Entrai nella terza liceo che stavo perdendo con dispiacere mio e dei discepoli. I giorni precedenti avevo esposto le mie lezioni , pur preparate bene, con tono triste, già intriso di nostalgia e rimpianto. I ragazzi volevano manifestare ancora in mio favore ma io li trattenni, anche per non danneggiare me stesso: il preside Tangheri aveva il potere di farmi trasferire se i ragazzi gli creavano delle noie e lui ne dava la colpa a me. Io avevo solo l’appoggio degli allievi e dei genitori, ma tra questi non c’era nessun maggiorente della città. I figli dei più potenti della città allora andavano al Galvani dove avrei avuto la sede definitiva quattro anni più tardi.
Del resto quel giorno, il 13 ottobre, ero tornato allegro grazie alla compensazione trovata nella splendissima collega: recitai le due parti preparate sulla funerea Antigone e su Petronio cantore della decadenza con vigorosa allegria: il solo pensiero della fulgente ragazza dissipava ogni nebbia. Mi donava gioia la certezza che presto avrei abbracciato quella giovane collega e che avrei potuto educarla. Mi aspettavo una lunga costruzione di crescita reciproca. Allora non sapevo che le mie fatiche impiegate per lei sarebbero andate in gran parte perdute come vedrete, cari lettori.
In quel tempo non avevo bisogno di donne amanti: due ne avevo a Bologna e almeno altre due a disposizione poco lontano, ma Ifigenia era più che una donna qualunque: per me incarnava un’idea: quella della vita piena, cioè sana, felice, trionfante nel sole, senza paure, divieti, rimpianti, rimorsi. Tutto questo vedevo in lei. Anche troppo, probabilmente, ma dovevo compensare il doloroso smacco subìto nel lavoro dopo che per tre anni mi ero quasi ammazzato di studio perché nel liceo corresse la fama che aveva spinto Ifigenia verso la mia persona: la mia reputazione di professore bravissimo.
Lei era la femmina più bella e non solo tra le colleghe, e dunque la mia bravura era stata adeguatamente premiata. Ma una volta retrocesso al ginnasio, dovendo insegnare i tecnicismi del greco e del latino, e mi domandavo: con tale lavoro sarei rimasto all’altezza professionale e culturale cui ero arrivato o sarei regredito a ripetitore dei paradigmi verbali che si trovano già nel vocabolario?
Così avevo iniziato tre anni prima a Imola imitando i professori che avevo avuto da discente, ma avevo capito presto tale metodo era bolso, era una via inadeguata e non bastava ad attirare l’attenzione dei ragazzi i quali mi indicarono la strada giusta: “studiati e spiegaci la Nascita della tragedia” mi dissero, e lo feci, e sono ancora grato a quegli allievi adolescenti di avermi assegnato dei compiti più impegnativi e accrescitivi di quelli che mi avevano imposto per anni dei professori rancidi.
Potevo consolarmi pensando: “ ma sì, dopo avere passato un intero triennio a studiare i testi greci e latini, a tradurli e commentarli, rimaneva la letteratura moderna da studiare: grandi autori che conoscevo appena, come Gončarov, Turgenev, Gogol, Dostoevskij, Tolstoj, Flaubert, Huysmans, Wilde, Joyce, Proust, Kafka, Thomas Mann, Shakespeare, Goethe,T. S. Eliot.
Anche la grammatica delle lingue antiche del resto potevo insegnarle attraverso le parole più belle degli autori più bravi che avrebbero colpito la sfera emotiva dei ragazzini impressionando la loro memoria. Aggiungo adesso che all’epoca la scuola non era degradata come oggi e chi si iscriveva al ginnasio aveva una predisposizione per le lettere e una preparazione di base che ora non c’è.
Per lo meno gli alunni conoscevano discretamente la lingua italiana.
Inoltre potevo e dovevo educare Ifigenia anche facendole ripassare il greco come mi aveva chiesto lei stessa. Iniziai raccontandole il Simposio di Platone. Facevo la parte di Diotima, la maestra dell’amore. Quindi passai al Fedro. Cercavo di comunicare a Ifigenia che Amore è il valore fondante, quello che avvalora la vita, il valore che ci spinge e innalza verso le vette più alte: l’eroismo , la gloria, l’arte, insomma tutto quanto ci imparadisa e ci indìa.
Scoprirò con disincanto che Ifigenia in effetti mirava a elevarsi più che altro da una condizione socioeconomica modesta. Mi accorgerò che tendeva a una scalata sociale prima di tutto. Già vedevo che adorava esibirsi. Infatti mi disse presto che le sarebbe piaciuto recitare a teatro.
Anche la relazione con me era, almeno in parte, una scena da recitare.
Ammetto che pure insegnando si recita e anzi cercavo di chiarirle il mio metodo, la via per ottenere l’ attenzione degli studenti, problema che è il primo di ogni giovane docente inesperto. Vero è che Ifigenia era bella assai, ma l’utenza del Minghetti era costituita prevalentemente di femmine, piuttosto rivali che inclini a innamorarsi di lei.
Questo duplice impegno di insegnarle dei contenuti e un metodo per presentarli fu una ragione di contatto reale, concreto e costruttivo tra noi. Fatto sta però che la vivevo come un’allieva e una figlia piuttosto che quale collega, sebbene la differenza di età fosse non superiore a nove anni.
Forse con lei recuperavo la diciannovenne Josiane, venuta a Debrecen nel 1971 dopo avere preso il diploma di maturità classica al liceo di Strasburgo , poi la stessa ragazza che studiava greco e latino all’Università nel ’74 mi donò una rosa bianca con la dedica “magister tibi”. Fu l’ultima volta che la vidi, ed era appunto una ragazza più giovane di me quanto Ifigenia nel 1978, una che mi era piaciuta assai lì a Debrecen, ma non ci avevo provato per serbare fedeltà due volte: la prima nel ’ 71 alla finnica Helena incinta di un altro, la seconda, nel ’ 74, alla finnica Päivi incinta di me.
Solo uno scambio di cortesie e di simpatia c’era stato tra me e
Josiane che è uno dei rimpianti della mia vita. Oramai dovrebbe essere sui Settanta anni se è viva. Se la incontrassi per la terza volta la corteggerei a oltranza.
Nell’autunno del 78 non avevo problemi di fedeltà promessa a chicchessia. Ero e mi sentivo libero come un fringuello.
Bologna 6 dicembre 2024 ore 10, 43 giovanni ghiselli.
p. s.
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