Tolstoj, Nietzsche e l’uomo alessandrino[1]. il Museo, la biblioteca di Alessandria e gli “scarabocchiatori libreschi” canzonati da Timone di Fliunte[2]. Cicerone: gli inutili individui sepolti negli studi letterari, e l’ umbraticus doctor di Petronio. Luciano nella Storia Vera si prende gioco della “questione omerica”. Platone: la rivolta dei poveri snelli e abbronzati conto i ricchi pallidi e grassi fa cadere l’oligarchia. Seneca: il De brevitate vitae e la “morbosa” filologia omerica. Quintiliano: il ragazzo non deve impallidire a ammuffirsi in una vita umbratile e solitaria. Aristofane: le Nuvole contro i maestri pallidi. Annoiare è il crimine degli imbecilli. Goethe. Nietzsche: Zarathustra contro i dotti. Fellini: contro uno studio di tipo catastale. Hesse: il maestro deve avere la capacità di attirare e influenzare. Leopardi e la reputazione degli Italiani quali “custodi di musei”.
La gestione e l'esposizione delle nostre materie non deve essere fredda, da erudito senza anima. "La cultura, secondo noi, rappresenta l'insieme di tutti gli elementi che contribuiscono alla crescita dell'individuo, che gli forniscono una più ampia concezione del mondo, che gli danno nuove conoscenze. Tutto produce cultura: i giochi infantili, le sofferenze, le punizioni dei genitori, i libri, il lavoro, lo studio libero e lo studio imposto, l'arte, la scienza, la vita[3]".
"La cultura comincia proprio dal punto in cui sa trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo"[4].
Noi insegnanti dobbiamo prendere le distanze dal pedante estraneo al mito e alla vita, quello che Nietzsche definisce "l'eterno affamato, il "critico" senza piacere e senza forza, l'uomo alessandrino[5], che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si accieca miseramente sulla polvere dei libri e degli errori di stampa"[6].
L’aspetto negativo di questa cultura museale, e della poesia “dotta”, è la sua separazione dall’anima popolare: “Questa separazione-che in Atene era stata motivo di incomprensione e di diffidenza tra i filosofi e la città ed ora era totale estraneità – fa sì che un poeta satirico e filosofo scettico, Timone di Fliunte, contemporaneo dei primordi del Museo, ne parli come di una “gabbia”: la gabbia delle Muse. “Nella popolosa terra d’Egitto-così si esprime Timone-vengono allevati degli scarabocchiatori libreschi che si beccano eternamente nella gabbia delle Muse” (fr. 12 Di Marco)”[7].
“A quanto sappiamo, non fu mai ad Alessandria Timone di Fliunte, che però doveva essere ben al corrente di quello che avveniva nella città egiziana, se poteva dirigere i suoi sarcasmi contro i filologi rinchiusi nella gabbia delle Muse, dunque contro il modo di vivere e operare nelle rinomate istituzioni culturali del luogo, e poteva dare al poeta Arato il consiglio di utilizzare le vecchie copie di Omero e non quelle recentemente corrette”[8].
A tali studiosi separati dalla vita allude Cicerone nell'orazione Pro Archia [9] e proclama la propria diversità da tale genìa che ha tutte le ragioni per vergognarsi :" Ceteros pudeat, si qui ita se litteris abdiderunt, ut nihil possint ex iis neque ad communem adferre fructum neque in aspectum lucemque proferre" (6, 12), gli altri si vergognino se si sono seppelliti negli studi letterari in modo che da questi non possono recare niente all'utilità comune, né presentare alcunché alla vista e alla luce.
Gli studiosi intelligenti creano mentre imparano e creano ancora quando educano riferendo e rinnovando quanto hanno imparato.
Gli impiegati della scuola imparano e ripetono senza capire, ricreare, confrontare, criticare nulla di quanto hanno imparato
Petronio contrappone l' umbraticus doctor lo studioso ammuffito e deleterio ai grandi tragici:" cum Sophocles aut Euripides invenerunt[10] verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat "[11] quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra a scempiare gli ingegni.
