venerdì 4 febbraio 2022

Nietzsche e i classici VII parte.

 

L’ingratitudine.

Nietzsche nel 1864 (a vent'anni) scrisse una Dissertatio de Theognide Megarensi [1] simpatizzando con le teorie reazionarie del poeta. Lo colpì fortemente il biasimo espresso dal poeta greco verso l'ingratitudine dell'animo plebeo:"Teognide ritiene che non c'è niente di più vano e di più inutile che fare bene ad un plebeo, dal momento che non ringrazia mai"[2]. Teognide stigmatizza anche la falsità dei plebei i quali si ingannano a vicenda (  ajllhvlou~ d jajpatw'sin) , e si deridono a vicenda siccome non hanno criterio del bene né del male ( Silloge , vv. 59-60).

Cicerone scrive: “nullum enim officium referendā gratiā magis necessarium est (…) non reddere viro bono non licet ” (De officiis, I, 47), nessun dovere è più dovuto della gratitudine…all’uomo per bene non è consentito non contraccambiare

Quindi Nietzsche:“Noi veritieri”-è questo l’appellativo che si davano i nobili dell’antica Grecia[3].

 

Che cosa è aristocratico?

In Ecce homo[4] Nietzsche scrive di Al di là del bene e del male: “Questo libro (1886) è nel suo essenziale una critica della modernità, non escluse le scienze moderne, le arti moderne, né la politica moderna, con accenni a un tipo opposto, che è il meno moderno possibile, un tipo nobile, che dice sì. In quest’ultimo senso il libro è una scuola del gentilhomme, se si intende il concetto nel senso più spirituale e radicale che mai gli sia stato dato”[5]. 

“ I “bennati” sentivano se stessi  come “felici”…poi essi, uomini superdotati di forza e perciò stesso necessariamente attivi, riuscivano a non separare l’agire dalla felicità-l’essere attivi era per loro considerato come qualcosa di attinente necessariamente alla felicità (da cui eu\ pravttein)-tutto ciò in netto contrasto con la “felicità” a livello degli impotenti, degli oppressi, dei piagati”[6]. 

La morale degli schiavi è  “un sospetto pessimistico nei confronti della condizione umana nella sua totalità (…)  Lo schiavo guarda con occhio torvo le virtù dei potenti; è scettico e diffidente, è sottile nella sua diffidenza verso tutto ciò che di “buono” viene onorato tra i potenti  (…) Quella degli schiavi è sostanzialmente una morale utilitaria” (Di là dal bene e dal male, Che cosa è aristocratico, 260)

“L’uomo affetto da vanità gode di ogni giudizio favorevole espresso nei suoi riguardi (…) così come si rammarica di ogni opinione sfavorevole, dal momento che si assoggetta a entrambe le valutazioni e si sente assoggettato ad esse (…) Nel sangue dell’uomo vanitoso c’è lo schiavo (…) e ciò fa sì che l’uomo vanitoso cerchi di sedurre gli altri ad avere una buona opinione di lui; ed è appunto lo schiavo che subito dopo si getta ai piedi di quste opinioni” (Op. cit.,  261)

“Esiste un istinto del rango che, più di ogni altra cosa, costituisce già l’indizio di un rango elevato ” (Op. cit., 263)

La morale degli schiavi è il socratismo, quindi “ la moralità cristiana che viene smascherata come qualche cosa di assolutamente velenoso, pieno di rancori, nemico della vita. Ma la sua critica alla morale, è, in parte, impersonale, ha caratteri comuni a tutta l’epoca. E’ l’epoca sul finire del secolo, l’epoca in cui l’intelligenza europea lancia i primi attacchi contro l’ipocrita morale dell’età vittoriana e borghese; in questo quadro si inserisce…la rabbiosa lotta di Nietzsche contro la morale”[7].

 

T. Mann associa Nietzsche a O. Wilde: “l’esteta inglese scandalizzava e divertiva il pubblico della sua patria. Quando Wilde dichiara:… “Every impulse that we strive to strangle broods in the mind, and poisons usThe only way to get rid of a temptation is to yield to it [8]”…tutto questo si potrebbe trovare benissimo in Nietzsche”[9].

 

“Naturalmente l’avvicinare Nietzsche a Wilde ha qualche cosa di sacrilego, perché quest’ultimo era un dandy e il filosofo tedesco invece una specie di santo dell’immoralismo. E tuttavia il dandismo di Wilde acquista attraverso il martirio più o meno involontario della sua fine, il carcere di Reading, quasi un riflesso di santità che gli avrebbe guadagnato tutta la simpatia di Nietzsche”[10]. 

Cfr. Il De profundis e La ballata del carcere di Reading del 1898. Per la guerra all’ipocrisia borghese, Nietzsche è accostabile anche a Huysmans, a Walter Pater, a Ruskin e ai Preraffaelliti. Ma cfr. anche La sesquiplebe di Alfieri e il borghese vampiro di  Pasolini.

