giovedì 24 febbraio 2022

Maledizioni della guerra nella letteratura antica

Maledizioni della guerra nella letteratura antica
Le riferisco e sottoscrivo. Fatelo anche voi
 
Già nell'Iliade Zeus dice ad Ares: "e[cqisto" dev moiv ejssi qew'n o}i  [Olumpon e[cousin (V, 890), tu per me sei il più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.
 Nel primo Stasimo dei Sette a Tebe[1] di Eschilo il Coro dissacra il dio della guerra: Ares  è un domatore di popoli che  infuriando soffia con violenza e contamina la pietà "mainovmeno" d jejpipnei' laodavma"-miaivnwn eujsevbeian" (vv. 343-344).
 
Nell'Agamennone (del 458) di Eschilo, Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d j  [Arh" swmavtwn" (v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori.
Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in guardia gli Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano, anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri. La lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459-454) in cui fu impegnato il fiore delle forze ateniesi"[2].
"invece di uomini
urne e cenere giungono
alla casa di ciascuno"(434-436).
 
In maniera analoga il tenente Mahler, il disertore amante della contessa adultera del film Senso[3] di Visconti  pone questa domanda retorica: "Cos'è la guerra se non un comodo metodo per obbligare gli uomini a pensare e ad agire nel modo più conveniente a chi li comanda?".
 
Nel terzo Stasimo dell'Aiace [4] di Sofocle il Coro, formato da marinai di Salamina, maledice l'inventore della guerra: "oh se prima fosse sprofondato nel grande etere o nell'Ade comune a tutti,  quello che mostrò ai Greci l’Ares volgare  delle armi odiose. Oh travagli causa di travagli: quello infatti rovinò gli uomini. Quello non mi concesse che mi fosse compagna la gioia delle corone né delle coppe profonde, né il dolce suono dei flauti, disgraziato, né di gustare la gioia del riposo notturno; dagli amori, dagli amori mi ha fatto cessare, ahimé. Giaccio invece così trascurato, sempre bagnato nelle chiome da fitte rugiade, ricordi della funesta Troia" (vv. 1199-1210).
 
Nell'Edipo re[5] Ares viene deprecato dal religiosissimo autore come "il dio disonorato tra gli dei" ( ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn, v.215). Il dio è ajpovtimo" poiché la guerra del Peloponneso dopo la morte di Pericle veniva condotta dal becero e sanguinario Cleone senza rispetto dell'etica eroica e senza riguardo per l'umanità: Tucidide[6]  nel dialogo senza didascalie del V libro fa dire dagli Ateniesi  ai Meli di non volgersi a quel senso dell' onore (aijscuvnhn, 111, 3) che procura grandi rovine agli uomini.
 
La sofferenza delle donne per le guerre degli uomini è compianta dal Coro di vecchi Tebani nella Parodo dell' Edipo re: "La città muore senza tenere più conto di questi[7]/e progenie prive di pietà giacciono a terra portatrici di morte senza compassione,/ e  intanto le spose e anche le madri canute/di qua e di là, presso la sponda dell'altare/gemono supplici/per le pene luttuose"( vv. 179-185).
 
Empedocle[8] nel Poema lustrale   narra che gli uomini della primitiva età felice non avevano Ares come dio né il Tumulto della battaglia: "oujdev ti" hj'n keivnoisin   [Are" qeo;" oujde; Kudoimov""(fr. 119, 1).
 
Aristofane negli Acarnesi[9] dichiara guerra alla guerra.
 Il protagonista Diceopoli, il cittadino giusto, fieramente avverso alla guerra, convince il coro che la guerra è un male e infine lo induce a dire: "io non accoglierò mai in casa Polemo" (v. 977), la personificazione del conflitto, visto come " un uomo ubriaco (pavroino" aJnhvr, v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986-987).
 Il campagnolo pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché la guerra del Peloponneso nella fase archidamica distruggeva tutti gli anni i raccolti.
  Respinto Polemos, arriva la Pace connessa alla festa, all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito che porta doni e chiede una coppa di pace:"i[na mh; strateouit j ajlla; kinoivh mevnwn" (v. 1052), perché non vuole andare in guerra, ma rimanere in casa a fare l'amore. Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei concittadini, non si commuove per lo sposo, ma si adopera per la sposa: la donna non si merita di soffrire per la guerra (v. 1062). 
 
