Plauto |
Il teatro plautino rappresenta una specie di mondo rovesciato dove i servi trionfano sui padroni.
Questo teatro è carnevalesco: il codice culturale si inverte.”Plauto mette al centro del suo teatro una figura sanguigna e ribalda, che gioca spavaldamente con gli avvenimenti, lieto di portare al trionfo un amore contrastato depredando del mal posseduto vecchi avari e lenoni spergiuri, tutti esseri ostili alla felicità altrui.
Nella commedia plautina lo spazio è della vita, della giocondità, del trionfo vitale dei giovani innamorati su vecchi sordidi e libidinosi. A questo servono i “bellissimi inganni” dei servi, nei quali non è lecito vedere né tracce di autobiografia né la “protesta sociale” del poeta o quanto altro del genere certa moda ideologica può suggerire: nel distacco del poeta dai suoi personaggi è uno dei segreti del comico plautino (Della Corte)”[1].
Il teatro di Plauto deriva da una commistione felice tra la commedia nuova greca e la farsa italica.
Diverse volte nella storia, il re o il tiranno si è capovolto in farmakov", in capro espiatorio e mostro deforme. Infatti il tema ricorre nelle opere letterarie, e l'abbiamo riconosciuto pure in un film pieno di bellezza e cultura. Mi riferisco a Ludwig di Visconti che racconta la vita e la morte del "lunatico re" di Baviera. E' uno schema che Bachtin, l'autore dello studio Dostoevskij, ascrive alla letteratura carnevalizzata e individua nei dialoghi dove campeggia Socrate, nella satira menippea, e ne L' idiota del romanziere russo. Il carnevale rovescia e relativizza tutte le situazioni, incorona e scorona il re, rompendo le putride pastoie della menzogna ufficiale, mostrandolo nudo e indifeso.
Lo schema del capovolgimento del re amato dal popolo a farmakov", da allontanare in quanto miasma, contaminatore pestifero della città si trova già nell’Edipo re di Sofocle.
Il sacrificio espiatorio invero può uccidere, teatralmente, non solo re come Edipo o principesse come Ifigenia ma anche dei poveracci, come avvenne a Roma dopo la battaglia di Canne.
Tito Livio racconta che dopo Canne (216 a. C.) “ex fatalibus libris sacrificia aliquot extraordinaria facta; inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca, in foro bovario sub terram vivi demissi sunt in locum saxo consaeptum, iam ante hostiis humanis, minime romano sacro, imbutum” (Storie, XXII, 57, 6), secondo i libri fatali vennero eseguti alcuni sacrifici straordinari: tra i quali un Gallo e una Galla, un Greco e una Greca, vennero sepolti vivi nel foro boario, in un luogo recintato da sassi, già prima insanguinato da vittime umane, con un rito però non romano. E’ una contraddizione con quanto Livio aveva scritto nel VII libro sugli Etruschi, ma “i fatti della storia non sono sillogismi”[2]
Lo storiografo aveva condannato l’uso del sacrificio dei prigionieri da parte degli Etruschi come barbarico e vergognoso: dopo un successo militare contro l'incauto console Fabio, i Tarquiniesi sacrificarono trecentos septem milites romanos, un supplizio brutale che rese ancora più notevole l'onta subita dal popolo romano[3].
Mazzarino ne ricava una concezione cisappenninica della vera Italia cui consegue l’idea della exterminatio dei due popoli transappenninici: Galli e Greci.
Bologna 16 febbraio 2022 ore 18, 35
giovanni ghiselli
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[1] C. Questa, prefazione a Plauto Anfitruo, p. 41.
[2] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, 1, p. 216.
[3]
Storie, VII, 15. Siamo negli anni del IV secolo a. C. successivi
all’invasione gallica, intorno al 364
a. C.
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