L’ammirazione di Nietzsche si estende anche a Sallustio che per certi aspetti, soprattutto formali, può essere considerato un allievo di Tucidide, come Polibio e altri[1]: “Scrivere in una sola notte una lunga dissertazione in latino e poi anche ricopiarla, mettendo nella penna l’ambizione di imitare il rigore e la densità del mio modello Sallustio”[2].
Platone gettò uno sguardo alla idealità ellenica e divenne cieco alla realtà.
“In fondo, la morale è ostile alla scienza: già Socrate lo era-e per questa ragione: la scienza dà importanza a cose che non hanno nulla a che fare col “bene” e col “male”e che quindi tolgono importanza al sentimento del “bene” e del “male”. Cioè, la morale vuole avere al proprio servizio l’uomo intero, tutte le sue forze…Perciò in Grecia, quando Socrate le inoculò il morbo del moralizzare, la scienza fu presto spacciata: e non si raggiunse una seconda volta l’altezza del pensiero di un Democrito, di un Ippocrate e di un Tucidide”[3].
Non mancano contraddizioni con quanto ha scritto Nietzsche su La nascita della tragedia e anche in altri testi
“I sofisti non sono altro che dei realisti…hanno il coraggio che hanno tutti gli spiriti forti di ammettere la loro immoralità”[4].
L’oggettività “epica” è una caratteristica della storiografia antica.
“I buoni sono una casta, i cattivi una massa senza polvere. Buono e cattivo equivale per un certo tempo a nobile e basso, a signore e schiavo. Per contro il nemico non è ritenuto cattivo: egli può rivalersi. Il troiano e il greco sono in Omero entrambi buoni. Non colui che ci reca danno, bensì colui che è spregevole, è considerato cattivo”[5].
Si pensi ora invece agli “Stati canaglia”.
Mazzarino e l’obiettività solo parziale degli storiografi antichi.
Il fatto di riferire il punto di vista del nemico, o di raccontarne le gesta senza infamarlo, è presente nell’opera di Erodoto[6], il padre della storia, e testimonia l'obiettività degli storiografi greci e latini, "epica" se vogliamo, in quanto già Omero raccontava le gesta eroiche non solo dei Greci ma anche dei Troiani.
Si badi però che nella storiografia antica questa obiettività riguarda soltanto il nemico esterno: “ Tucidide riesce ad essere "obiettivo", ed anzi entusiasta, quando rievoca od esalta l'opera di Brasida. Ma non può perdonare Cleone"[7].
Altrettanto vale per Tacito che è obiettivo con Calgaco ma non con Tiberio, e per Sallustio, obiettivo con Mitridate ma non con i nobili romani. L’obiettività sparisce del tutto nel V secolo d. C. con la storiografia cristiana di Paolo Orosio: si consideri il titolo programmatico delle sue Historiae adversus paganos , in sette libri che abbracciano la storia dell’umanità dalle origini al 417 d. C.
Dichiarazioni di imprzialità (Tacito, Sallustio, Luciano)
Sallustio annuncia che racconterà in breve la congiura di Catilina “quam verissume potero”[8], quanto più veracemente potrò-
L’imparzialità è proclamata da Tacito, all’inizio delle Historiae: “incorruptam fidem professis neque amore quisquam et sine odio dicendus est” (I, 1), chi fa professione di veridicità inconcussa deve esprimersi su ciascuno mettendo da parte l’amore e senza odio.
Quindi nel primo capitolo degli Annales dove l’autore dichiara che partirà dagli ultimi anni del principato di Augusto, poi procederà raccontando di Tiberio e dei successori sine ira et studio quorum causas procul habeo (I, 1) senza risentimento e partigianeria, di cui tengo lontani i motivi.
