giovedì 3 febbraio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 24

Atto V  scena 1. Quarta parte  (932-954)

Menedemo suggerisce all’amico quello che nel primo approccio gli era stato suggerito dallo stesso Cremete: di non mostrarsi intransigente per poi pentirsene, perdonare, concedere e non riceverne gratitudine: “ difficilem ostendis te et post ignosces tamen - et id erit ingratum” 932-933.
 
In effetti quando si può fare un favore è bene farlo subito senza aspettare di esserne richiesti più volte.
 
Fenice l’aio di Achille dà un consiglio del genere al Pelide corredandolo con un esempio
Fenice che nel IX canto prega Achille di accettare i doni di Agamennone, domare il cuore magnanimo (v. 496) e smettere l'ira (v. 517) facendogli l'esempio (negativo) di Meleagro, il quale, irato contro la madre Altea che l'aveva maledetto, non voleva difendere gli Etoli, che pure lo supplicavano offrendogli dei doni, dai Cureti i quali assalivano Calidone. Il giovane ostinato intervenne solo quando i nemici arrivarono a scuotere il talamo (v. 588) dove egli giaceva con la sposa, la bella Cleopatra; allora ella lo pregò Meleagro  intervenne in battaglia salvando gli Etoli che però non gli diedero più i doni preziosi e belli (vv. 598-599).
 
Cremete lamenta il proprio dolore e pare non avere sentito.
Sicché Menedemo cambia argomento e gli domanda se è ancora del parere che i loro figlioli si uniscano in matrimonio, a meno che ci sia un altro pretendente che lui preferisca-“Nisi quid est quod malis” 934
Cremete conferma che quelle nozze gli piacciono anche per la parentela del genero. Un complimento al con suocero e amico.
Menedemo allora fa una domanda sulla dote che abbiamo visto sempre presente nei matrimoni delle commedie latine.
Cremete tarda a rispondere e Menedemo gli dice di non temere se è poca, a loro la dote non interessa.
Talora ciò che conta di più è che la ragazza sia dotata dai buoni mores, cioè morata.
Cremete tacendo ha pensato e risponde che due talenti pro re nostra, in proporzione al nostro patrimonio, devono bastare; però, se Menedemo vuole salvare l’amico, il figlio e  la roba di lui, è opportuno che si dica dictu opus est 941 che tutti i suoi beni saranno assegnati alla figlia.
Menedemo vuole una spiegazione di tale proposta.
Cremete  allora gli chiede di fingere sorpresa id mirari id simulato e di  domandare a Clitifone quam ob rem id faciam (944)
Menedemo risponde che non ha bisogno di simulare perché davvero non sa perché Cremete voglia fare questo.
 
Ebbene il consuocero risponde che la sua intenzione è educativa. Vuole reprimere e riportare alla giusta misura Clitifone qui nunc luxuria et lascivia diffluit, che ora si disfa e nella voluttà e nella  licenza. Il padre vuole che questo figliolo traviato si trovi in difficoltà. Dunque lo pone davanti alla prospettiva dell’immiserimento ut quo se vortat nesciat (946). Clitifone dovrà ri-orientarsi.  
 
Excursus sulla scuola e sul movimento “La Lupa” 
Una disciplina seria deve essere funzionale a temprare il carattere dei giovani. La mia generazione doveva guadagnarsi le promozioni a partire da quelle scolastiche con un impegno anche faticoso, soprattutto al liceo.  Non era un’ottima scuola, per carità, tuttavia insegnava che senza un’applicazione costante non si ottenevano risultati.
Mi piacerebbe che questo neonato movimento studentesco chiamato La Lupa proponesse una scuola fatta da docenti e discenti per lo meno studiosi. Magari anche innamorati delle discipline insegnate.
Leggo sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, a pagina 19, la citazione di queste parole di alcuni ragazzi dei licei romani:
“Lo volete ascoltare questo disagio generazionale?
Il dramma dei nostri compagni che abbandonano gli studi, i nostri amici scoppiati di testa per la Dad? Dopo due anni di pandemia siamo tornati in classe e abbiamo trovato soltanto macerie: edilizia fatiscente, programmi vecchi, orari assurdi e una scuola sempre più azienda. Abbiamo occupato e ci hanno sospesi tutti. Abbiamo protestato e ci avete picchiati. Ecco perché è nata “La Lupa”, è giovane sì, ma corre forte ed è molto arrabbiata”.
 
Voglio consigliare a questi giovanissimi di non ripetere l’errore che, tra molte cose buone, abbiamo fatto noi giovani del ’68: quello di non dare abbastanza importanza allo studio.
I “leaderini” del movimento erano già quasi laureati nel maggio del ’68. A me, che pure non ero un leader, mancava solo la tesi.
Con una laurea in mano il lavoro lo avevamo assicurato e a tempo indeterminato. Questo ovviamente era stato uno stimolo fin dal liceo. Ma per fare bene un lavoro bisogna studiare molto anche dopo la scuola. E per sempre.
La nostra scuola non ci aveva preparati al lavoro. Ho dovuto studiare quasi tutto di nuovo e con metodo diverso da quello cui avevo assistito poiché volevo  imparare a insegnare in modo tale da suscitare nei miei allievi interesse e amore per lo studio.   
Oggi lo studio è più che mai necessario.
 
 Ma torniamo a Terenzio. Ho tradotto diffluit con “si disfa” perché davvero chi non si impone una disciplina con un metodo rischia il disfacimento. Dobbiamo aiutare i ragazzi  privi di un orientamento positivo, cioè accrescitivo, a capire che senza un metodo, senza una via (ojdov") progressiva da percorrere, nesciunt quo se vertant.
 
Torno a Cremete che è sicuro di quanto ha detto e non vuole discuterne. Menedemo acconsente: fiat (948)
Cremete dispone il da farsi: Clinia si prepari a ricevere Antifila, Clitifone verrà redarguito con parole forti - dictis confutabitur; Syro, conclude,  lo concerò per le feste exornatum dabo (950) al punto che si ricorderà finché campa della punizione inflittagli dal padrone che aveva preso per suo zimbello.
Un tiro che non avrebbe osato fare nemmeno a una vedova (954).
Non mi è del tutto chiaro quest’ultimo verso, probabilmente significa che persino una donna sola lo avrebbe punito. E’ un verso brutto come tutto ciò che è poco chiaro.

Bologna 3 febbraio 2022 ore 19, 14
giovanni ghiselli

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