I “moltissimi ragionamenti” vengono denunciati da Nietzsche quale difetto della tragedia di Euripide:
“Socrate, l’eroe dialettico del dramma platonico, ci ricorda la natura affine dell’eroe euripideo, che deve difendere le sue azioni con ragioni e controragioni, e che per questo rischia tanto spesso di non suscitare più la nostra compassione tragica”[1].
Su questo torneremo più avanti presentando La nascita della tragedia.
Torniamo sull’amore del fato che è salutare perché ogni persona coincide con il proprio destino.
"Il fatalismo turco contiene l'errore fondamentale di contrapporre fra loro l'uomo e il fato come due cose separate (…) In verità ogni uomo è egli stesso una parte di fato (…) Tu stesso, povero uomo pauroso, sei la Moira incoercibile che troneggia anche sugli dèi"[2].
Cfr. h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn[3] di Eraclito.
E' tanto tipicamente ellenico questo "amore del fato" che nel romanzo espressionista Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin leggiamo:" Non si deve fare il grande con la propria sorte. Io sono nemico del fato. Non sono greco io; sono berlinese"[4].
L’ amor fati è amore di se stessi.
“Bisogna imparare ad amare se stessi-questa è la mia dottrina-di un amore sano e salutare: tanto da sopportare di rimanere presso se stessi e non andare vagando in giro. Questo vagolare si battezza col nome di “amore del prossimo”: con queste parole finora si sono dette le maggiori menzogne…e in verità, quello di imparare ad amare se stessi non è un comandamento per oggi e domani. Piuttosto è questa, di tutte le arti, la più sottile, ingegnosa, lontana e paziente.”[5].
Non dobbiamo accollarci some e fardelli che non sono i nostri: “E, se ci inzuppiamo di sudore, allora ci dicono: “Eh già, la vita è un grave fardello! E questo perché si trascina sulle spalle troppe cose estranee. Simile al cammello, egli piega le ginocchia e si lascia caricare ben bene”[6].
Concludiamo la parte relativa alla Storia monumentale: la cultura “Può essere ancora qualcosa d’altro che decorazione della vita, cioè in fondo unicamente dissimulazione e velame…Così si svelerà il concetto greco della cultura-in contrapposizione a quello romano-il concetto della cultura come una nuova e migliorata physis…della cultura come una unanimità fra vivere, pensare, apparire e volere”[7].
“Nietzsche parla addirittura della malattia storica che paralizza la vita e la sua spontaneità…La storia, per puro amore di conoscenza, non esercitata ai fini della vita e senza il contrappeso della “dote plastica” della spontaneità creatrice, è suicidio, è morte…La storia scaccia gli istinti. Formato o, meglio, deformato dalla storia, l’uomo non è più capace di “rilassare le briglie” e di agire spontaneamente, fidando nella “divina animalità”. La storia sottovaluta sempre ciò che è divenire e paralizza l’azione”[8].
Storia antiquaria
“Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell'istante…solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente, l'uomo diventa uomo"[9].
"Il benessere dell'albero per le sue radici, la felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza- è questo ciò che oggi si designa di preferenza come il vero e proprio senso storico"[10]. E’ l’aspetto antiquario dell’amore per la storia.
Non tutti i bambini diventano persone mature. Lo afferma Cicerone nell'Orator [11]: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?
“Maturità della mente: a questa occorre la storia e la consapevolezza della storia”[12].
Storia critica
La storia “hegelianamente intesa la si è chiamata con scherno il cammino di Dio sulla terra (…) per Hegel il vertice e il punto terminale del processo del mondo si sono identificati con la sua stessa esistenza berlinese…egli ha istillato nelle generazioni da lui lievitate quell’ammirazione di fronte alla “potenza della storia", che praticamente si trasforma a ogni istante in nuda ammirazione del successo e conduce all'idolatria del fatto (…) Se ogni successo contiene in sé una necessità razionale, se ogni avvenimento è la vittoria di ciò che è logico o dell'"idea"-allora ci si metta subito giù in ginocchio e si percorra poi inginocchiati l'intera scala dei "successi! "[13].
La storia critica giudica[14] il passato e spesso lo condanna.
La cultura storica non deve essere passiva e retrospettiva
“A furia di cercare gli inizi si diventa gamberi. Lo storico guarda all’indietro ; finisce anche per credere all’indietro”[15].
“In questo senso noi viviamo ancora nel Medioevo, la storia è ancora sempre una teologia camuffata”[16].
