Clitifonte, Menedemo, Cremete, Siro
Clitifonte ha saputo da Menedemo che il padre lo ha diseredato e si lamenta con chi gli ha dato la brutta notizia. Il giovane cerca di giustificare il proprio comportamento con la solita scusa: “volgo faciunt” 957, così fan tutti.
Menedemo gli fa le condoglianze per la perdita del denaro che gli ha annunciato: “verum ego haud minus aegre patior” 958.
Aggiunge che non ne capisce la ragione e che vuole bene al povero ragazzo.
Intanto sta arrivando Cremete e Menedemo si allontana.
Il padre dice al figlio che ha voluto provvedere a lui rimediando alla sua stoltezza. Ha devoluto il patrimonio alla figlia dalla quale il fratello potrà sempre trovare un rifugio dalla sua dissennatezza ibi tuae stultitiae semper erit praesidium (967): da Antifila per il fratello ci sarà ognora victus, vestitus, tectum (968)
Clitifone ne geme Ei mihi!
Non a torto: la sua vita ora dipende dalla generosità della sorellastra e dalla benevolenza del cognato, un sentimento molto raro perfino tra consanguinei quando si tratta di patrimonio.
Il padre ribatte che se avesse reso erede Clitifone, tutto il capitale sarebbe finito nelle grinfie di Bacchide: “satius est quam te ipso erede haec possedere Bacchidem”
Bacchide entra nella categoria delle donne più detestate da Giovenale, il quale considera meno gravi i delitti pure atroci di Medea e Progne assassine dei i figli “sed/non propter nummos” (VI, 645-646) , ma non per i quattrini, bensì per ira e rabbia, rispetto alla matrona romana dei suoi tempi: “Illam ego non tulerim, quae computat et scelus ingens/sana facit. Spectant subeuntem fata mariti/Alcestim, et similis si permutatio detur,/morte viri cupiant animam servare catellae” (651-654), io non posso sopportare quella che calcola e compie un crimine grande a mente fredda. A teatro guardano Alcesti che si sobbarca il destino di morte del marito, e se fosse concesso uno scambio simile, desidererebbero salvare la vita della cagnetta con la morte del consorte.
Arriva Syro e si addossa la colpa del grande guaio che ha colpito Clitifone il quale è proprio disperato: “emori cupio” (971)
Cremete replica al figlio con parole intelligenti: “Prius disce, quaeso, quid sit vivere. - Ubi scies, si displicebit vita, tum istoc utitur” 972, potrai avvalerti di questa possibilità se la vita ti spiacerà. Ma prima devi conoscerla. Una buona correzione per i giovani scontenti.
Syro, da schiavo timorato, chiede il permesso di parlare, e ricevutolo - loquere (973) torna a dire che i torti e gli errori sono suoi: peccavi ego, quidi è irragionevole amentiast 974 che sia Clitifone a pagare.
Cremete gli ordina di non immischiarsi ne admisce (975) e addirittura lo scagiona. Infine proclama la pace: lui non se la prende né con il servo né con il figlio e loro non devono cercare di ostacolarlo (977)
Bologna 4 febbraio ore 11, 41
Giovanni ghiselli
p. s.
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