 

Nietzsche fa una distinzione tra il lavoro libero e il lavoro degli schiavi. Questo “è un lavoro che non viene fatto per noi stessi e che non ha in sé alcun appagamento[11], Un lavoro alienante che ci rende alienati. Cfr. Il manifesto del parito comunista di MarX-Engels.

Il risentimento degli emarginati trionfò su Roma, secondo Nietzsche.

Sentiamo Carducci.

“Roma/più non trionfa.// più non trionfa, poi che un galileo/di rosse chiome il Campidoglio ascese,/gittolle in braccio una sua croce, e disse-Portala e servi-[12]”.

Il Rinascimento rappresentò il risveglio grandiosamente inquietante dell’ideale classico, della maniera aristocratica di giudicare le cose (…) ma immediatamente Giudea tornò a trionfare, grazie a quel movimento di ressentiment essenzialmente plebeo (tedesco e inglese) cui si dà il nome di Riforma (…) Con la Rivoluzione Francese, Giudea tornò ancora a sconfiggere l’ideale classico, in un senso ancora più decisivo e profondo: l’ultima aristocrazia politica esistente in Europa, quella del XVII e XVIII secolo francese, crollò sotto gli istinti popolari del ressentiment…come ultima indicazione dell’altra strada apparve Napoleone…sintesi di non uomo e di super uomo[13].

“Il superuomo era l’uomo quintessenziale che non gli dava disgusto neanche coi suoi difetti, perché splendidi (rapacità e astuzia, simboleggiati dall’aquila e dal serpente)”[14].

 

La riforma tedesca appare come un’energica protesta di spiriti arretrati, che non s’erano ancora saziati della visione medievale del mondo[15].

Sentiamo anche Pasolini: “Il movimento protestante nell’Europa settentrionale fu la prima rivoluzione borghese. Lutero fu il primo grande eroe della borghesia (…) Mentre nell’Europa settentrionale il protestantesimo diventò la religione della nuova borghesia, in Italia la borghesia non emerse allo stesso modo: la borghesia italiana è nata per forza d’inerzia, diciamo, attraverso l’imitazione passiva delle borghesie europee (…) in Italia nacque nel mondo della Controriforma, un mondo di contadini. E quindi da noi si notano profonde contraddizioni. In realtà la borghesia italiana è stranissima: è simultaneamente laica e cattolica, liberale e controriformistica, ossia non è niente. Il qualunquismo è in sostanza la conseguenza di queste contraddizioni, insieme con la degenerazione dell’umanesimo che ne è il principale ingrediente”[16].  

 

“L’avversione reazionaria tedesca alla Rivoluzione francese porta al tempo stesso a una visione pseudorealistica del mondo greco. La Penthesilea [17] di Kleist è il primo preludio artistico: una esplosione della moderna vita dell’istinto decadente-inibita, dell’odio spontaneo contro la misura e la ragione, in veste classica. L’immane impeto poetico di Kleist penetra a poco a poco nella nuova concezione dell’antichità classica…Bachofen…è in realtà lo scopritore della rivoluzione sociale penetrante in profondità, che rischiara la vera storia dell’antichità: del tramonto del comunismo primitivo, del trapasso dal matriarcato al patriarcato”[18].

Pentesilea è la regina delle Amazzoni che è vive un amore con Achille, poi lo divora.  

 

Lukács vede in Dioniso, nel Dioniso interpretato da Nietzsche il paradigma mitico della classe dominante che si è trasformata da decadente in attivista. “Dioniso è il simbolo mitico di questa conversione della classe dominante…il predominio dell’istinto sull’intelletto e sulla ragione (perciò nell’opera giovanile la figura di Socrate è contrapposta a Dioniso…Dioniso appare come il simbolo della decadenza gravida dell’avvenire e degna di approvazione, della decadenza dei forti, in opposizione al fiacco e deprimente pessimismo (Schopenhauer) e alla liberazione degli istinti con accenti plebei (Wagner)…Il dio di questa decadenza “riscattata” e convertita in attività è Dioniso; sue caratteristiche sono crudeltà e sensualità”[19].

 

Teognide biasima la mescolanza incongrua dei matrimoni tra aristocratici decaduti e plebei arricchiti: “plou'to~ e[meixe gevno~ (v. 190), la ricchezza ha mescolato la specie.

Dante nel Paradiso , XVI, 67-68, scrive: "Sempre la confusion delle persone/principio fu del mal della cittade".

“Quando voglio “sondare” un uomo, per prima cosa osservo se ha in corpo un qualche senso della distanza, se ovunque vede il rango, il grado, l’ordine fra uomo e uomo, se sa distinguere: è questo che fa il gentilhomme: in tutti gli altri casi si appartiene senza scampo alla categoria cordiale, ah! così bonaria della canaille[20]. 

Nello Zarathustra, Nietzsche identifica la plebe con la confusione e l’intruglio: “Intruglio plebeo: lì è tutto mescolato alla rinfusa, santo e ladrone e nobiluomo e giudeo e ogni sorta di bestie dell’arca di Noè”[21].