“Nel primitivo mondo greco antico del grande, del naturale, dell’umano troviamo anche la realtà di una cultura essenzialmente antistorica…indicibilmente ricca e piena di vita”. Noi siamo gli eredi e i discendenti di forze classiche che debbono spronarci a non essere “frutti tardivi impalliditi e intristiti di forti generazioni, che stentino una vita rabbrividente da antiquari e becchini di quelle generazioni. Tali frutti tardivi vivono certo un’esistenza ironica (…) Per Hegel il vertice vertice e il punto terminale del processo del mondo si sono identificati con la sua stessa esistenza berlinese”[17].
La storia va giudicata negativamente quando è scritta “dal punto di vista delle masse”[18]. Le masse meritano uno sguardo “innanzitutto come copie evanescenti dei grandi uomini, fatte su carta cattiva e con lastre logore, poi come ostacolo contro i grandi, e infine come strumento dei grandi; per il resto, che se le prenda il diavolo e la statistica!”[19].
“La storia dimostra solo la volgarità e la disgustosa uniformità, cioè il vile conformismo della massa”[20].
Ma l’uomo “ovunque egli è virtuoso… si ribella alla cieca forza dei fatti, alla tirannia del reale…Egli nuota sempre contro le onde della storia…mentre la menzogna intesse tutto intorno a lui le sue reti scintillanti…Fortunatamente essa serba però anche la memoria dei grandi che lottarono contro la storia, cioè contro la cieca forza del reale…La grandezza non può dipendere dal successo, e Demostene ebbe grandezza, benché non avesse successo"[21].
A Demostene viene accostato Wagner nella IV inattuale per “la terribile serietà verso il suo oggetto e il piglio possente per’afferrarlo ogni volta ; in un istante la sua mano lo circonda e lo tiene saldamente nella sua ferrea stretta ”[22].
A Nietzsche lo storicismo “appare la consolatoria patina ottimista sovrapposta alla reale irrazionalità e alle reali contraddizioni della vita, una mistificazione della verità operata dall’ideologia al potere”[23].
“Una storia che rifiuta i –se- e i –ma- è quella che si è scritta sempre prevalentemente finora, cioè è una storia “dal punto di vista del successo”, che suppone che il successo riveli anche un diritto, una ragione”[24].
Non è sempre tale la storiografia greca, né quella latina (cfr. Erodoto, Tucidide, Tacito che espongono anche il punto di vista dei vinti senza disprezzarli.
“La storiografia monumentale, antiquaria e critica…vengono dichiarate modi legittimi di conoscenza del passato, purché subordinate all’elemento non storico, cioè messe al servizio della vita…La vera ragione per cui l’erudito non può comprendere adeguatamente il fatto storico è che il fatto è qualcosa di vivente, nella sua attualità, mentre l’erudito lo mummifica e lo esaurisce, lo intende come qualcosa di morto”[25].
Bologna 4 febbraio 2022 ore 9, 11
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 14.
[2]Nietzsche, Umano troppo umano , Il viandante e la sua ombra, 61.
Uscito nel 1878. “Fu concepito come una quinta “considerazione inattuale”, intitolata Il vomere, ma poi fu trasformato nel libro di aforismi che conosciamo” (S. Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 236).
[3] Fr. 91 Diano, il carattere è il destino dell’uomo).
[4] Alfred Döblin, Berlin Alexanderplatz , p. 63. il romanzo è del 1929. Chi parla è il protagonista Franz Biberkopf.
[5] Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dello spirito di gravità.
[6] Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dello spirito di gravità.
[7] Nietzschw, Utilità e danno della storia, 10
[8] T. Mann, Nobiltà dello spirito, La filosofia di Nietzsche in Nobiltà dello spirito, p.816 e 817,
[9] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II, 1.
[10] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II, 3.
[11] Del 46 a. C.
[12] T. S. Eliot, Che cos’è un classico? (del 1944) In T. S. Eliot, Opere, p. 965.
[13] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, 8
[14] Cfr. krivvnw, “giudico”.
[15] Crepuscolo degli idoli o Come si filosofa col martello (1888) Detti e frecce, 24
[16] Utilità e danno della storia, 8.
[17] Op. cit, 8
[18] Cfr. i giornali ndr.
[19] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, 9
[20] Sossio Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 189
[21] F. Nietzsche, utilità e il danno della storia per la vita, 8 e 9..
[22] Richard Wagner a Bayreuth, (del 1876) cap. 9.
[23] C. Magris, Dietro le parole, p. 90.
[24] G. Vattimo, Dialogo con Nietzsche , p. 78.
[25] G. Vattimo, Dialogo con Nietzsche, p. 24 e p. 73.
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