NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 13 febbraio 2022

Nietzsche e i classici XI parte.


La follia. (Elogio della follia).

 Mercè la follia i più grandi beni sono venuti alla Grecia”, diceva Platone con tutta l’antica umanità (…) fino ad epoche molto più miti  restò nei poeti una certa convenzione della follia, alla quale per esempio si richiamava Solone allorché pungolava gli Ateniesi alla riconquista di Salamina”[1].

Il filosofo nel Fedro sostiene che agli uomini i beni più grandi derivano da una mania data dagli dèi (244a): infatti la profetessa di Delfi, quella di Dodona e la Sibilla procurano benefici agli uomini quando si trovano in stato di mania, mentre in stato di senno non ne procurano alcuno. Gli antichi che hanno coniato i nomi, hanno chiamato manikhv la più bella delle arti che prevede il futuro[2]. Sono stati i moderni, ajpeirokavlw~, con ignoranza del bello, che mettendoci dentro una tau, mantikh;n ejkavlesan (244c),  l’hanno chiamata mantica.

“Gli antichi-scrive Platone nel Fedro[3] ritenevano la follia tanto superiore alla sapienza in quanto l’una proviene dagli dèi, l’altra dagli uomini. Poco oltre egli distingue quattro forme di follia prodotta da “un divino straniarsi” ( uJpo; qeiva~ ejxallagh`~[4]) dalle normali regole di condotta : quella profetica, regolata da Apollo, che penetra nella mente della Pizia e la rende capace di divinare gli eventi futuri; quella poetica, grazie alla quale gli uomini ottengono dalle Muse il dono dell’ispirazione; quella erotica generata da Afrodite; quella iniziatica (telestikhv) che appartiene al dominio di Dioniso (…) E’ appunto una follia di questo genere, la “follia iniziatica”, che costituisce la trama delle Baccanti di Euripide: essa si può definire come una forma di esaltazione collettiva, ottenuta attraverso un rituale estatico e posta sotto il patrocinio di una divinità.”[5].

Febbraiol riletto e corretto fin qui

Ma torniamo a Nietzsche. alla sua Aurora (del 1881) e veniamo alla simulazione della follia.

“Facciamo ancora un passo avanti: a tutti quegli uomini superiori che erano irresistibilmente attratti ad infrangere il giogo di una qualche eticità e a dare nuove leggi non restò nient’altro, se essi non erano realmente folli, che diventare pazzi o farsi passare per tali; e ciò vale in verità per i novatori in tutti i campi, non soltanto per chi innovava nelle istituzioni sacerdotali e politiche”[6].

Il finto pazzo, Bruto o Amleto è l’ossimoro vivente: si finge pazzo per attuare un suo piano con una follia che ha del metodo.

Tra i simulatori di follia, Nietzsche ricorda Solone: “allorché pungolava gli Ateniesi alla conquista di Salamina” [7]., come  abbiamo visto sopra. Cfr. Plutarco, Vita di Solone, 8-

Del resto Solone può fare parte dei “veri filosofi che sono dominatori e legislatori”. I vari Kant e Hegel sono “operai della filosofia” i quali “ hanno il compito di accertare e ridurre in formule una vasta gamma di valutazioni”[8].
La malattia del capo rende malata la popolazione, la terra e perfino il cielo.

“Non vi è, nel destino tutto dell’uomo, sventura più dura di quando i potenti della terra non sono anche i primi uomini. Tutto diventa falso obliquo, mostruoso, quando ciò avviene”[9].

Nell’ Edipo re di Sofocle, l’indagine voluta dal protagonista lo porta alla constatazione che il mivasma avvelenatore è lui stesso, l’assassino del padre, il marito della propria madre.

Diversamente dall'Edipo  di Sofocle che nel prologo della tragedia si addossa soltanto il dolore del suo popolo, l’Oedipus  di Seneca, fin dai primi versi, si  sobbarca anche tutte le colpe:"Fecimus coelum nocens" (v. 36),  io ho reso colpevole il cielo[10].

Un'eco di questa autodenuncia si trova nell'Amleto quando Claudio, il re assassino del fratello dice:"Oh, my offence is rank, it smells to heaven" (III, 3), oh il mio delitto è marcio, e manda fetore fino al cielo. Poco dopo Amleto, parlando con la madre, paragona lo zio a una spiga ammuffita che infetta l'aria (III, 4).

Nell' Antigone di Sofocle, Tiresia accusa Creonte di essere la sorgente inquinata del male della città:" kai; tau'ta th'" sh'" ejk freno;" nosei' poli"" (v. 1015) e la città è ammalata di questo per la tua disposizione mentale. Creonte infatti ha ereditato da Edipo non solo il ruolo regale ma anche la funzione di mivasma, homo piacularis  che contamina la città.

Non solo le colpe del capo ricadono sulla comunità: “In Omero l’assassino deve fuggire dalla propria patria; non di una colpa morale egli si è macchiato bensì di una religiosa: egli rappresenta un pericolo per la comunità cui appartiene.”[11]..


La ragion di Stato talora “autorizza” i crimini dei capi di Stato.

“Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Esso è gelido anche quando mente; e questa menzogna gli striscia fuor di bocca: “Io, lo Stato, sono il popolo. E’ una menzogna! Creatori furono coloro che crearono i popoli e sopra essi affissero una fede e un amore: così facendo servirono la vita. Distruttori sono coloo che sistemano trappole per i molti e li chiamano Stato: su di essi affiggono una spada e cento cupidigie[12].

Per quanto riguarda la “ragion di Stato” associata al cromine quanto la religio, si può pensare al sacrificio di Ifigenia, raccontato da Eschilo, Euripide e Lucrezio.

Nell’Agamennone di Eschilo, il padre hJgemw;n oJ prevsbu~ (v. 185), il comandante anziano delle navi achee, per risparmiare il tempo che andava sciupato nell’attesa che si placassero i venti kakovscoloi (193), forieri di ozio cattivo, naw'n kai; peismavtwn ajfeidei'~ (195), sperperatori di navi e cordami, non osò diventare lipovnau~ (212), disertore della flotta e invece e[tla quth;r genevsqai qugatrov~ (224-225), osò divenire sacrificatore della figlia, la primogenita Ifigenia, che venne sollevata sull’altare divkan cimaivra~ (232), come una capra, imbavagliata per giunta affinché non potesse proferire maledizioni contro la casa.

Nell’Ifigenia in Aulide di Euripide, Agamennone, ancora incerto se sacrificare la figlia, dice a un vecchio servitore che lo invidia per la sua  vita non famosa, oscura (ajgnwv~ ajklehv~, v. 18). Il vecchio ribatte che è bella la vita dei potenti. E Agamennone replica che quello del potere e degli onori  è “to; kalo;n sfalerovn, un bello vacillante (v. 21).

Si può pensare alla smontatura della regalità nel Riccardo II, Riccardo III e  La tempesta  di Shakespeae .

Lucrezio racconta con accenti di pietà la morte di Ifigenia condotta a morire casta inceste nubendi tempore in ipso (De rerum natura, I, 98), oscenamente casta, proprio nel tempo del matrimonio. Il poeta latino però ascrive il delitto ai crimini della religio. 

 

Il capo (uomo e donna) influenza i gusti delle masse.

“Come si trasforma il gusto collettivo? Col fatto che dei singoli, dei potenti, delle persone influenti, esprimono senza senso di vergogna il loro hoc est ridiculum, hoc est absurdum, il giudizio-quindi- del loro gusto e della loro ripugnanza, e tirannicamente ne ottengono il rispetto: così essi impongono a molti una costrizione, da cui gradatamente si forma una consuetudine di parecchi altri ancora e infine un bisogno di tutti (…) essi hanno il coraggio di prendere atto della loro fuvsi~ e di dare  ascolto alle sue esigenze anche nelle sue più delicate tonalità”[13].      

Questo topos vale anche per il costume femminile: il cattivo esempio che le donne importanti danno a tutte le altre donne, viene biasimato da queste parole di Fedra nell'Ippolito di Euripide: " wJ~ o[loito pagkavkw~-h{ti~ pro;~ a[ndra~ h[rxat j aijscuvnein levch-prwvth quraivou~ (vv. 407-409), fosse morta malamente colei che per prima disonorò i letti di casa con uomini esterni. Infatti, continua, questo male ha cominciato a propagarsi dalle case nobili: "ejk de; gennaivwn dovmwn" (v. 409). Quando le turpitudini (aijscrav) sono reputate belle dalle persone di alta condizione, certo sembreranno belle anche al volgo (vv. 411-412). 

Lucrezia violentata da Lucio Tarquinio vuole lasciare un esempio a tutte le Romane con il proprio suicidio :"ego me etsi peccato absolvo, supplicio non libero; nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo vivet " (Livio, I, 58, 10), anche se mi assolvo dal peccato, non mi sottraggo alla pena; nessuna donna in futuro vivrà impura seguendo l'esempio di Lucrezia.

Bologna domenica 13 febbraio 2022 ore 9, 54

giovanni ghiselli

 

 



[1] Aurora, I libro, 14.

[2] La mantica.

[3] 244d

[4] Fedro 265. Socrate invero distingue due tipi di mania: una che deriva da malattie umane (th;n me;n uJpo; noshmavtwn ajnqrwpivnwn) e un’altra appunto da una divina alterazione delle consuetudini comuni (uJpo; qeiva~ ejxallagh`~ tw`n eijwqovtwn nomivmwn ). Ndr

[5] Guidorizzi, Euripide, Baccanti, p. 9.

 [6]  Nietzsche, Aurora, libro primo, 14

[7] Aurora, I libro, 14.

[8] Di là dal bene e dal male, Noi dotti, 211.

[9] Così parlò Zarathustra, Colloqiuo con i re, 1.

[10] In La tragedia spagnola ( 1592) di Thomas Kyd  il nobile portoghese Alexandro, con pessimismo meno assoluto, dice:"Il cielo è la mia speranza: quanto alla terra, essa è troppo infetta per darmi speranza di cosa alcuna della sua matrice" (III, 1).

[11] Frammenti postumi, settembre 1876. (52)

[12] Netzsche, Così parlò Zarathustra, Del nuovo idolo.

[13] La gaia scienza, I, 38

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