Poche righe prima Nietzsche scrive:  “ la nostra plebe dorata, falsa imbellettata, anche se si chiama buona società, anche se si chiama “nobiltà”. Ma in essa tutto è falso e marcio”.

Alla plebe imbellettata  dunque Zarathustra preferisce il contadino.

 “Ma prima o poi, in un’età più forte di questo presente marcio e dubbioso di sé, dovrà pur giungere fino a noi l’uomo del riscatto, l’uomo del grande amore e disprezzo, lo spirito creatore”[22].

Il mendicante volontario:  “un uomo pacifico, un predicatore della montagna dai cui occhi parlava la bontà in persona” parla a Zarathustra della sua nausea per i più ricchi: “per questa plebe dorata e falsificata, i cui padri furono ladruncoli o mangiacarogne o rigattieri, e le cui donne sono condiscendenti, lascive, volubili: tra loro e una prostituta la differenza, infatti, è poca”[23].

Un contadino sano, rozzo, astuto, testardo, tenace, rimane, oggi, per me ancora il migliore e il preferito degli uomini: questa è, oggi, la specie più nobile. Il contadino, oggi, è il migliore; e la specie contadina dovrebbe dominare! Ma è il regno della plebe, non mi lascio più ingannare. Plebe però, vuol dire intruglio. Intruglio plebeo: lì tutto è mescolato alla rinfusa, santo e ladrone e nobiluomo e giudeo e ogni sorta di bestie dall’arca di Noè.”[24].

 

Nell’Oreste[25] Euripide vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[26]-ricorda da vicino Supplici 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[27].

Il piccolo proprietario terriero è uno che lavora la terra da sé  ed è non attraente di aspetto ma è coraggioso e intelligente (" morfh'/ me;n oujk eujwpov", ajndrei'o" d  j ajnhvr", v.918; xunetov" , Oreste,  v. 921).

Un elogio della classe media nelle Supplici di Euripide

La teoria della classe media.

All'elogio della medietà sociale si può collegare la teoria della classe media propugnata da Teseo nelle Supplici [28] di Euripide.

 Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e ingannati dalle lingue dei capi malvagi lanciano strali contro i possidenti. In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ   jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous  j  o{ntin  a[n tavxh/ povli"",  (vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.

 T. Mann mette in rilievo la presenza di questa teoria in Nietzsche: “si impedisca il facile e improvviso arricchimento, si tolgano tutti i vari mezzi di comunicazione e di commercio che favoriscono l’ammassamento di grandi capitali, dunque specialmente il commercio di denari, dalle mani dei privati e delle società private, e si considerino sia coloro che troppo, sia coloro che nulla posseggono, esseri pericolosi alla comunità”. Il  nullatenente come un animale pericoloso: questo deriva da Schopenhauer. Nietzsche ha inoltre appreso che esiste un altro animale pericoloso: quello che troppo possiede”[29]. 

Bologna 4 febbraio 2022  ore 18, 09

giovanni ghiselli

P. S.

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[1] In latino anche il testo.

[2] Dissertazione  su Teognide di Megara, p. 167.

[3] Al di là del bene e del  male ( 1886) Che cosa è aristocratico? 260

[4] Del 1888.

[5] Ecce homo, Di là dal bene e dal male. Preludio di una filosofia dell’avvenire 2.

[6] Genealogia della morale 7, (1887)

[7] T. Mann, Nobiltà dello spirito, La filosofia di Nietzsche,  p. 820

[8] Ogni impulso che ci sforziamo di soffocare rimugina nella mente e ci  avvelena…l’unico modo di liberarci di una tentazione è cederle.

[9] Nobiltà dello spirito, p. 820.

[10] T. Mann, Op. cit., p. 821.

[11] Frammenti postumi 1881, 285.

[12] Carducci, Odi barbare, Alle fonti del Clitumno.

[13] Genealogia della morale, “Buono e malvagio”, “buono e cattivo”, 16.

[14] Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 373.

[15] Umano troppo umano I, sintomi di cultura superiore e inferiore, parte quarta, 237

[16] Pisolini, Tutte le Opere,  Saggi sulla politica e sulla società, p. 1296-1297.

[17] Del 1808 ndr

[18] G. Lukács, Contributi alla storia dell’estetica, p. 357.

[19] La distruzione della ragione, pp. 399-400.

[20] Ecce homo, Il caso Wagner, 4

[21] Così parlò Zarathustra, Colloquio con i re, 1

[22] Genealogia della morale,  “Colpa”, “Cattiva Coscienza” e Simili 24

[23] Così parlò Zarathustra, Il mendicante volontario.

[24] Nietzsche, Così parlò Zarathustra,  Colloquio con i re

[25] Del 408.

[26]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.

[27]Di Benedetto, op. cit., p. 208.

[28] Del 422 ca.

[29] Nobiltà dello spirito, La filosofia di Nietzsche, p. 835.

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