Luciano ribadisce la norma dell’imparzialità dello storico. Il modello è Tucidide che “legiferò”[9]: “Toiou'to~ ou\n moi oJ suggrafeu;~ e[stw, a[fobo~, ajdevkasto~, ejleuvqero~, parrhsiva~ kai; ajlhqeiva~ fivlo~…ouj mivsei oujde; filiva/ ti nevmwn oujde; feidovmeno~ h] ejlew'n h] aijscunovmeno~ h] duswpouvmeno~, i[so~ dikasthv~…xevno~ ejn toi'~ biblivoi~ kai; a[poli~, aujtovnomo~, ajbasivleuto~, ouj tiv tw'/de h] tw'/de dovxei logizovmeno~, ajlla; tiv pevpraktai levgwn. JO d j ou\n Qoukidivdh~ eu\ mavla tou't j ejnomoqevthse kai; dievkrinen ajreth;n kai; kakivan suggrafikhvn…[10]”, tale dunque deve essere il mio storiografo, impavido, incorruttibile, libero, amico della libertà di parola e della verità…un uomo che non attribuisce per amicizia e non lesina per odio, o uno che prova compassione o vergogna, o si lascia intimorire, giudice imparziale…straniero nei suoi libri e senza patria, indipendente, non sottoposto al potere, uno che non tiene in alcun conto di cosa sembrerà a questo o a quello, ma che racconta i fatti.
Tale dovrebbe essere oggi il giornalista. Lo è solo se gli conviene.
Tucidide dunque è coraggioso.
“Che cosa è buono? Domandate. Essere coraggiosi è buono. Lasciate che le fanciulle dicano: “essere buono vuol dire essere carino e insieme commovente”[11].
La visione tragica è altrettanto impavida e forte: “Le razze forti, finché sono ricche e straricche di energia, hanno il coraggio di vedere le cose come sono:tragicamente…Per esse, l’arte è più di un divertimento e di un diletto: è una cura”[12].
" Un modello . Che cosa amo in Tucidide, che cosa fa sì che io lo onori più di Platone? Egli gioisce nella maniera più onnicomprensiva e spregiudicata[13] di tutto quanto è tipico negli uomini e negli eventi, e trova che ad ogni tipo compete un quantum di buona ragione : è questa che egli cerca di scoprire. Egli possiede più di Platone una giustizia pratica: non è un denigratore e un detrattore degli uomini che non gli piacciono o che nella vita gli hanno fatto del male[14] (...) rivolge lo sguardo soltanto ai tipi; che cosa se ne farebbe, poi, l'intera posterità cui egli consacra la sua opera di ciò che non è tipico?” Così in lui, pensatore di uomini, giunge alla sua estrema, splendida fioritura quella cultura della più spregiudicata conoscenza del mondo che aveva avuto in Sofocle il suo poeta, in Pericle il suo uomo di stato, in Ippocrate il suo medico, in Democrito il suo scienziato della natura: quella cultura che merita di essere battezzata col nome dei suoi maestri, i Sofisti "[15].
Commento mio
Su Sofocle ho molte riserve. Credo, al contrario, che abbia avversato e combattuto la cultura dei sofisti.
Nell’Edipo re, a proposito di parole miscredenti, scrive: “ se tali azioni sono onorate, perché devo eseguire la danza sacra?”[16], ossia, dal punto di vista dell’autore, “perché dovrei continuare a scrivere tragedie? Sofocle insomma denuncia i pericoli di una cultura atea: “e[rrei de; ta; qei`a” (Edipo re, 910), va in malora il divino.
Ivan Karamazov sostiene che è la fede nell’immortalità dell’anima a trattenere gli uomini dai delitti: “Ivan Feodorovic aggiunse…che se si distruggesse negli uomini la fede nella loro immortalità, immediatamente scomparirebbe anche l’amore dai loro cuori, e non solo l’amore, ma anche ogni forza vitale, capace di perpetuare l’esistenza del mondo. Né questo basta: ma allora non esisterebbe più niente di immortale, tutto sarebbe permesso, persino l'antropofagia. Ma non basta ancora: egli terminò con l'affermare che, per ogni individuo, come saremmo noi qui, che non creda né in Dio né nella propria immortalità, la legge morale della natura deve trasformarsi nel senso diametralmente opposto a quello della religione, e che l'egoismo, non solo dovrebbe essere permesso all'uomo fino alla scelleratezza, ma dovrebbe essere anzi considerato come indispensabile". Quindi Ivan conferma e sinttizza il suo pensiero allo stariez:"sì ho sostenuto quel pensiero. Se non c'è l'immortalità, non c'è nemmeno la moralità"[17].
