizzato.
Tolstoj e gli insegnanti che, spiritualmente distorti, reprimono la creatività. Morin, la complessità e la curiosità. La curiosità: Lucio di Apuleio e l’Odisseo di Omero. Di nuovo Pasolini: bisogna provocare la curiosità. Nietzsche: la piatta mediocrità ottiene lodi. Seneca: “Unum studium vere liberale est, quod liberum facit”. Padri e madri quali educatori liberali e stimolanti, o, viceversa, quali padroni autoritari deterrenti: Terenzio (pudor e liberalitas oppure metus) e Sofocle (la madre padrona nell’Elettra). Nietzsche: gli educatori devono essere dei liberatori.
In un intervento[1] nell'Aula Magna dell'Università di Bologna Umberto Eco ha affermato che ogni lezione deve essere un'avventura appassionante, ricca di nessi con l'attualità.
“Ora la scuola è terribilmente ragionevole, è una specie di palestra dove il ragazzo è costretto a una ginnastica che non lo conferma in altro che nel distinguere subito il rispettabile e l’autorevole dallo scandaloso e dall’originale. La scuola non è in genere un’avventura che per il chiasso nelle ore di ricreazione o per gli sgomenti durante il compito di greco (omissis coloro che usufruiscono di una naturale disposizione per la scienza o una nativa sensibilità) proprio quando il ragazzo non ama null’altro che l’avventura”[2].
La vita stessa è un’avventura: “La formula del poeta greco Euripide, antica di venticinque secoli, è più attuale che mai: ‘L’atteso non si compie, all’inatteso un dio apre la via’ [3]. L’abbandono delle concezioni deterministe della storia umana che credevano di poter predire il nostro futuro, l’esame dei grandi eventi del nostro secolo che furono tutti inattesi, il carattere ormai ignoto dell’avventura umana devono incitarci a predisporre la mente ad aspettarsi l’inatteso per affrontarlo. E’ necessario che tutti coloro che hanno il compito di insegnare si portino negli avamposti dell’incertezza del nostro tempo…Non abbiamo ancora incorporato il messaggio di Euripide: attendersi l’inatteso. La fine del XX secolo è stata tuttavia propizia, per comprendere l’irrimediabile incertezza della storia umana. I secoli precedenti hanno sempre creduto in un futuro o ripetitivo o progressivo. Il secolo XX ha coperto la perdita del futuro, cioè la sua imprevedibilità. Questa presa di coscienza deve essere accompagnata da un’altra, retroattiva e correlativa: quella secondo cui la storia umana è stata e rimane un’avventura ignota…la conoscenza è una navigazione in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze”[4].
Il grande re dei Persiani, Dario III, dopo essere stato sconfitto da Alessandro Magno a Gaugamela, nel 331 in Assiria, e poco prima di perdere anche la vita, oltraggiato e ucciso dai satrapi felloni, disse di essere la prova vivente di quanto fosse mutevole la fortuna; al punto che sperava ancora in rivolgimenti più favorevoli: “Equidem, quam versabilis fortuna sit, documentum ipse sum nec immerito mitiores vices eius expecto”[5] Questi rivolgimenti ci furono pochi anni dopo, ma per Alessandro Magno che morì ante diem, non per Dario.
Prima della battaglia di Zama, Annibale parla con il più giovane avversario[6]. Cerca di evitare lo scontro dicendo: io sono pronto a scongiurare l’ira degli dèi poiché ho sperimentato come la tuvch sia mutevole e per un nonnulla faccia pendere la bilancia alternatamente da una parte o dall’altra kaqavper eij nhpivoi~ paisi; crwmevnh (Polibio, 15, 6, 8), come se trattasse con dei bambini infanti[7]. Poi aggiunge: “ guarda me: stavo per prendere la tua patria e ora devo difendere la mia”.
Dunque: parakalw' se mh; mevga fronei'n, ti esorto a non insuperbirti, ma a decidere in maniera degna di un uomo (ajnqrwpivnw~), cioè a scegliere sempre il più grande dei beni e il più piccolo dei mali (15, 7, 6).
Propose quindi che l’Africa fosse dei Cartaginesi, la Sicilia e la Sardegna dei Romani.
