NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 9 dicembre 2024

Nerone XXIV. La morte di Nerone in Svetonio.


 

Vediamo qualcos’altro sulla fine raccontata da Svetonio.

Nerone  voleva presentarsi agli eserciti ribelli non facendo altro che piangere; poi, ravvedutisi questi, laetum inter laetos cantaturum epinicia (43) che già stava componendo. Preparava la spedizione scegliendo i veicoli per trasportare attrezzi teatrali, e fece tosare e armare da maschi le concubine che voleva portare con sé. 

Il liberto Faonte gli offrì il suo villino tra la Salaria e la Nomentana a quattro miglia a nord del Palazzo. Si diresse là. Passò per harundinēti semĭtam, per il viottolo di un canneto (48), e arrivò al muro posteriore della villa. Faonte lo esortò a nascondersi in una cava di sabbia ma Nerone negavit se vivum sub terram iturum, poi prese in mano l’acqua di una pozzanghera e disse Haec est  Neronis decocta (48), l’acqua distillata di Nerone. Era acqua bollita e poi raffreddata nella neve (Plinio, Nat. Hist., 31, 40) Quindi entrò e si ricoverò in una stanzuccia. Infine: “qualis artifex pereo!”-

 

E’ arrivato alla verità, alla non latenza, come Edipo. Tutta la sua vita è stata un coflitto tra latenza-contraffazione e non latenza-verità. Come quella di Edipo o di Ludwig di Baviera.

“Pensiamo all’Edipo re di Sofocle. Edipo, che all’inizio è il salvatore e il capo dello Stato, nel pieno splendore della sua gloria e della benevolenza accordatagli dagli dei, viene in seguito discacciato da questa apparenza-la quale non è una semplice veduta soggettiva che Edipo ha di se stesso, ma ciò in cui si verifica l’apparire del suo esserci-fino a che si verifica la non-latenza del suo essere come uccisore del padre e profanatore della madre. La via intercorrente da quell’inizio glorioso a questa fine orribile è tutta una lotta fra l’apparenza (latenza e contraffazione) e la non latenza (l’essere). La latenza dell’uccisore dell’ex re Laio si accampa, per così dire, tutt’intorno alla città. Con la passione di chi si trova nel pieno splendore della sua gloria, con la passione di un greco, Edipo s’inoltra verso la rivelazione di questo suo segreto. Egli deve così, passo passo, porsi da se medesimo nella non-latenza che non riesce, alla fine, più a sopportare che a patto di cavarsi gli occhi da se stesso, sottraendosi così a ogni luce e lasciando cadere intorno a sé la tenebra che tutto nasconde, e come uomo abbacinato gridando di spalancare tutte le porte per rivelarsi al popolo per quello che è. Non dobbiamo tuttavia scorgere in Edipo soltanto la caduta di un uomo, ma riconoscere in lui quel tipo di uomo greco in cui quella che è la sua passione fondamentale, la passione per la rivelazione dell’essere, ossia la passione della lotta per l’essere stesso, risulta spinta al massimo e nel modo più selvaggio. Hölderlin nella poesia In lieblicher Bläue blühet [1]…, ha questa espressione profetica: “Il re Edipo ha forse un occhio di troppo…” Quest’occhio di troppo costituisce la condizione fondamentale di ogni grande domandare e di ogni grande sapere, ed è altresì il loro unico fondamento metafisico. Il sapere e la scienza dei Greci sono questa passione”[2].

 

 

 

Nerone Seppe che il senato l’aveva dichiarato nemico pubblico e lo cercava ut puniatur more maiorum (49). Significava che il collo veniva inserito in una forca e il corpo veniva battuto a morte con le verghe. Allora, atterrito, afferrò due pugnali, ma poi li ripose, e disse che non era ancora giunta l’ora fatale. Quindi chiese a Sporo-la moglie, di aiutarlo e disse: “Vivo deformiter, turpiter , ouj prevpei Nevrwni, ouj prevpei-nhvfein dei' ejn toi'~ toiuvtoi~, a[ge e[geire seautovn, bisogna essere svegli in circostanze del genere, su svegliati!

Automitopoiesi.

Poi citò un verso dell’Iliade (X, 535)

{Ippwn m j wjkupovdwn ajmfi; ktuvpo~ ou[ata bavllei, di cavalli dai piedi veloci, mi percuote le orecchie il rumore (parla Nestore).

Infine si cacciò il ferro in gola iuvante Epaphrodito a libellis (49) addetto alle suppliche.

 

Cfr.  ktuvphse me;n Zeuv~  rimbombò Zeus dell’Edipo a Colono  di Sofocle (1606)   e il tuono nell’ultimo capitolo del romanzo La montagna incantata di T. Mann.

 

Le battute sono di un patetismo enfaticamente recitato.

Epafrodito aveva preso il posto del sodomizzatore, fiocinatore  Doriforo quando questi si era opposto al matrimonio con Poppea  e venne ammazzato nel 62. Epafrodito conserverà la sua carica fino al 95, quando Domiziano lo farà giustiziare colui perché aveva ammazzato Nerone.

Cfr. Alessandro Magno e Besso.

Arrivò un centurione che gli pose un mantello sulla ferita fingendo di essere andato in aiuto. Nerone allora disse: “quam Sero! Et haec est fides!” quanto tardi! E questa è fedeltà”.

Così morì con gli occhi in fuori e fissi ad horrorem formidinemque visentium per il raccapriccio e lo sgomento di chi guardava.

Aveva chiesto di non essere decapitato ut totus cremaretur. Galba lo accontentò.

Bologna 8  dicemnre 2024 ore 17, 29 giovanni ghiselli

 

 



[1] Il più dolce azzurro fiorisce (ndr)

[2] Heidegger,  Introduzione alla metafisica, pp. 115-116..

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