giovedì 10 febbraio 2022

Nietzsche e i classici IX parte. La disciplina. Lo studio. La solitudine


  L’aristocratico è capace di solitudine e ha il coraggio della diversità poiché sente la distanza.

“oggi il concetto di “grandezza” include in sé l’essere aristocratici, il voler essere per se stessi, la capacità di essere diversi, l’essere soli, la necessità di vivere a modo proprio[1].

In una lettera del 21 agosto 1881 Nietzsche scrive, da Sils Maria a Peter Gast: “considero un mio nemico chiunque interrompa la mia estate di lavoro in Engadina, ossia l’avanzamento del mio compito, della mia “unica cosa indispensabile”.

 

Antigone vuole che la sua azione abbia un aspetto esemplare e rappresentativo, come deve essere l'agire di un principe o di un eroe. Questo, se in termini di psicologia individuale può significare esibizionismo o esaltazione, in un ambito sociale e di classe fa parte della morale aristocratica.

La figlia di Edipo dunque dice alla sorella Ismene  :"ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia" ( Antigone, v. 89).

Nel XII dell'Iliade  (vv. 310-321), Sarpedone esorta Glauco a combattere in prima fila, rischiando la vita, poiché lo esigono la loro nobiltà e i loro privilegi.

Nietzsche scrive:"Indizi di una natura aristocratica: non degradare mai i propri doveri, pensando che siano i doveri di tutti; non voler rinunciare mai alla propria responsabilità e non volere dividerla con nessuno"[2].

“Nobiltà il cui segno distintivo sarà sempre quello di non aver paura di sé (…) noi uccelli nati liberi! In qualunque luogo si giunga, tutto sarà sempre libero e assolato intorno a noi”[3].

Gli uomini d’alto livello si distinguono dagli inferiori per il fatto che vedono e ascoltano indicibilmente di più, per il fatto che vedono e ascoltano pensando: questo appunto differenzia l’uomo dall’animale e gli animali superiori da quelli inferiori”[4].

 

La disciplina dura forma  caratteri forti: il re spartano Archidamo nelle Storie  di Tucidide sostiene  gli uomini, i quali non sono poi  tanto differenti tra loro, vengono distinti dalla severa disciplina che rende più forte chi è stato educato nelle massime difficoltà:"poluv te diafevrein ouj dei' nomivzein a[nqrwpon ajnqrwvpou, kravtiston de; ei\nai o{sti~ ejn toi'" ajnagkaiotavtoi" paideuvetai"(I, 84, 4).

Concorda con questa affermazione del re spartano quanto scrive Nietzsche nell' Epistolario in data 14 aprile 1887 A Franz Overbeck: “ Caro amico,

dal 3 aprile sono qui sul Lago Maggiore (…) in un senso veramente spaventoso io sono l’uomo degli abissi; senza questo lavoro sotterraneo non potrei più tollerare la vita (…)

 Non c'è nulla infatti che irriti tanto le persone quanto il lasciare scorgere che noi seguiamo inesorabilmente una rigida disciplina di cui loro non si senton capaci".

 

In questa lettera a Lou von Salomé del 12 giugno 1882, Nietzsche scrive:”Questa terribile esistenza di rinunce cui sono costretto, e che è dura quanto la vita di restrizioni di un asceta, può però contare su alcuni conforti grazie ai quali vivere mi appare pur sempre più apprezzabile del non vivere. Certe grandi prospettive sull’orizzonte spirituale e morale sono le mie più potenti fonti di vita, e sono così contento che proprio in questo terreno abbia messo radici e speranze la nostra amicizia”.

E in Ecce homo: “Ogni risultato, ogni passo avanti nella conoscenza è una conseguenza del coraggio, della durezza con se stessi, della pulizia con se stessi (…) Nitimur in vetĭtum: in questo segno verrà un giorno la vittoria della mia filosofia, perché finora solamente la verità è stata proibita sempre, per principio”[5].   