Su questa linea procede Luciano il quale si prende gioco della cosiddetta questione omerica, e del sentimento nazionale dei Greci, immaginando un incontro con Omero che afferma di essere un Babilonese di nome Tigrane, nome poi cambiato in Omero per essere stato in ostaggio presso gli Elleni (oJmhreuvsa~ para; toi'~ {Ellhsin), quindi aggiunge che i versi espunti dai filologi Alessandrini invero erano autentici (Storia vera, II, 20). Sicché i grammatici seguaci di Zenodoto e Aristarco vengono accusati di yucrologiva, di fare delle fredde chiacchiere.
Del resto Luciano premette alla sua storia la confessione che è una favola mentita, essendo lui un seguace dell’ Odisseo omerico divdaskalo~ th'~ toiauvth~ bwmolociva~ (I, 3), maestro di tale ciarlataneria.
Il documento presentato da Roberto Pretagostini sulla Cultura classica nella nuova scuola superiore[12] propone, tra altre cose, che il nuovo professore di Cultura e civiltà classica debba "inventare…specifici e in qualche misura originali percorsi di apprendimento". L' umbraticus doctor è assimilabile all'insegnante noioso indicato da Ferruccio Bertini quale modello negativo.
L’ombra aduggia la forza della vita. E' interessante notare che nell’VIII libro della Repubblica di Platone la rivolta contro l'oligarchia parte dal povero snello e abbronzato ijscno;" ajnh;r pevnh" hJliwvmeno" (556d) il quale, schierato in battaglia accanto al ricco cresciuto nell'ombra con molta carne altrui (paratacqei;" ejn mavch/ plousivw/ ejskiatrofhkovti, polla;" e[conti savrka" ajllotriva"), lo vede pieno di affanno e difficoltà, e capisce che non vale nulla, quindi che non deve obbedirgli poiché il potere di quell’individuo pallido e grasso non è naturale.
Anticipa il der Mensch ist was er isst di Feuerbach, l’uomo è ciò che mangia
Anche Seneca disapprova un approccio devitalizzante ai testi classici: nel De brevitate vitae[13] il filosofo sconsiglia di accorciare la vita perdendo tempo in occupazioni che non giovano allo spirito: "Graecorum iste morbus fuit quaerere quem numerum Ulixes remigum habuisset, prior scripta esset Ilias an Odyssia, praeterea an eiusdem esset auctoris, alia deinceps huius notae, quae sive contineas nihil tacitam conscientiam iuvant, sive proferas non doctior videaris sed molestior" (13) questa fu una malattia dei Greci, cercare quale numero di rematori avesse avuto Ulisse, se sia stata scritta prima l'Iliade o l'Odissea, inoltre se siano del medesimo autore, e successivamente altre notizie di questo tipo, nozioni che se le tieni per te non giovano per niente al puro fatto di saperle, se le tiri fuori, non sembri più dotto ma più pedante.
Il classicista Quintiliano vuole escludere l'ombra, la solitudine e la muffa dall'educazione del ragazzo che deve diventare un buon oratore:"Ante omnia futurus orator, cui in maxima celebritate et in media rei publicae luce vivendum est, adsuescat iam a tenero non reformidare homines neque illa solitaria et velut umbratica vita pallescere. Excitanda mens est et adtollenda semper est, quae in eiusmodi secretis aut languescit et quendam velut in opaco situm ducit, aut contra tumescit inani persuasione; necesse est enim nimium tribuat sibi, qui se nemini comparat "[14] , prima di tutto il futuro oratore che deve vivere frequentando moltissime persone, e in mezzo alla luce della politica, si abitui fin da ragazzo a non temere gli uomini e a non impallidire in quella vita solitaria e come umbratile. Va tenuta sveglia e sempre innalzata la mente che in solitudini di tal fatta o si infiacchisce, e nella tenebra prende un certo puzzo di muffa, o al contrario si gonfia di vuoti convincimenti: è infatti inevitabile che attribuisca troppo a se stesso chi non si confronta con nessuno.