Ho insistito su questo concetto poiché adesso i più cercano disperatamente, e risibilmente, di assicurarsi su tutto, da tutto, e la maggior parte degli insegnanti di ginnasio continua a ruminare spiriti, accenti e paradigmi verbali, senza procedere oltre.
“Non c’è che un modo di salvare il “classico”: usandolo per la nostra salvezza senza alcun riguardo, cioè prescindendo dal suo classicismo, avvicinandolo a noi, “contemporaneizzandolo”, facendolo nuovamente palpitare, iniettandogli il sangue delle nostre vene, i cui ingredienti sono le nostre passioni… e i nostri problemi. Invece di diventare centenari nel centenario, cerchiamo la resurrezione del “classico” ri-sommergendolo nell’esistenza”[8].
Tolstoj definiva gli insegnanti ostili alla creatività "creature spiritualmente distorte"[9] che vengono adoperate, e si adoperano, per l'abbrutimento dei ragazzi. "Quello strano stato psicologico che io chiamo stato scolastico dell'anima, che tutti noi purtroppo conosciamo così bene, consiste nel fatto che tutte le facoltà più elevate-immaginazione, creatività, comprensione-lasciano il posto ad altre facoltà semi-animalesche: il pronunciare i suoni indipendentemente dall'immaginazione, il contare i numeri in fila, 1, 2, 3, 4, 5…, il percepire le parole senza permettere alla fantasia di arricchirle con immagini; in una parola, la facoltà di reprimere in sé tutte le facoltà più elevate per sviluppare solo quelle che coincidono con l'ordine scolastico, il terrore, lo sforzo della memoria e l'attenzione"[10].
La curiosità predispone al pieno uso dell’intelligenza.
“La conoscenza pertinente deve affrontare la complessità. Complexus significa ciò che è tessuto insieme…L’educazione deve favorire la capacità naturale della mente di porre e risolvere i problemi essenziali e, correlativamente, deve stimolare il pieno uso dell’intelligenza generale. Questo pieno uso richiede il libero esercizio della facoltà più diffusa e più viva nell’infanzia e nell’adolescenza, ossia la curiosità, che troppo spesso la scuola spegne e che si tratta, al contrario, di stimolare o di risvegliare, se dorme”[11].
Per quanto riguarda la curiosità, Apuleio la considera motivo di conforto e fonte di salvezza per Lucio, il protagonista del suo romanzo, prefigurato da Ulisse :" Nec ullum uspiam cruciabilis vitae solacium aderat, nisi quod ingenita mihi curiositate recreabar... Nec immerito priscae poeticae divinus auctor apud Graios summae prudentiae virum monstrare cupiens multarum civitatium obitu et variorum populorum cognitu summas adeptum virtutes cecinit " (Metamorfosi , IX, 13), né vi era da qualche parte alcun conforto di quella vita tribolata se non il fatto che mi sollevavo con la mia innata curiosità...e non a torto quel divino creatore dell'antica poesia dei Greci volendo raffigurare un uomo di somma saggezza, narrò che egli raggiunse i sommi valori visitando molte città e conoscendo popoli diversi.
“La curiosità è l’unico istinto di cui l’educatore può debitamente usufruire...bisogna provocare la curiosità, poi qualsiasi obiettivo è buono: la costruzione del verbo videor come il rapporto tra i sessi, l’ a priori di Kant come le ballerine del varietà”[12].
La scuola anche secondo Nietzsche, tende a reprimere l'originalità per privilegiare la mediocrità: "L'aspetto veramente autonomo…ossia appunto l'aspetto individuale, viene biasimato, ed è respinto dall'insegnante a favore di un contegno dignitoso, mediocre e privo di originalità. La piatta mediocrità, per contro, ottiene lodi, elargite a malincuore: la mediocrità infatti suole annoiare parecchio l'insegnante, e con buone ragioni"[13].
Procedo rimanendo su queste conferenze tenute dal giovane[14] professore dell'Università di Basilea in polemica contro i filologi freddi, senza anima: "Può accadere che uno di questi filologi scriva versi, sapendo consultare il Lessico [15] di Esichio. Vi sono infine coloro che promettono di risolvere una questione come quella omerica, prendendo lo spunto dalle preposizioni, e credono di tirar su la verità dal pozzo, servendosi di ajnav e di katav. Tutti poi, secondo le più diverse tendenze, scavano e frugano il terreno greco con una tale irrequietezza, con una tale imperizia sgraziata, che un serio amico dell'antichità deve davvero impensierirsene"[16].
