Annibale voleva rompere la “consorteria internazionale” tra gli optimates di tutta la terra che Roma stava ordendo.
Vediamo chi sono gli optimates.
Nell’orazione Pro Sestio del 56 a. C. Cicerone li definisce in tal modo : “Omnes optimates sunt qui neque nocentes sunt, nec natura improbi nec furiosi, nec malis domesticis impediti” (97), sono tutti ottimati quelli che non sono nocivi, né per natura malvagi né squilibrati, né inceppati da difficoltà familiari. Anzi essi costituicono una casta (natio) all’interno della popolazione: “integri sunt et sani et bene de rebus domesticis constituti”, sono irreprensibili, saggi e benestanti.
Carlo Emilio Gadda in una delle Novelle del ducato in fiamme (1953) mette in rilievo l’appartenenza di Cicerone al partito dei proprietari: “Così d’attorno al De Officiis ( del 44) ferveva, in que’ mesi, e trepestava tutto il formicolante quartiere dell’anima. Ma la vita ribolle ancora , inesausta, dentro le pentole dell’indescrivibile arsenale. Così tra le dialettizzazioni storicizzanti circa il cathècon tèleion e il cathècon mèson- kaqh`kon tevleion, mevson- cioè circa l’officio perfetto e l’officio medio (è il tradurre di un cruschevole), fra Poseidonio (Posidonio 135-50) e Panezio (185-109), fra Peripatetici ed Accademici, e nel bel mezzo dell’onesto e dell’utile, della Giustizia e della Temperanza, della Prudenza e della Fortezza, salta fuori tutt’a un tratto, una rabbia pazza, da padron di casa con la museruola, contro i decreti legge del 707(decreti di Cesare del 47) che rimettevano agli inquilini non i loro peccati , ma i fitti arretrati. Con repentini morsi di vipera il risentimento del moralista-padron di casa azzanna da morto colui “qui omnia jura divina et humana pervertit” (De officiis, I, 8, 26, sconvolse tutte le leggi divine e umane).
La stizza di aver dovuto condonare quei fitti mescolata con quella del prestito forzoso imposto dal dittatore a tutta la gente per bene, gli fa esclamare che quegli non fu un uomo , ma un mostro, un sadico folle, assetato di volontà malvagia: “tanta in eo peccandi libido fuit, ut hoc ipsum eum delectaret peccare, etiamsi causa non esset” (De officiis, II, 84) in costui c’era tanta brama di fare il male che gli dava piacere questo stesso fare il male , anche se non ce n’era motivo” (da S. Giorgio in casa Brocchi) .
Mi sembra di sentire la stessa stizza non tanto negli optimates attuali ma nei cani da guardia di questi e nei loro canari: i penultimi che hanno orrore degli ultimi e plaudono ai molossi che li sbranano.
Qui habet aures audiendi audiat e chi ha intelletto capisca.
Bologna primo dicembre 2024 ore 19, 05 giovanni ghiselli
p. s.
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