Il maestro pallido, ossia tedioso, desta una diffidenza o addirittura una ripugnanza istintiva, anche fisica nel giovane discepolo.
Fidippide, il figlio di Strepsiade, rifiuta i cattivi educatori, i maestri lazzaroni della scuola di Socrate anche per il loro colore giallastro, malsano:"aijboi', ponhroiv g' oi\da. tou;" ajlazovna"-tou;" wjcriw'nta" tou;" ajnupodhvtou" levgei" (Aristofane, Nuvole, vv. 102-103), puah!, quei furfanti, ho capito. Tu dici quei ciarlatani, quelle facce pallide, gli scalzi.
Nella Pace[15] è pallida addirittura la città di Atene paralizzata dal terrore della guerra, dei demagoghi e dei sicofanti:"hJ povli" ga;r wjcriw'sa kajn fovbw/ kaqhmevnh" (v. 642).
Di certo gli studenti proveranno simpatia per le parole dei grandi autori contro i cattivi maestri. Possiamo aggiungere queste di Mefistofele a Faust: " Che è questo luogo di martirio? E che vita è questa che consiste nell'annoiare sè e i giovani?"[16].
Quanti di noi lo fanno? Non dimentichiamo mai che annoiare è il crimine degli imbecilli. Dobbiamo avere il terrore di annoiare chi ci ascolta.
Quindi Nietzsche: “Guardatevi anche dai dotti! Essi vi odiano: perché sono sterili! Essi hanno occhi freddi e asciutti, davanti a loro ogni uccello giace spennato”[17].
L’insegnante bravo è quello che non solo ha studiato molto ma ha vissuto, gioito e sofferto e amato molto. A lui molto sarà perdonato.
Sentiamo i ricordi di Fellini studente: "La scoperta, la conoscenza del mondo pagano che si acquisisce a scuola, ad esempio, è di tipo catastale, nomenclativo, favorisce con quel mondo un rapporto fatto di diffidenza, di noia, di disinteresse, al massimo di una curiosità casermesca, abietta, un po' razzistica, comunque di cosa che non ti riguarda"[18].
In un altro libro il regista riminese racconta di un insegnante impreparato che si riempiva di ridicolo:" Il professore era comicissimo quando pretendeva che dei mascalzoni di sedici anni fossero presi da entusiasmo perché lui declamava con la sua vocina l'unico verso rimasto di un poeta:"Bevo appoggiato sulla lancia"[19]; e io allora mi facevo promotore di ilarità sgangherate inventando tutta una serie di frammenti che andavamo sfacciatamente a riproporgli"[20].
Bullismo da vecchio romagnolo, un tantino plebeo.
La chiave però è proprio questa: far capire e sentire ai giovani che quel "mondo pagano" li riguarda. Certamente l'attenzione degli studenti ha un prezzo molto alto, quello della nostra preparazione, e il loro consenso non va cercato a tutti i costi. Josef Knecht durante il suo apprendistato nel mondo spirituale della Castalia "imparò che un po' di questa capacità di attirare e d'influenzare gli altri è parte essenziale delle doti di un insegnante e di un educatore, e che nasconde pericoli e impone certe responsabilità"[21].
Leopardi considera malinconicamente la reputazione che hanno gli Italiani all’estero di essere “tanti custodi di un museo”, quando va bene: “Quegli tra gli stranieri che più onorano l’Italia della loro stima, che sono quei che la riguardano come terra classica, non considerano l’Italia presente, cioè noi italiani moderni e viventi, se non come tanti custodi di un museo, di un gabinetto e simili; e ci hanno quella stima che si suole avere a questo genere di persone; quella che noi abbiamo in Roma agli usufruttuarii, per così dire, delle diverse antichità, luoghi, ruine, musei ec. (31 Marzo 1827)”[22].
Infine sentiamo Pasolini su che cosa è un maestro. Non è un travet, non è solo un professore, sia pure universitario. “Longhi era sguainato come una spada. Parlava come nessuno parlava. Il suo lessico era una completa novità”. Il grande maestro “si poneva come alternativa alla realtà fino a quel momento conosciuta”[23].
