sabato 5 febbraio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 26

teatro romano
V  3 (978-1002)

Clitifone Siro
 
Siro teme di essere finito in mezzo a una strada senza riparo né cibo. Tuo padre, dice a Clitifone, ci ha messi fuori nos alienavit, tu almeno hai una sorella mentre io non so unde peterem mihi cibum (978).
Nemmeno Clitifone è certo di essere al sicuro dalla fame.
Syro però con la vitalità solita dello schiavo dice modo liceat vivere, est spes (981). Se avranno fame, per lo meno non mancherà l’appetito.
L’adulescens però non è incline alle battute scherzose e vuole essere aiutato da un consiglio serio. Si vede che non ha perso fiducia nell’astuzia dello schiavo. In effetti Syro dice di avere ha già pensato qualche cosa. E la rivela dicendo parole da colpo di scena: “Sic est: non esse horum te arbitror” 985, ecco come stanno le cose: penso che tu non sei loro figlio.
Clitifone non si capacita e gli domanda se abbia la testa a posto: “Satis sanus es?
Lo schiavo spiega: Cremete e sua moglie ti assecondavano te indulgebant 988  e ti davano tutto, finché c’eri tu solo, e nulla alia delectatio , nessun’ altra soddisfazione era più vicina a loro, ma ora che hanno trovato una figlia vera, hanno pure un pretesto per mandarti via.
Est veri simile 990 risponde Clitifonte.
Syro visto il successo rilancia: “tu credi che quello sia adirato per questo fallo?
Non arbitror lo asseconda ancora il ragazzo.
Sicché Syro prosegue con lo stesso metodo, sulla medesima via.
 Matres omnes tutte la madri, dice, di solito aiutano i figli contro i maltrattamenti del padre auxilio in paterna iniuria solent esse , ma questo non avviene - id non fit.
Il ragazzo si mette completamente nelle mani dello schiavo ed entra in sua balìa: “verum dicis; quid ego nunc faciam, Syre?” 993
 
Per quanto riguarda questo maniacale intrigare dei servi nella commedia latina cito qui sotto alcune osservazione di Nietzsche sulla morale degli schiavi
La morale degli schiavi è  “un sospetto pessimistico nei confronti della condizione umana nella sua totalità (…) Lo schiavo guarda con occhio torvo le virtù dei potenti; è scettico e diffidente, è sottile nella sua diffidenza verso tutto ciò che di “buono” viene onorato tra i potenti  (…) Quella degli schiavi è sostanzialmente una morale utilitaria” (Di là dal bene e dal male, Che cosa è aristocratico, 260)
“L’uomo affetto da vanità gode di ogni giudizio favorevole espresso nei suoi riguardi (…) così come si rammarica di ogni opinione sfavorevole, dal momento che si assoggetta a entrambe le valutazioni e si sente assoggettato ad esse (…) Nel sangue dell’uomo vanitoso c’è lo schiavo (…) e ciò fa sì che l’uomo vanitoso cerchi di sedurre gli altri ad avere una buona opinione di lui; ed è appunto lo schiavo che subito dopo si getta ai piedi di quste opinioni” (Op. cit.,  261)
Torniamo a Syro che ha suggerito il sospetto a Clitifonte, quindi ora gli consiglia di manifestarlo ai genitori sospettati: “ suspitionem istanc ex illis quadre, rem prpfer palam” 995. Se il sospetto è infondato, li indurrai presto alla compassione, altrimenti saprai di chi sei figlio.
Il ragazzo ancora una volta dà ragione allo schiavo: recte suades: faciam 996. Quindi esce di scena.
Syro rimasto solo si congratula con se stesso, contento di essere stato approvato e del fatto che prenda ordini da lui uno che potrebbe dargliene.
Sat recte hoc mihi - in mentem venit”.
Infatti, continua quanto più questo sospetto sarà “fondato o infondato?”
Il testo è dubbio. In una edizione leggo suspitio vana, in un altro suspitio vera. E quanto più il giovane è disperato, tanto più facilmente darà retta al padre.
La lezione dunque è incerta e la logica debole in entrambi i casi.
Segue poi l’ipotesi che il giovane si sposi e a Syro non tocchi nulla di buono. Anche questa logica non è chiara. Il testo dunque è corrotto, oppure è la vanità pericolante dello schiavo che lo fa sragionare.
Sta entrando in scena Cremete e Syro spaventato ne esce dicendo di meraviglirsi del fatto di non essere stato ancora afferrato. Poi aggiunge che andrà da Menedemo a chiedergli di intercedere poiché di Cremete non si fida punto: “seni nostro fidei nihil habeo” (1002)
 
Bologna 5 febbraio 2022 ore 9, 24
giovanni ghiselli

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