Il culto del successo attraverso la parola non va disgiunto dalla morale.
Socrate nelle Nuvole e, di nuovo, Odisseo nel Filottete. Gorgia. L’apostolo Giacomo. L’Odisseo di Pindaro fa torto all’a[glwsso~ Aiace (Nemea VIII). L’Ulisse di Virgilio, scelerum inventor. Fedra nell’Ippolito di Euripide non parla per sfiducia nelle lingua.
L’empio Socrate delle Nuvole di Aristofane ordina all’aspirante allievo Strepsiade, che non vuole pagare i debiti, di non onorare alcun dio, a parte i tre della sua scuola: “to; Cavo~ touti; kai; ta;~ Nefevla~ kai; th;n Glw`ttan” (v. 424), questo Caos qui, Nuvole e Lingua.
Il culto del successo per mezzo della parola la parola deve essere corretto attraverso considerazioni morali avverse alla frode che invece il Socrate delle Nuvole insegna nella sua scuola, e Odisseo, la consumata volpe del Filottete, suggerisce al giovane figlio di Achille (dovlw/, v. 102 e v. 107) il quale però, schietta prole di schietto padre, non può dire le menzogne (ta; yeudh' levgein , v. 108).
Infatti la parola è un'arma potentissima, e dal doppio taglio. Sentiamo Gorgia:"lovgo" dunavsth" mevga" ejstivn, o{" smikrotavtw/ swvmati kai; ajfanestavtw/ qeiovtata e[rga ajpotelei' "[1], la parola è un gran signore che, con un corpo piccolissimo e invisibile, compie opere assolutamente sovrumane.
Queste opere possono essere divine ma anche diaboliche.
L'apostolo Giacomo mette in rilievo la parte direttiva del parlare come aveva fatto l'Odisseo del Filottete:" se uno non inciampa nel parlare, questo è un uomo perfetto (tevleio" ajnhvr), capace di guidare tutto il corpo. La lingua dunque è un piccolo membro e si vanta di grandi cose (mikro;n mevlo" kai; megavvla aujcei'). Eppure essa è un fuoco, è il mondo dell'iniquità (oJ kovsmo" th'" ajdikiva" ) e contamina tutto il corpo e incendia la ruota della nascita e trae la sua fiamma dalla Gehenna (kai; flogizomevnh uJpo; th'" geevnnh") … Ogni specie di fiere e di uccelli e rettili e animali marini si doma ed è stata domata dalla razza umana, ma la lingua nessuno degli uomini può domarla, è un male inquieto, pieno di veleno mortifero (Epistola di Giacomo, 3, 2-8). La mancanza della lingua è un grave handicap, ma la lingua ingannevole produce il male e la morte.
Lo scita Anacarsi che andò ad Atene nel 591 e fu ospite e amico di Solone, interrogato che cosa fosse insieme bene e male per gli uomini, rispose “la lingua”[2].
Nella Nemea VIII Pindaro ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24), privo di eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e prevalse l’odioso discorso ingannevole di Odisseo.
Tuttavia alla fine Aiace ebbe giustizia: “a’ generosi/giusta di glorie dispensiera è morte;/né senno astuto, né favor di regi/all’Itaco le spoglie ardue serbava,/ché alla poppa raminga le ritolse/l’onda incitata dagl’inferni Dei” (Dei Sepolcri, vv. 221-225).
Odiosa e ingannevole è pure la lingua dell' Ulisse virgiliano: scelerum inventor [3].
Nell’Ippolito di Euripide, Fedra spiega perché ha taciuto a lungo il suo amore: poiché non ci si può fidare della lingua (glwvssh/ ga;r oujde;n pistovn, v. 395) che sa correggere i pensieri degli altri, mentre da se stessa si procura moltissimi mali. Le parole troppo belle (oiJ kaloi; livan lovgoi, v. 487), continua Fedra, possono provocare la rovina delle città ben governate e delle case.
Bologna 28 dicembre 2024 ore 10, 36 giovanni ghiselli
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