Bologna 24 dicembre 2024 ore 18, 19 giovanni ghiselli
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[1] La cultura alessandrina fiorì sotto il patrocinio dei Tolomei, a partire da Tolomeo I Sotèr che divenne satrapo dell’Egitto dopo la morte di Alessandro Magno (323 a. C.); assunse il titolo di re nel 305, e morì nel 283. Ulteriore impulso venne dato dal suo successore Tolomeo II Filadelfo che fu correggente dal 285, regnò dal 283 al 246 a. C., poi da Tolomeo III Evergete (246-221 a. C.).
[2] 315-225 a. C.
[3] L. Tolstoj, Educazione e formazione culturale in Lev Tolstoj, Quale scuola? , p. 77.
[4] F. Nietzsche, Sull'avvenire delle nostre scuole, p. 43.
[5] Ad Alessandria d’Egitto, la città fondata da Alessandro Magno nella primavera del 331 a. C., i Tolomei istituiscono un Museo dove “vengono a confluire strumenti di lavoro, collezioni di animali, raccolte di libri” Inoltre “dentro il Museo vivono in koinonia gli scienziati e i letterati: lì studiano, lì impartiscono il loro insegnamento, lì consumano i pasti in comune”. (L. Canfora, La Biblioteca e il Museo in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I, Tomo II, p. 15). Viene in mente la Castalia di Il gioco delle perle di vetro di H. Hesse. Oltre al Museo i Tolomei fondarono una “ grande biblioteca “mirante –secondo l’ambizioso progetto-a contenere tutti i libri del mondo… Tutte le fonti concordano nell’attribuire al II Tolomeo, il Filadelfo (285-246 a. C.), figlio e successore dopo due anni di correggenza, del Soter, l’iniziativa della grande biblioteca ed il merito di averla incrementata in modo ammirevole e rapido. E nondimeno le medesime fonti pongono accanto al Filadelfo, come principale esecutore e ordinatore di questa impresa, Demetrio Falereo, che invece dal Filadelfo fu eliminato non appena questo poté regnare da solo (fr. 69 Wehrli)” L. Canfora, op. cit., p. 20. Demetrio del Falero era l’allievo di Teofrasto che Cassandro impose nel 317 al governo di Atene: nel 307 fu costretto a fuggire da Demetrio Poliorcete: si rifugiò in Egitto dove rimase fino alla morte.
[6]Nietzsche, La nascita della tragedia , capitolo 18.
[7] L. Canfora, La Biblioteca e il Museo in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I, Tomo II, p. 16.
[8] F. Montanari, La Biblioteca e il Museo in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I, Tomo II, p. 635
[9] Del 62 a. C.
[10] Invenerunt e il successivo deberent significano da una parte inventiva e fantasia, dall'altra la non meno necessaria disciplina che più avanti infatti viene rimpianta.
[11]Satyricon, 2.
[12] Il documento è firmato da Ferruccio Bertini, Maria Pia Ciccarese, Leopoldo Gamberale, Roberto Pretagostini, Giuseppe Zecchini.
[13] Del 49 ca d. C. La brevità della vita umana ha dato parecchio da dire agli scrittori e ai loro personaggi:"Scostatevi, vacche, che la vita è breve", gridava Aureliano secondo in Cent'anni di solitudine di G. G. Marquez (p. 202).
[14] Institutio oratoria I, 2, 18.
[15] Del 421 a. C.
[16] Goethe, Faust , Prima parte (del 1808)., Studio, II, 1835-1836
[17] Così parlò Zarathustra, IV, Dell’uomo superiore, 9.
[18] F. Fellini, Fare un film, p. 101.
[19] Si tratta di una parte del pentametro del fr. 2D. di Archiloco costituito da un distico elegiaco. Non è "l'unico verso rimasto" del poeta vissuto nel VII secolo a. C.
.
[20] F. Fellini, intervista sul cinema, p. 136.
[21] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 155.
[22] Zibaldone, 4267.
[23] P. P. Pisolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, p. 2594
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