Nella seconda commedia pacifista (Pace del 421) la festa che segue alla pace  odora di frutta, conviti, di grembi di donne che corrono verso la campagna (kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn, v. 536) e di tante altre cose buone.
Qui si racconta che gli dèi[10] si sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223). Intanto però il pestello (aJletrivbano" , v. 269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ bursopwvlh" , v. 270) che sconvolgeva l'Ellade è morto. Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni. La pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo, anche questo un contadino pacifista: essa consente di navigare, rimanere dove si è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al cottabo, e gridare iù iù (vv. 341-345). Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447-448). Alla fine questi riceveranno le pernacchie mentre i contadini potranno tornare al lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che la Pace largiva: i pani di frutta secca, i fichi e i mirti, il dolce mosto, le viole accanto al pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La pace per i campagnoli significava la zuppa d'orzo verde e la salvezza (ci'dra kai; swthriva, v. 595) sicché le vigne e i teneri fichi, e quante altre piante vi sono, rideranno liete accogliendola. Segue nell'agone un'eziologia della guerra meno ridicola di quella presentata negli Acarnesi[11] : Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci lacrimavano.
Alla pace ritrovata seguono progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate culinarie e sessuali: Teoria ha un culo da festa quinquennale e va molto bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è pronto:"tou' pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero. Quindi Trigeo cita due esametri omerici[12]:"è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra civile agghiacciante (vv. 1097-1098).
 
Ogni guerra è una guerra civile 
Nei conflitti interni molti valori  si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi" di Corcira (del 432 a. C,), quando ci fu una tranvalutazione che comprendeva anche le parole: "Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. 
"Un'audacia " ajlovgisto"" prende il nome di coraggio, la prudenza si chiama pigrizia, la moderazione viltà, il legame di setta viene prima di quello di sangue, e il giuramento non viene prestato in nome delle leggi divine, bensì per violare le umane.  Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82-84)"[13].
 
 Nel Bellum Catilinae di Sallustio, Catone , parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole: "iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo. 
 
Nella II Parabasi della Pace  di Aristofane il Coro di contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[14] Trigeo gode nel vedere maturare viti precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella stagione! Tutta questa pace agreste invece di essere arruolati prima dei cittadini e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero che lui vende può servire al massimo per pulire la tavola e la corazza per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso, lei  ha la fica dolce (vv.1350-1351).  
 La terza commedia pacifista è la Lisistrata  del 411. La donna qui non è causa della guerra, come Elena di Troia, bensì fautrice della pace attraverso lo sciopero del sesso. Interessanti in questa commedia sono anche motivi femministici ante litteram. Cleonice afferma, come già la Medea di Euripide, che per le donne è difficile uscire di casa (v. 16), mentre Lisistrata dichiara che la salvezza dell'intera Ellade è nelle loro mani di donne (vv. 29-30). Al progetto collabora la spartana Lampitò, una tebana e una corinzia. La parola d'ordine è:"dobbiamo astenerci dal bischero" (v.124) . Il giuramento: "nessuno mai, né amante né marito" (vv. 212-213). Lisistrata rinfaccia al Probùlo intervenuto il tributo di dolore, solitudine e lacrime pagato dalle donne durante le guerre.
Il Coro è diviso in due: le vecchie difendono le donne e i vecchi le attaccano:"non c'è belva più indomabile della donna, nemmeno il fuoco, e nessuna pantera è così impudente" (vv. 1014-1015).
Alla fine prevalgono le ragioni della solidarietà e dell'istinto: nessun regime e nessuna guerra potrà mai sciogliere il vincolo naturale che allaccia masci e femmine né annullare l'eterno richiamo dei sessi.    
 