Sentiamo un'altra critica a Platone, che sarebbe un codardo di fronte alla realtà: “Platone…distaccò gli istinti dalla polis, dalla gara, dall’abilità militare, dall’arte e dalla bellezza, dai misteri, dalla fede nella tradizione e negli avi…fu il corruttore dei nobles, egli stesso corrotto dal roturier [18] Socrate…negò tutti i presupposti del “greco nobile” e di buona lega, portò la dialettica nella pratica quotidiana, cospirò con tiranni, fece politica avveniristica e diede l’esempio del più totale distacco degli istinti dall’antico. E’ profondo, appassionato in ogni cosa antiellenica”[19].
La tappa estrema del distacco dagli istinti è data dall’asceta “questo fanatico “contro-natura”[20].
La storia fornisce al potente modelli e maestri che, nell’impotentia generale della volgarità del presente, non si trovano.
Torniamo alla Prefazione della seconda Considerazione Inattuale (Sull’utilità e il danno della storia per la vita, 1874).
Le prime parole rifiutano come "odioso" (con espressione mutuata da Goethe che però ciascuno di noi potrebbe sottoscrivere) "tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza accrescere o vivificare immediatamente la mia attività".
La conclusione della prefazione è che la filologia classica deve agire in modo inattuale contro il tempo e, “speriamolo, in favore di un tempo venturo” .
E più avanti, nel primo capitolo:“C’è un grado di insonnia, di ruminazione, di senso storico, in cui l'essere vivente riceve danno e alla fine perisce".
Contro l’erudizione Nietzsche si esprime anche in Ecce homo: “Avevo dietro di me dieci anni in cui la alimentazione del mio spirito si era propriamente arrestata, in cui non avevo imparato nulla di utilizzabile, in cui avevo dimenticato una quantità insensata di cose in cambio di tutto un ciarpame di polverosa erudizione (…) i miei occhi, per conto loro, mi costrinsero a farla finita con ogni specie di rosicchiamento di libri, in altre parole: con la filologia; ero redento dal libro”[21].
Insomma: “Philosophia facta est quae philologia fuit”[22]
“Nel libro di un erudito c’è sempre anche qualche cosa di opprimente, di oppresso: c’è sempre qualche punto in cui fa capolino lo “specialista”, il suo zelo…la sua gobba-ogni specialista ha la sua gobba. Il libro di un erudito rispecchia sempre anche un’anima incurvata: ogni mestiere incurva”[23].
Nella Repubblica di Platone, Glaucone dice a Socrate che quelli che praticano solo la ginnastica sono ajgriwvteroi tou' devonto~, quelli che non la praticano sono malakwvteroi[24] “più molli” di quanto sarebbe per loro meglio.
“ Il nostro tempo è infatti così cattivo, dice Goethe, che nella vita umana che lo attornia il poeta non incontra più nessuna natura utilizzabile. Con riguardo all’attivo, Polibio chiama per esempio la storia politica la vera preparazione al governo di uno Stato, e l’ottima maestra che col ricordo delle altrui sventure ci ammonisce a sopportare con fermezza i mutamenti di fortuna"[25].
Polibio[26] nel Proemio delle sue Storie afferma che per gli uomini non c'è nessuna correzione (diovrqwsi") più disponibile che la conoscenza dei fatti passati (th'" tw'n progegenhmevnwn pravxewn ejpisthvmh" , 1, 1).
Il "pragmatico" e "universale" Polibio riconosce valore educativo alla sofferenza: al cambiamento in meglio si giunge attraverso due vie: quella dei patimenti propri e quella dei patimenti altrui (tou' te dia; tw'n ijdivwn sumptwmavtwn kai; dia; tw'n ajllotrivwn); la prima via è più efficace ("ejnargevsteron"), la seconda meno dannosa ("ajblabevsteron", Storie , I, 35, 7).