“La stessa disciplina rende valenti il militare e lo studioso (…) Stare in riga, ma essere capaci ogni volta di passare in testa; preferire il pericolo allo star bene, non pesare sulla bilancia del rivendugliolo il lecito e l’illecito; essere più nemico della meschinità, della furberia, del parassitismo che della cattiveria”[6].

 

Cfr kalo;" oJ kivnduno" di Platone.

Platone scrive: “kalo;ς ga;r oJ kivndunoς” (Fedone, 114d), bello è infatti il rischio. E’ il rischio di credere nei miti relativi alla sorte delle anime, dato che è chiaro che l’anima è immortale..

I miti sull’aldilà-dice Socrate- non si addicono a un uomo che abbia senno (ouj prevpei nou'n e[conti ajndriv) ma, siccome è chiaro che l’anima è immortale, mi si addice pensare che le cose relative all’anima vadano così o in maniera simile con il giudizio dei morti e tutto il resto.

Fedone racconta a Echecrate le ultime ore di Socrate

La disciplina ci serve per scegliere la solitudine piuttosto le compagnie insignificanti o cattive

Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare te[7].

 

Si pensi a Deianira nelle Trachinie di Sofocle.

Nelle Trachinie  di Sofocle Deianira è la moglie infelice, sposa dell'infedele Eracle. Sin da ragazza, quando abitava con il padre, ebbe una dolorosissima paura delle nozze (v. 7-8). Infatti ricorda:"Mnhsth;r ga;r  h\n moi potamov",  jAcelw'/on levgw" (v. 9), il mio pretendente era un fiume, dico l'Acheloo. Insomma era corteggiata da un mostro.

 "Deianira appartiene ancora, in qualche modo, al regno dei mostri: è stata richiesta in sposa da uno di essi, desiderata da un altro[8], che l'ha toccata, che si confida con lei e ne fa una sua complice. E nella lotta contro Acheloo, Eracle ha fattezze ferine. Da questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e come fremito, Deianira non potrà uscire"[9]. La lotta da cui Eracle esce vincente è un fragore di mani, di archi di corna taurine insieme confuse (Trachinie , vv. 517-518).

La Deianira delle Heroides[10] di Ovidio,  lontana da Eracle occupato a inseguire  terribili fiere,  è ossessionata dal pensiero dei mostri con i quali il marito deve lottare:"inter serpentes aprosque avidosque leones/iactor et haesuros terna per ora canes " (IX, 39-40), mi aggiro tra serpenti e cinghiali e leoni bramosi, e cani[11] pronti ad attaccarsi con tre bocche. Senza contare gli amori con le straniere:"  peregrinos addis amores "(v. 49).

Bologna 10 febbraio 2022 ore 17, 19 Sta tramontando il sole dietro le colline ovest (sud ovest ancora) del mio studio. Un’ora e 10 minuti di borsa di studio. Questa non me la leva nessuno

giovanni ghiselli

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[1] Di là dal bene e dal male, Noi dotti,  212

[2]Di là dal bene e dal male, 272.

[3] La gaia scienza, Libro primo.   294 contro i calunniatori della natura

[4] La gaia scienza,  Libro primo 301. Illusione dei contemplativi.

[5] Ecce homo, Come si diventa ciò che si è Prologo..

[6] frammenti postumi, primavera 1888, 14 (161)

[7] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 146.

[8] Il centauro Nesso.

[9]U. Albini, Interpretazioni teatrali , Le Monnier, Firenze, 1972, p. 59.

[10]Sono  lettere d'amore. in distici elegiaci,di donne amanti di eroi, e altre  lettere di uomini a donne del mito con le risposte. Il primo gruppo ( epistole I-XV) uscì secondo alcuni attorno al 15 a. C. ,  fra la prima (20a. C.) e la seconda edizione degli Amores  (1 a. C.). Altri abbassano la data fino al 5 a. C.  Il secondo gruppo di epistole doppie ( XVI-XXI) fu composto poco prima dell'esilio (tra il 4 e l'8 d. C.). Il metro è il distico elegiaco.

[11]Come Cerbero, il cane di Ades, dal ringhio metallico.

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