I giovani devono sentire le loro energie incoraggiate dallo studio dei classici:"unum studium vere liberale est quod liberum facit, hoc est sapientiae, sublime, forte, magnanimum: cetera pusilla et puerilia sunt "[17] un solo studio è davvero liberale, quello che rende libero, cioè lo studio della sapienza, sublime, forte, magnanimo. Gli altri sono piccini e puerili. La sapienza è l’unica libertà: “Sapientia quae sola libertas est”[18].
La liberalitas, la generosità di chi è davvero libero, con il pudor, il rispetto di chi sa di essere uomo, sono i valori che trattengono i giovani dal fare il male, dal farsi del male, in modo più efficace del metus secondo Terenzio: "Pudore et liberalitate liberos/retinere satius esse credo quam metu: /hoc pater ac dominus interest" (Adelphoe[19] , vv. 57-58), credo che sia meglio tenere a freno i figli con il rispetto e con la generosità che con la paura. In questo differisce un padre da un padrone.
Non c'è solo il padre padrone ma anche la madre padrona: tale è Clitennestra secondo l'opinione della figlia nell'Elettra[20] di Sofocle:"kaiv s j e[gwge despovtin-h] mhtevr j oujk e[lasson eij" hJma'" nevmw" (597-598) e io ti considero padrona non meno che madre verso di noi.
L’educazione deve liberare il giovane da ogni forma di asservimento: "i tuoi educatori non possono essere niente altro che i tuoi liberatori". Ogni formazione "è liberazione, rimozione di tutte le erbacce, delle macerie, dei vermi che vogliono intaccare i germi delicati delle piante, irradiazione di luce e di calore"[21]
Bologna 24 dicembre 2024 ore 20, 46 giovanni ghiselli
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[1] 8 ottobre 2002
[2] P. P. Pasolini, scolari e libri di testo Il Mattino del popolo, 26 novembre 1947, in Pasolini sulla politica e sulla società, p. 52
[3] E’ uno degli ultimi cinque versi della Medea; vediamoli tutti: “Di molti casi Zeus è dispensatore sull' Olimpo;/e molti eventi in modo insperato compiono gli dèi;/e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,/mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via./Così è andata a finire questa azione (vv. 1415-1419. La stessa conclusione, con la sola variante del primo di questi ultimi versi ("molte sono le forme della divinità") si trova nell'Alcesti, nell'Andromaca , nell'Elena e nelle Baccanti (ndr).
[4] E Morin, I sette saperi, p. 14, p. 81 e p. 88.
[5] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 5, 8, 15.
[6] Scipione aveva una decina di anni meno di Annibale.
[7] Cfr. King Lear :"As flies to wanton boys, are we to the gods, /They kill us for their sport " (IV, 1), come mosche per dei monelli capricciosi siamo noi per gli dèi.
[8] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 220.
[9] Educazione e formazione culturale in Quale scuola?., p. 85.
[10] Sull'istruzione popolare (del 1862), in Lev Tolstoj, Quale scuola?, p. 57.
[11] E. Morin, I sette saperi, p. 39.
[12] P. P. Pasolini, scolari e libri di testo, (“Il Mattino del popolo, 26 novembre 1947) in Pasolini saggi sulla politica e sulla società, p. 51
[13] F. Nietzsche, Sull'avvenire delle nostre scuole, p. 46.
[14] Nietzsche le scrisse all'inizio 1872, quando aveva compiuto ventisette anni da pochi mesi.
[15]Del V secolo d. C. , pervenutoci parzialmente (n. d. r.).
[16]Sull'avvenire delle nostre scuole , p. 71.
[17]Seneca (4 ca a. C.-65 d. C.), Ep. , 88, 2
[18] Seneca, Ep., 37, 4.
[19] Del 160 a. C.
[20] Intorno al 415 a. C.
[21] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, Schopenhauer come educatore, p. 168.
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