giovedì 17 febbraio 2022

Il problema dell’allattamento dei figli

Le matrone romane potevano arrivare a vergognarsi di avere partorito e allattato i figli poiché dopo non potevano più essere eccitanti con un bel seno. 
Lo ricavo da Properzio che esorta l'amante alla rixa amorosa nella luce:"necdum inclinatae prohibent te ludere mammae:/viderit haec, si quam iam peperisse pudet " (II, 15, 20-21), non ancora le mammelle cadenti ti impediscono tali giochi: badi a questo una se si vergogna di aver partorito. Tacito metter in rilievo l’onestà delle donne dei Germani e dice che fa parte della loro serietà pue il fatto che i figli non vengano allattati per delega ma ogni madre nutra i suoi con il proprio seno: "Sua quemque mater uberibus alit, nec ancillis ac nutricibus delegantur "(Germania, 20, 1), ciascun bambino viene nutrito da sua madre con le mammelle né sono affidati ad ancelle e nutrici. 

 La mancata cura dei figli da parte delle signore romane viene deprecata da Messalla nel Dialogus de oratoribus, di Tacito: ora i genitori non si occupano dei figli e l'educazione avviene per delega:" At nunc natus infans delegatur Graeculae alicui ancillae" (29), ora il bambino appena nato si affida a un'ancella greca, cui si aggiungono un paio di schiavi dei peggiori. Nel tempo di Terenzio, Catone il Censore era contrario all’allattamento dei bambini delegato alle schiave. Anzi, proponeva il contrario "Le matrone, nella rappresentazione ideale della loro maternità, dovevano allattare personalmente i loro figli (labor nutricis), come faceva la moglie di Catone il Censore, secondo il racconto di Plutarco (Vita di Catone, 20, 5). 
Questa, conformemente al modello ideale, non soltanto non affidava i suoi figli a una balia, spesso di condizione servile, secondo un uso che ben presto si diffuse tra le matrone romane altolocate, ma allattava anche, con un significativo rovesciamento dei ruoli, i piccoli schiavi di casa, per instillare loro, assieme al latte, il senso di leale appartenenza e di devozione alla famiglia del dominus. Ancora in età imperiale, sarà deprecata l'abitudine delle matrone di far allattare i figli dalle nutrici, in quanto si riteneva che il latte materno, così come il seme maschile, contribuisse a determinare l'aspetto fisico e il carattere del neonato e che l'allattamento di una schiava, o di una balia a pagamento, introducesse un elemento, si potrebbe dire, geneticamente estraneo, in grado di allentare i legami naturali fra genitori e figli (Aulo Gellio, Notti attiche, 12, 1) ".

Aulo Gellio attribuisce un monito a Favorino (80-160) conferenziere e filosofo accademico- scettico. Non aveva dubbi che un figlio debba venire allattato dalla propria madre. Questo dunque disse alla madre di una ragazza puerpera la quale voleva risparmiare alla figlia il munus nutricationis grave ac difficile, il compito pesante e difficile dell’allattamento che quella giovane doveva essere in tutto e per tutto mamma del figlio suo, non un dimidiatum matris genus, un tipo dimezzato di madre. 
Quindi Favoino fece una domanda retorica: “An tu quoque –inquit- putas naturam feminis mammarum ubera quasi quondam venustiores naevulos non liberum alendorum sed ornandi pectoris causa dedisse? Sic enim, quod a vobis scilicet abest, pleraeque istae prodigiosae mulieres fontem illum sanctissimum corporis, generis umani educatorem, arefacere et exstinguere cum pericolo quoque aversi corruptique lactis laborant, tamquam pulcritudinis sibi insignia devenustet (XII, 1, 5- 8), o credi anche tu disse che la natura abbia dato le mammelle alle donne come dei graziosi nei, non per nutrire i figli ma per adornae il petto? In effetti sono già parecchie queste donne snaturate - non certo voi - che si danno da fare per inaridire ed estinguere quella santissima fontana del corpo, nutrice del genere umano, anche a rischio di guastare e deviare il latte, come se togliesse loro i distintivi della bellezza “la natura ha dato alle donne le mammelle non per la bellezza del petto donandi pectoris causa, ma quale Valerio Massimo nei suoi Factorum et Dictorum memorabilium libri (V, 4, 7- ext. 1) racconta di una figlia che allatta il poprio padre decrepito: Perus quae patrem suum Mycona traditum iam ultimae senectutis velut infantem pectori suo admotum aluit. Questo episodio si trova anche nelle Fabulae (254) di Igino, erudito e bibliotecario dell’età di Augusto. Perus viene chiamata Santippe. 
 Questa storia è stato ripresa da John Steinbeck nel romanzo Furore (The Grapes of Wrath, 1939) A Faust manca la Natura e dice: “Dove afferrarti, infinita Natura? E voi mammelle, dove?” ( Euch Brüste, wo?) Goethe, Faust, Notte 455-456. Sta per uccidersi con il veleno. Poi sente le campane di Pasqua e cori di angeli che cantano la resurrezione di Cristo e desiste. E’ Pasqua e c’è una resurrezione generale. Va a fare una passeggiata con Wagner (Fuori porta), il famulus attraverso il quale Goethe si burlava dell’illuminismo. 

Infine Nietzsche: “E certe cose vi sono così bene inventate, da essere come il seno della donna: utili e al tempo stesso gradevoli” (Così parlò Zarathustra, Di antiche tavole e nuove, III, 17) 

 Bologna 17 febbraio 2022 
giovanni ghiselli 

p. s. Quando ero studente di liceo in trepida attesa della maturità, nel 1963, durante l’intervallo vidi un capannello di compagni di scuola intorno a uno di loro che mostrava delle foto. A un tratto si alzò un grido: “A Rosso piacciono le pocce!” Ho raccolto queste testimonianze per giustificare e nobilitare i gusti di Rosso. Non era malpelo.

Nessun commento:

Posta un commento

Conferenza di domani

  Ricordo ai miei tanti lettori che domani 6 maggio dalle 17 alle 18, 30   terrò una conferenza sul Tramonto dell’umanesimo nella bib...