“Siamo alle solite Gianni, punti le finniche”? mi domandò il povero Bruno Pera, già sacro alla morte non abbastanza lontana. Una sorte molto amara degna di riflessioni dolorose, anche se il personaggio non mi era del tutto simpatico.
“Sì, certo - risposi con disappunto - perché, a te fanno schifo?”
“No - disse - però mi sembri ripetitivo, fissato, e anche un poco razzista”.
Era un rivale, un donnaiolo del resto meno attento di me alla qualità.
Lui non cercava l’identità nell’amore: aveva da tempo una fidanzata in Italia che lo raggiunse pure.
“Questo è l’anno della degradazione!”, gridava ogni tanto, facendo anche gesti bizzarri, chissà perché.
Digressione brevissima in memoria di Bruno, il ragazzo romano morto ante diem.
Forse Apollo, o la Pizia seduta sull’ombelico del mondo, gli avevano sussurrato il destino, e ne sentiva la pala spietata già vicina ad arrotarlo, a travolgerlo, e gli dava voce, con macabra preveggenza.
Del resto, povero Bruno, hai evitato la degradazione della vecchiaia che ora mi incalza assai da vicino. Pensa che mi sono tagliato i baffi nerissimi che avevo allora e mi stavano bene, come i tuoi a te. Bianchi facevano schifo alle donne giovani che ci piacciono tanto. A te non sono venuti. Non gliene hai dato tempo. Finché sei stato al mondo, piacevi alle donne. Non meno di me, lo riconosco. Eri un rivale degno. Del resto piacevamo a tipi diversi e ci piacevano donne diverse: mai ci siamo scontrati.
Anzi, ricordo che quell’estate, la nostra penultima estate comune, notasti che io, come te, mantenevo la linea, mentre Claudio era diventato “un cesso d’omo”.
Con i capelli me la cavo ancora: ho solo qualche ciuffo bianco. Spero che tengano duro, i capelli neri,, e duri ancora del tempo il fragile, tenue delicatissimo filo di questa vita mortale.
Atropo ha spezzato il tuo troppo presto. Mi dispiace Bruno, mi dispiace molto.
Claudio disse soltanto: “bella sì, ma non guzza mica”.
“Te lo faccio vedere io”, pensai, ma non lo dissi. Sarebbe stata ybris infatti replicare con tanta iattanza.
Ripresi a guardare la finnica bella e fine, con sguardo un poco obliquo per non darlo a vedere. L’avevo presa di mira e non volevo che se ne accorgesse.
Parlava di rado, senza bere alcolici, sempre senza fumare e senza scomporsi. Consideravo il non fumare un predicato di nobiltà. Allora era raro, come ora non avere il telefonino.
La rarità scandalizza gli idioti, i servi più tenaci e brutali di ciascuna moda. L’originalità, anche se non affettata, dà fastidio a costoro.
Vedevo Helena come un’immagine già dipinta dentro di me.
In seguito seppi che non beveva e non fumava anche perché sospettava di essere incinta. Forse per lo stesso motivo mi aveva concesso così poco tempo, e agli altri corteggiatori ancora di meno. Ma in quel momento non lo sapevo, e avevo bisogno di attribuirle ogni virtù, in modo che se mi avesse dato il suo assenso, avrei potuto farne un idolo, o almeno un modello da imitare per precisare la mia identità e rendere migliore me stesso.
La guardavo senza ascoltare i miei amici e impiegavo tutte le energie della mente per capire come potessi arrivare a lei di nuovo; questa volta però andandole a genio. Ne avevo bisogno. Non potevo fallire. Per crescere, per diventare un uomo, dovevo succhiare in senso fisico e metafisico le sue ubertose mammelle che, solo a guardarle, diffondevano meravigliosa soavità e una strana consolazione.
Dovevo preparare il prossimo corteggiamento trovando parole elette quindi salarle e condensarle con una cottura perfetta fatta eseguire dal mio fuoco amoroso, ardente e pure accorto.
Bologna, 19 febbraio 2022 ore 11, 47
giovanni ghiselli
p. s.
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