Anche Euripide, che pure aizza spesso l'odio ateniese contro Spartani e Spartane, attribuisce a Poseidone una condanna delle devastazioni belliche nel prologo delle Troiane[15]: "mw'ro" de; qnhtw'n oJvsti" ejkporqei' povlei", - naou;" te tuvmbou" q ,JJjj iJera; tw'n kekmhkovtwn,-ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron" (v. 95-97), è stolto tra i mortali chi distrugge le città, gettando nella desolazione templi e tombe, sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.
Nell'Elena [16](vv. 37-40) e nell'Oreste[17] (vv. 1640-1642) il tragediografo afferma che la guerra è un mezzo voluto dagli dèi per alleggerire il mondo oberato dalla massa troppo numerosa dei mortali.
Nell’Elena e nell’Elettra di Euripde si legge che i Greci e i Troiani di Omero hanno combattuto e sono morti per un fantasma.
 Castore ex machina annuncia a Oreste che Elena sta arrivando, insieme con Menelao, dall'Egitto, dalla casa di Proteo, poiché a Troia non è mai andata, “Zeu;~ d  j, wJ" e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n,- ei[dwlon JElevnh~  ejxevpemy j ej~  [Ilion ” ( Elettra, vv. 1282-1283), ma Zeus mandò a Ilio un'immagine (ei[dwlon) di lei, affinché ci fosse guerra e strage dei mortali.
 
 
 Mi sembra particolarmente opportuno ricordare tali giudizi sull'assurdità della guerra che viene imposta  agli uomini comuni, se non dagli dèi, dall'alto dei palazzi del potere, affinché  i mortali poveri, servano a interessi che sicuramente non sono i loro. "Sì sì, lei non era qui". Dice di Elena la Cassandra  di Christa Wolf. E aggiunge: "Il re d'Egitto l'aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo. Lo sapevano tutti nel palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta"[18].
 
 

Ora passiamo in rassegna alcuni autori latini

Virgilio nella prima Georgica[19]  (v.511) depreca "Mars impius " che al tempo della guerra civile infuria dovunque, come nell'età del ferro.
 
 Orazio  chiama il dio Marte torvus in Carmina I, 28, 17 e cruentus in II, 14, 13. Nella prima Ode del primo libro[20] il Venosino menziona le guerre maledette dalle madri:" bellaque matribus/ detestata" (vv. 24-25).
 
 Tibullo [21] attribuisce la colpa della guerra al vizio dell'oro:" Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? [22]/Quam ferus et vere ferreus ille fuit!// Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,/tum brevior dirae mortis aperta via est.// An nihil ille miser meruit; nos ad mala nostra/vertimus, in saevas quod dedit ille feras?//Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes " (I, 10, 1-8), Chi per primo ha tirato fuori le orrende spade? Oh quanto feroce e davvero ferreo[23] fu quello! Allora la strage nacque per il genere umano, allora la guerra, allora più breve si è aperta la via della morte tremenda. Oppure quel disgraziato non ebbe colpa; ma noi volgemmo a nostro danno quello che egli ci diede contro le belve feroci?
 Questa è  colpa del ricco oro, e non c'erano guerre quando una coppa di faggio stava davanti alle vivande.  Era già l'età del business .
 
Un  giudizio critico  dissacratorio può essere quello dei Romani avidi ladroni del mondo da contrapporre al virgiliano: "tu regere imperio populos, Romane, memento/ (haec tibi erunt artes) pacique imponere morem,/parcere subiectis et debellare superbos" (Eneide, VI, 851-853), tu, Romano, ricorda di guidare i popoli con il tuo impero (queste saranno le tue arti) e di imporre una regola alla pace, risparmiare i sottomessi e  sgominare i superbi.   
Il Mitridate di Sallustio  nelle Historiae[24], scrive al re dei Parti Arsace una lettera "anti-imperialista"[25]: "Namque Romanis cum nationibus populis regibus cunctis una et ea vetus causa bellandi est, cupido profunda imperi et divitiarum" ( Epistula Mithridatis, 2), infatti i Romani hanno un solo e oramai vecchio e famoso motivo di fare guerra a nazioni, popoli, re tutti: una brama senza fondo di dominio e di ricchezze. Quindi aggiunge: "an ignoras Romanos, postquam ad Occidentem pergentibus, finem Oceanus fecit, arma huc convortisse? neque quicquam a principio nisi raptum habere, domum coniuges, agros imperium?" (4), come, non sai che i Romani dopo che l'Oceano ha posto termine alla loro marcia verso Occidente, hanno rivolto le armi da questa parte? E che fin dal principio non hanno nulla, patria, mogli, terra, potenza se non frutto di rapina?
 