Sulla sofferenza positiva Nietzsche si esprime in Di là dal bene e dal male[27]:"il grado gerarchico di un uomo è quasi determinato dal grado di profondità cui è capace di giungere la sofferenza degli uomini,-la sua raccapricciante certezza…di sapere di più grazie alle sue sofferenze" (Che cosa è aristocratico?, 270)
Nelle Storie di Erodoto, Creso lo straricco re di Lidia, dopo essere caduto, enuncia questa legge del mavqo~ tragico: egli si era illuso di essere l'uomo più felice della terra, ma, sconfitto e catturato da Ciro re dei Persiani, comprende che c'è un ciclo delle vicende umane il quale non permette che siano sempre gli stessi uomini a essere fortunati:"ta; dev moi paqhvmata ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone", le mie sofferenze che sono state spiacevoli, sono diventate apprendimenti (I, 207).
Bologna 3 febbraio 2022 ore 11, 56
giovanni ghiselli
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1209243
Oggi98
Ieri589
Questo mese1259
Il mese scorso11804
[1] Tucidide legiferò (" oJ d j ou\n Qoukidivdh"...ejnomoqevthse") afferma Luciano (Come si deve scrivere la storia, 42).
[2] Ecce homo ( del 1888) perché sono così accorto 1 del 1888, .
[3] La volontà di potenza, Critica dei valori supremi, 43
[4] Frammenti postumi primavera 1888, 14 (147)
[5] Umano, troppo umano I, Delle prime e ultime cose, 51.
[6] Il quale indicava sia gli Elleni sia i barbari quali agonisti della grande guerra e autori delle opere grandi e meravigliose, il cui racconto darà visibilità e gloria tanto ai vincitori quanto ai vinti. Plutarco nel De Herodoti malignitate, Peri; th`~ JHrodovtou kakohqeiva~ ( 857a) accusa lo storiografo di essere filobavrbaro".
Questo non significa che fosse “miselleno”.
[7] S. Mazzarino, Il Pensiero Storico Classico , p. 250 I vol.
[8] De coniuratione Catilinae, 4.
[9] Tucidide legiferò (" oJ d j ou\n Qoukidivdh"...ejnomoqevthse") afferma Luciano (Come si deve scrivere la storia, 42). La legge della verità divenne ineludibile per i suoi seguaci. Nell'ultimo capitolo del suo opuscolo Luciano aggiunge che bisogna scrivere la storia con verità ("su;n tw'/ ajlhqei'") e con il pensiero rivolto alla speranza futura piuttosto che con adulazione mirando a compiacere quelli elogiati al momento presente ("pro;" to; hJdu; toi'" nu'n ejpainoumevnoi"", 63).
[10] Come si deve scrivere la storia, 41-42. Il trattatello è del 164 d. C.
[11] Nietzsche, Così parlò Zarathustra, (completato nel 1885) Della Guerra e dei guerrieri.
[12] Frammenti postumi, Primavera 1888-14
[13] Cfr. i dissoi; lovgoi e la logica aperta al contrasto ndr.
[14] Veramente, a detta di Diodoro Siculo , calunnia Cleone che ha provocato il suo esilio..
[15] Aurora (1881), III libro, 168
[16] eij ga;r aiJ toiaivde pravxei~ tivmiai,-ti dei` me coreuvein ; (vv. 895-896)-
[17] Dostoevskij , I fratelli Karamazov (p. 114).
[18] plebeo
[19] Primavera 1888 Frammenti postumi 14 (94).
[20] Di là dal bene e dal male, L’essenza religiosa.
[21] Ecce homo, Umano, troppo umano, 4.
[22] Nolte, Nietzsche, p. 36.
[23] La gaia scienza (del 1887), libro V, 366,
[24] 410d-
[25] Sull'utilità e il danno della storia per la vita, 2
[26] 200 ca-118 ca a. C. Scrisse Storie che trattavano il periodo compreso tra il 264 e il 146 a. C. Ci sono arrivati i primi 5 integrali; degli altri possediamo epitomi e frammenti, anche consistenti (in particolare quelli dei libri VI-XVIII).
[27] Del 1886
Nessun commento:
Posta un commento