Tucidide e la potenza oratoria di Pericle. Omero e l’educazione di Achille. L’incipit del Vangelo secondo Giovanni. Le parole, come le cose, constano di elementa (stoicei'a ), che sono tanto gli atomi quanto le lettere dell’alfabeto: gli uni e le altre si mettono insieme e si separano, si aggiungono e si tolgono. Ivano Dionigi rileva una coincidenza tra terminologia grammaticale e terminologia atomistica, con precedenza della prima. Lucrezio. Platone.
Tucidide nel presentare Pericle, che sta per pronunciare il primo dei suoi discorsi, lo definisce uomo che in quel tempo era il primo degli Ateniesi, il più capace di parlare e di agire (prw'to" w[n…Aqhnaivwn, levgein te kai; pravssein dunatwvtato" , I, 139).
Per primeggiare dunque sono necessarie la potenza (duvnami" ) della parola (lovgo" ) innanzitutto, poi quella dell'azione ( pra'gma).
Infatti più avanti leggiamo: “touv~ te lovgou~ o{sti~ diamavcetai mh; didaskavlou~ tw`n pragmavtwn givgnesqai…ajxunetov~ ejstin” (III 42, 2), chiunque contesti che i discorsi siano maestri delle azioni è stupido.
Già nell'eroe dell'epica la capacità della mente, che si esprime attraverso la parola, deve precedere quella dell'azione .
Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni:"muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[1], a essere dicitore di parole ed esecutore di opere. Si vede bene la priorità della parola.
I grandi condottieri storici a partire da Alessandro Magno hanno utilizzato Achille come modello.
A questo proposito ricordo ai miei lettori che dal 21 gennaio all’11 marzo terrò un corso di 16 ore alla Primo Levi su Alessandro Magno, Annibale, Nerone.
Insomma:"In principio erat Verbum"[2].
Ma il verbum deve diventare factum. “Im Anfang war das Wort…Im anfang war die Tat”[3].
Ivano Dionigi nel De rerum natura di Lucrezio accerta una "coincidenza di terminologia grammaticale e terminologia atomistica" e presume una "probabile mutuazione della seconda dalla prima" per cui "i fatti verbali vanno ritenuti prioritari non solo nell'esegesi filologica ma anche nella critica letteraria lucreziana a causa della omologia e connaturalità di lingua e realtà. E' come se il detto catoniano fosse invertito: verba tene, res sequetur"[4]. Ribaltare il motto di Catone "Rem tene, verba sequentur" (fr. 15 Jordan), tieni in pugno l'argomento, le parole seguiranno, significa affermare in qualche modo la priorità dei verba.
Nel Nuovo Testamento vediamo che Cristo pre-dice quasi sempre quello che sta per fare. “Il rapporto di antecedenza della parola rispetto all’evento importante (morte, guarigione, tradimento, ecc.) ci appare tanto abituale che ogni avvenimento di qualche peso , qualora non sia “spiegato” da una parola che lo precede, è destinato a essere percepito come anomalo e a provocare l’imbarazzo dei commentatori. Questo vale nel nostro testo per la caduta dei porci in mare”[5].
“Come l’equivalente greco stoicei'a (cfr. Epicuro, ep. Pyth. 86; ep. Men. 123), elementa ha il doppio senso di “elementi primordiali” e “lettere dell’alfabeto”. Sul parallelismo e addirittura sulla connaturalità di elementi naturali ed elementi linuistici, di realtà fisica e realtà verbale, di cosmo e testo, Lucrezio interverrà ripetutamente e intenzionalmente (I, 817-819; 2, 688-699 e 1007-1022 vd. note ad. loc.)”[6].
Più avanti Dionigi commenta i versi lucreziani i quali presentano gli atomi, determinati corpi immutabili, per l’allontanarsi e il sopraggiungere dei quali, mutato l’ordine, le cose mutano natura e i corpi si trasformano: “certissima corpora quaedam/ sunt quae conservant naturam semper eandem,/ quorum abitu aut aditu mutatoque ordine mutant/ naturam res et convertunt corpora sese ” (I, 677-678).
“Le cause lucreziane della formazione dei corpi hanno una rispondenza evidente e significativa con le cause della formazione delle parole, quali troviamo puntualmente segnalate da Varrone (ling. Lat. 6, 2 qui omnes verba ex verbis ita declinari scribunt, ut verba litteras alia assumant, alia mittant, alia commutent , “ tutti costoro scrivono che le parole derivino da altre parole per assunzione, perdita e mutamento delle lettere) e codificate dall’autore della Rhetorica ad Herennium (4, 20, 29, dove tra le diverse cause dell’adnominatio, “paronomasia”, vengono elencate: litterarum additio, demptio, translatio, commutatio). Il ‘distaccamento’, l’’accostamento’, il ‘mutamento’ degli atomi convertono la natura delle cose nello stesso modo in cui l’ ‘omissione’, l’ ‘aggiunta’, il ‘mutamento’ delle lettere convertono l’identità delle parole”[7].
Lucrezio torna sull’argomento più avanti affermando che nei suoi versi si possono vedere molti elementi comuni a molte parole: “multa elementa vides multis communia verbis” (I, 824), mentre versi e parole si differenziano.
Tantum elementa queunt permutato ordine solo (v. 827), tanto possono le lettere se viene mutato solo l’ordine. I primordia rerum possono impiegare un maggior numero di forme in quanto da essi si creano tutte le varie sostanze.
Elementum (stoicei'on) è dunque inteso come costituente originario sia dell'essere sia dell'alfabeto. Il maggior conforto sulla priorità del modello alfabetico viene da Platone il quale "teorizza chiaramente che la scrittura è il modello conoscitivo, anzi il modello del modello (to; paravdeigma paradeivgmato" , Pol. 278 d ss.), e che le lettere e sillabe dell'alfabeto (ta; tw'n grammavtwn stoicei'a kai; sullabaiv) sono i modelli che, al pari di ostaggi in nostro possesso, garantiscono la teoria degli elementi primi (w{sper ga;r oJmhvrou" e[comen tou' lovgou ta; paradeivgmata, oi|" crwvmeno" ei\pe pavnta tau'ta, Theaet. 202e)"[8].
Bologna 26 dicembre 2024 ore 18, 13giovanni ghiselli
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[1]Iliade , IX, 443.
[2] Vangelo di Giovanni , Prologo.
[3] Goethe, Faust I, Studio. In principio era la Parola…in principio era l’Azione.
[4] I. Dionigi, Lucrezio, Le parole e le cose , p.37.
[5] J. Starobinski, Tre furori, p. 71. L’episodio commentato è quello dell’indemoniato di Gerasa (Matteo, V, 1-20)
[6] I. Dionigi (a cura di) Lucrezio, La natura delle cose, nota a I, 197, pp. 87-88.
[7] I. Dionigi, Op. cit., p. 123.
[8] I. Dionigi, Lucrezio, Le parole e le cose, p. 35.
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