Petronio nel Bellum civile del Satyricon  sostituisce alla prospettiva storica del poema lucaneo quella moralistica: i Romani avevano già occupato (globalizzato diremmo ora) il mondo e ancora non bastava:"orbem iam totum victor Romanus habebat,/qua mare, qua terrae, qua sidus currit utrumque./nec satiatus erat" (119, vv. 1-3), il Romano vincitore possedeva già l'universo mondo, per dove il mare, per dove le terre, per dove corrono l'una e l'altra costellazione. E non era ancor sazio.
Sentiamo ancora Eumolpo: "si quis sinus abditus ultra,/si qua foret tellus, quae fulvum mitteret aurum,/hostis erat, fatisque in tristia bella paratis/quaerebantur opes" (119, vv. 4-7), se c'era qualche golfo nascosto più in là, se qualche terra che esportasse biondo oro, era nemica, e preparato a tristi guerre il destino, si cercavano le ricchezze.
Non è  vero che questo poemetto si limita a riproporre il repertorio mitologico virgiliano, né, tanto meno, lo fa in maniera governativa, anzi è totale la condanna dell'imperialismo avido.
 
Splendida condanna dell'imperialismo dei Romani e delle loro guerre di rapina e sterminio pronuncia Calgaco, il capo dei Caledoni ribelli nell'Agricola[26] di Tacito: "Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant" (30), ladroni del mondo, dopo che alle loro devastazioni totali vennero meno le terre, frugano il mare: se il nemico è ricco, avidi, se povero, tracotanti, essi che né l'Oriente né l'Occidente potrebbe saziare: soli tra tutti bramano i mezzi e la loro mancanza con pari passione.  Rubare, massacrare, rapire con nome falso chiamano impero e dove fanno il deserto lo chiamano pace.
 
 Un topos che continua nelle Ultime lettere di Iacopo Ortis di Ugo Foscolo: "vi furono de' popoli che per non obbedire a' Romani ladroni del mondo, diedero all'incendio le loro case, le loro mogli, i loro figli e sé medesimi, sotterrando fra le gloriose ruine e le ceneri della loro patria la loro sacra indipendenza"[27]. E più avanti: "quando i Romani rapinavano il mondo, cercavano oltre i mari e i deserti nuovi imperi da devastare, manomettevano gl' Iddii de' vinti, incatenavano principi e popoli liberissimi, finché non trovando più dove insanguinare i loro ferri li ritorceano contro le proprie viscere"[28].
 
C'è d’altra parte anche una concezione eroica della guerra
 Achille aveva recepito l'insegnamento che gli eroi davano ai figli: "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn", primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri . E' l'imperativo che ricevono i giovani campioni della guerra troiana: nel sesto canto[29] dell'Iliade il licio Ippoloco lo prescrive a Glauco; nell'undicesimo[30] Peleo ad Achille.
 
 Lo stesso ordine riceve, in Guerra e pace di Tolstoj, il principe Andrej Bolkonskij dal padre Nikolaj prima della battaglia di Austerlitz:"Ricordati di una cosa, principe Andrej: se ti uccideranno, questo vecchio ne avrà dolore…" Improvvisamente tacque; poi, a un tratto, proseguì con voce stridula:" Ma se saprò che non ti sei comportato come il figlio di Nikolaj Bolkonskij, ne avrò…ne avrò vergogna!", gridò.
"Questo potevate anche non dirmelo, batjuška," disse il figlio sorridendo"[31]. Durante la battaglia di Austerlitz il principe russo provò paura per un momento, ma poi pensò che questa non era degna del suo ruolo e della sua persona:"Mentre si avvicinava a cavallo, sopra di lui volavano l'una dopo l'altra le granate, ed egli sentì un tremito nervoso corrergli per la schiena. Ma la sola idea che potesse aver paura bastò a rinfrancarlo. "Io non posso aver paura", pensò e scese lentamente da cavallo in mezzo ai cannoni"[32]. Diversi anni più tardi, a Borodino, il nobile russo non si getta a terra, perché si vergogna di farlo, e viene ferito a morte da una granata:" Io non posso, non voglio morire, io amo la vita, amo questa erba, la terra, l'aria..." Pensava a questo e nello stesso tempo si ricordò che lo stavano guardando"[33].
 
