domenica 6 febbraio 2022

Gli impari agòni verbali della televisione. A parer mio vanno evitati.

Qualche sera fa a Otto e mezzo condotto dalla Gruber ho visto una persona di qualità trattata in malo modo dall’arroganza plebea di tutt’altra persona
 
Non è bene e non fa bene partecipare a trasmissioni dove blatera gente offensive che tuona contro a chiunque inizi a dire  parole di segno diverso da quelle dette da lui.
Tali offese subite dai beneducati, magari pure studiosi, da parte dei beceri che gridano senza dire nulla, mi ricorda  la legge che non si deve cenare con i morti.
 
Nel Satyricon, viene raccontata la storia di un versipellis, un lupo mannaro che è passato per il mondo dei morti e ha avuto le vesti pietrificate:" "Ego primitus nesciebam ubi essem, deinde accessi, ut vestimenta eius tollerem: illa autem lapidea facta sunt".(Satyricon, 62, 8), io all'inizio non sapevo dove fossi, poi mi avvicinai per raccogliere i suoi vestiti, ma quelli erano diventati di pietra.
 Et  postquam veni in illum locum in quo lapidea vestimenta erant facta, nihil inveni nisi sanguinem. Ut vero domum veni, iacebat miles meus in lecto tamquam bovis, et collum illius medicus curabat[1]. intellexi illum versipellem esse, nec postea cum illo panem gustare potui, non si me occidisses"
( Satyricon, 62, 13), e dopo che fui giunto in quel luogo dove le vesti erano diventate di pietra, non trovai altro che del sangue. Quando poi arrivai a casa, il mio soldato era steso nel letto come un bove, e un medico curava il suo collo. Capii che quello era un lupo mannaro né in seguito potei assaggiare del pane con lui, neppure se mi avesse ucciso.
 
Un esempio molto più antico è presente nell'Inno omerico A Demetra (VII sec. a. C.).  Ade, il signore dei morti, ha rapito la kovrh Persefone e l'ha portata come sua moglie agli Inferi. La madre della ragazza la dea Demetra, dopo una contesa, ha finalmente ottenuto da Zeus che la figlia possa ritornare tra i Superi. Ma prima di lasciarla partire, Ade, le diede da mangiare il seme del melograno dolce come il miele,-di nascosto rJoih'" kovkkon e[dwke fagei'n melihdeva , lavqrh/ (372) , guardandosi intorno-affinché ella non rimanesse per sempre lassù, con la veneranda Demetra dallo scuro peplo" (372-373)
Persefone, per aver mangiato nel mondo dei morti un cibo dei morti, resta indissolubilmente legata a quel mondo, al punto  Zeus può  ottenere che Persefone torni a rivedere il sole e le stelle per otto mesi, ma per gli altri quattro la Kovrh apparterrà al suo sposo e al mondo dei morti siccome ha mangiato con loro.
 
La versione più nota del mito è forse quella del Don Giovanni di Mozart-Da Ponte. Nel secondo atto[2] il Commendatore ucciso dal protagonista gli ricorda di avere accettato un suo invito a cena[3]  e gli chiede il contraccambio :"Tu m'invitasti a cena,/il tuo dover or sai./  Rispondimi: verrai/tu a cenar meco?".
Don Giovanni, nonostante i tentativi di elusione e dissuasione di Leporello, intrepidamente accetta l'invito del morto da lui stesso assassinato:"A torto di viltate/tacciato mai sarò!…Ho fermo il cuore in petto:/non ho timor, verrò!". Quindi dà la sua mano, in pegno, a quella, gelida, del Commendatore.
La cena del vivo dal morto è il momento conclusivo e culminante della leggenda.
 
Bologna 6 febbraio 2022 ore 11, 42
giovanni ghiselli
 
 
 
 


[1] L’uomo, quando, fattosi lupo, sgozzava le pecore, era stato trafitto al collo con una lancia.
[2] scena XIX.

[3] II, 15.

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