Nei conflitti interni molti valori si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi" di Corcira (del 432 a. C,), quando ci fu una tranvalutazione che comprendeva anche le parole: "Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. "Un'audacia "ajlovgisto"" prende il nome di coraggio, la prudenza si chiama pigrizia, la moderazione viltà, il legame di setta viene prima di quello di sangue, e il giuramento non viene prestato in nome delle leggi divine, bensì per violare le umane. Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82-84)" .
Nel Bellum Catilinae di Sallustio, Catone , parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole: "iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.
Nella II Parabasi della Pace il Coro di contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala Trigeo gode nel vedere maturare viti precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella stagione! Tutta questa pace agreste invece di essere arruolati prima dei cittadini e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero che lui vende può servire al massimo per pulire la tavola e la corazza per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso, lei ha la fica dolce (vv.1350-1351). La terza commedia pacifista è la Lisistrata del 411. La donna qui non è causa della guerra, come Elena di Troia, bensì fautrice della pace attraverso lo sciopero del sesso. Interessanti in questa commedia sono anche motivi femministici ante litteram. Cleonice afferma, come già la Medea di Euripide, che per le donne è difficile uscire di casa (v. 16), mentre Lisistrata dichiara che la salvezza dell'intera Ellade è nelle loro mani di donne (vv. 29-30). Al progetto collabora la spartana Lampitò, una tebana e una corinzia.
La parola d'ordine è:
"dobbiamo astenerci dal bischero" (v.124) . Il giuramento:
"nessuno mai, né amante né marito" (vv. 212-213). Lisistrata
rinfaccia al Probùlo intervenuto il tributo di dolore, solitudine e lacrime
pagato dalle donne durante le guerre. Il Coro è diviso in due: le vecchie
difendono le donne e i vecchi le attaccano: "non c'è belva più indomabile
della donna, nemmeno il fuoco, e nessuna pantera è così impudente" (vv.
1014-1015). Alla fine prevalgono le ragioni della solidarietà e dell'istinto:
nessun regime e nessuna guerra potrà mai sciogliere il vincolo naturale che
allaccia maschi e femmine né annullare l'eterno richiamo dei sessi. Anche
Euripide, che pure aizza spesso l'odio ateniese contro Spartani e Spartane,
attribuisce a Poseidone una condanna delle devastazioni belliche nel prologo
delle Troiane: "mw'ro"
de; qnhtw'n oJvsti" ejkporqei' povlei", - naou;" te
tuvmbou" q ,JJjj iJera; tw'n kekmhkovtwn, - ejrhmivvva/ dou;"
aujto;" w[leq ' u{steron" (v.
95-97), è stolto tra i mortali chi distrugge le città, gettando nella
desolazione templi e tombe, sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve
morire. Nell'Elena (vv. 37-40) e nell'Oreste (vv. 1640-1642) il tragediografo
afferma che la guerra è un mezzo voluto dagli dèi per alleggerire il mondo
oberato dalla massa troppo numerosa dei mortali. Nell’Elena e nell’Elettra di
Euripde si legge che i Greci e i Troiani di Omero hanno combattuto e sono morti
per un fantasma. Castore ex machina annuncia a Oreste che Elena sta arrivando,
insieme con Menelao, dall'Egitto, dalla casa di Proteo, poiché a Troia non è
mai andata, “Zeu;~
d j, wJ" e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n, - ei[dwlon JElevnh~
ejxevpemy j ej~ [Ilion ( Elettra, vv.
1282-1283), ma Zeus mandò a Ilio un'immagine (ei[dwlon) di lei, affinché ci
fosse guerra e strage dei mortali. Mi sembra particolarmente opportuno
ricordare tali giudizi sull'assurdità della guerra che viene imposta agli
uomini comuni, se non dagli dèi, dall'alto dei palazzi del potere, affinché i
mortali poveri, servano a interessi che sicuramente non sono i loro. "Sì
sì, lei non era qui". Dice di Elena la Cassandra di Christa Wolf. E
aggiunge: "Il re d'Egitto l'aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo.
Lo sapevano tutti nel palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza
perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai
più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta" .
Bologna 14 febbraio 2022 ore 19, 49
giovanni ghiselli
p. s. Ibo opsonatum sine mora: vinum,
pernam, holera, poma non habeo Temo che non troverò il tempo per correre.
Ahimé: potrò mangiare ben poco. Saluti a tutti Gianni
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