Un poco di eziologia della guerra di Troia
Proteo in Erodoto (II, 112-116) è un faraone che custodisce Elena per Menelao dopo avere cacciato Paride con il quale ella era giunta in Egitto. Nell'Elena  di Euripide invece la bella donna fu condotta da Ermes nella casa di Proteo signore dell'Egitto, scelto siccome era il più assennato tra gli uomini affinché ella potesse conservare incontaminato il letto di Menelao (vv. 46-48). Ma non per ragioni morali: infatti Era, adirata per non avere vinto la gara di bellezza, mandò in fumo il coito di Paride che abbracciava un'immagine d'aria tirata giù dal cielo (v. 34) e Zeus fece scoppiare la guerra tra gli Elleni e i Frigi infelici al fine di alleggerire la madre terra dalla folla e dalla massa dei mortali (vv. 38-40).
La medesima spiegazione della guerra dà Euripide nell' Elettra  dove Castore annuncia a Oreste che Elena sta arrivando, insieme con Menelao, dall'Egitto, dalla casa di Proteo, poiché a Troia non è mai andata, ma Zeus mandò a Ilio un'immagine ("ei[dwlon") di lei, "wJ" e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n" (v. 1281), affinché ci fosse guerra e strage dei mortali.
Similmente Apollo nell'Oreste   afferma che gli dèi si servirono della bellezza di Elena al fine di indurre Elleni e Frigi a scontrarsi per eliminare dalla terra l'oltraggio dell'eccessiva abbondanza dei mortali (vv. 1639-1641).
 
Mi sembra particolarmente opportuno ricordare oggi tali giudizi sull'assurdità della guerra  : "Sì sì, lei non era qui". Dice di Elena la Cassandra  di Christa Wolf. E aggiunge:"Il re d'Egitto l'aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo. Lo sapevano tutti nel palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta"[34].
 

Bologna 24 febbraio 2021 ore 11, 57
giovanni ghiselli
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[1] Del 467 a. C.
[2] Storia dei Greci , II vol., p.91
[3] Del 1954. Di questo film Aristarco scrisse che rappresentava la maturazione del cinema italiano dal neorealismo al realismo.
[4] 445 ca a. C.
[5] Propendo per una datazione bassa, posteriore al 415 a. C.
[6] 460 ca-400 ca a. C.
[7] Dei cadaveri.
[8] Fiorito intorno alla metà del V secolo.
[9] 425 a. C.
[10] Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.
[11] Che faceva dipendere lo scoppio del conlitto da ratti di prostitute,
[12] Da Iliade 9, 63-64.
[13] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, pp. 42-43.
[14] Questa non dà segni ambigui come la rondine.
[15] Del 415 a. C.
[16] Del 412 a. C.
[17] Del 408 a. C.
[18]C. Wolf, Cassandra , p. 85.
[19] Le Georgiche furono composte tra il 37 e il 30 a. C.
[20] I primi tre libri delle Odi uscirono nel 23 a. C.
[21]  Nato a Gabii o a Pedum , nel Lazio rurale fra il 55 e il 50 a. C., morto tra il 19 e il 18 a. C. Sotto il suo nome ci è giunto il Corpus tibullianum , tre libri di elegie. Sono sicuramente e autenticamente tibulliani i primi due che cantano l'amore per due donne, Delia e Nemesi. Il terzo libro che gli umanisti divisero in due parti è un' antologia di vari autori, compreso Tibullo. Quintiliano lo definisce tersus atque elegans maxime…auctor  (Institutio oratoria , X, 93), l'autore più elegante e raffinato, nel campo dell'elegia dove i latini possono sfidare i Greci.
[22] S. Benni utilizza questo verso cambiando una parola per farne la didascalia di un quadro: “enorme e rotondo, con un’aquila che teneva fra gli artigli un piccolo animale e una scritta…QUIS FUIT OPTIMUS PRIMUS QUI PROTULIT ENSES?” (Margherita dolcevita, p. 125). Il quadro si trova in una casa di razzisti guerrafondai, di “marines di Dio…marines di Cristo” (p. 165).
[23]  Cfr. Erodoto:" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai" (I, 68, 4), il ferro è stato inventato per la rovina dell'uomo 
[24] Le quali prendevano in esamo grosso modo il periodo 78-67 a. C. Furono composte fra il 40 e il 35. Ci sono giunti solo dei frammenti.
[25]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico,. II, 1, p. 375.
[26] Del 98 d. C.
[27] 28 ottobre 1797 .
[28] Ventimiglia, 19 e 20 febbraro.
[29] v. 208
[30] v.. 784
[31] L. Tolstoj, Guerra e pace, p. 163.
[32]Op. cit., p. 288.
[33] Op. cit., p. 1222.
[34]C. Wolf, Cassandra , p. 85

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