Parole topiche nella cultura europea: ajnakuvklwsi~, orbis, cerchio, circuito. P. P. Pasolini: la funzione dello studio della poesia: dall’inventum all’inventio. La Mastrocola. Non bisogna fermarsi ai tecnicismi, ma arrivare presto a leggere i grandi autori che sono i nostri accrescitori e, se ne abbiamo bisogno, i nostri consolatori. Kundera. Pascoli. Don Milani. Esempi di discrepanza tra regole grammaticali e testi (reversus sum e fatus). Vittorio Alfieri.
Il nostro lavoro porta a dare grande importanza al lessico che deve venire prima delle regole grammaticali e comunque non rimanerne soffocato.
Delle parole più frequenti e delle più significative è bene segnalare diverse parentele. L'affinità deve essere indicata sulla base dell' etimo: per esempio si suscita l'interesse degli allievi facendo notare che la parola greca ejsqivw[1], "mangio" è etimologicamente imparentata con la latina edo , la tedesca essen, l'inglese to eat.
L'insegnamento del lessico viene reso più interessante da comparazioni tra la lingua greca, quella latina e magari anche altre lingue indoeuropee. Alcune parole topiche, assolutamente rivelatrici, ricche di valenza storico-letteraria, vanno trattate in maniera comparativa illustrandone la presenza e la pregnanza culturale nei testi di vari autori in diverse letterature. Per esempio l' ajnakuvklwsi" di Polibio[2], l'orbis di Tacito[3], il "cerchio" di Machiavelli [4], il "circuito" di Leopardi [5] mutuato dal circuitus di Cicerone[6]. Si potrebbe tradurre con "ritorno ciclico" o perfino con "l'eterno ritorno"[7].
“Poiché il circolo non consiste che di punti di ritorno estesi all’infinito, la curva è incommensurabile, non v’è durata di direzione e l’eternità non è un “avanti diritto” sebbene una “giostra eterna”[8].
La morfologia sarà comunque uno dei gradini sui quali procedere in vista dell'apprendimento della lingua e della letteratura. Il successivo sarà la sintassi, una sezione logica necessaria, che però va "condita" fin dall'inizio[9] "in molli versi", ossia con il sapore più gradevole della poesia. "Così a l'egro fanciul porgiamo aspersi/di soavi licor gli orli del vaso"[10]. Le parti tecniche non possono essere le mete dello studio del greco e del latino. "Perché l'esistenza offre interesse solo nelle giornate in cui alla polvere della realtà viene a mischiarsi sabbia magica, in cui qualche volgare incidente della vita diventa una molla fantastica"[11].
P. P. Pasolini ha scritto un saggio sulla Poesia nella scuola. Ebbene lo studio della poesia è un “sommo prodotto della civiltà”. Vediamone qualche chiarimento “in termini pedagogici” : “questo studio è strettamente complementare a quello della grammatica e della sintassi, a parte la maggiore altezza dell’esercizio. Ecco allora chiarirsi la funzione della poesia nella scuola come coscienza linguistica, come iniziazione all’inventio, dopo il chiarimento grammaticale, sintattico e fraseologico dell’istituzione linguistica, dell’inventum”[12].
Lo skopov" , il bersaglio, cui mira il ragazzo è altro. "Si deve vedere il fine al di là ", mi disse una volta un allievo. Aveva ragione. Il fine è aprire la mente, arricchirla, metterla in grado di comunicare con le persone in maniera significativa, possibilmente anche valida dal punto di vista estetico. Il fine è suscitare energie morali e non solo.
Il fine è rispettare e potenziare la vita, quella propria e quella altrui. Il mezzo è leggere: leggere i grandi libri dei grandi autori, comprenderli, impararli facendone vparte della propria vita.
Un libro della Mastrocola segnala addirittura un "guaio… morale": "insegnando solo tecnicismi, noi priviamo i ragazzi del valore esemplare della letteratura [13]. Ogni opera, e ogni autore, è un exemplum. Noi dovremmo partire di lì, raccontare la vita e le opere, e soprattutto far leggere le opere! Lì c'è la grandezza, il modello. Continuiamo a predicare che i ragazzi avrebbero bisogno di modelli alternativi alla tivù; ebbene, li troverebbero "naturalmente" nella letteratura, visto che la letteratura offre da sempre modelli che sono per natura rivoluzionari e alternativi rispetto ai modelli consumistici e competitivi della vita quotidiana” "[14].
Leggere le grandi opere dei grandi autori non solo illumina e allarga la mente, ma procura argomenti di conversazione, per fare discorsi seri, e pure giocosi: “ perché il bello del leggere è condividere ciò che si è letto. E’ poterne parlare a cena. E’ poter alludere a un pezzo di quel libro, una scena, un’immagine, un personaggio, con la certezza che quell’allusione venga raccolta, che non cada nel vuoto assoluto”[15].
“E qualcos’altro lo elevava: teneva sul tavolo un libro aperto. In quel bar nessuno aveva mai aperto un libro sul tavolo. Un libro era per Tereza il segno di riconoscimento di una fratellanza segreta. Contro il mondo della volgarità che la circondava, essa aveva infatti un’unica difesa: il libri che prendeva in prestito alla biblioteca comunale; soprattutto i romanzi: ne aveva letti un’infinità, da Fielding a Thomas Mann. Le offrivano la possibilità di una fuga immaginaria da quella vita che non le dava alcuna soddisfazione, ma avevano significato per lei anche in quanto oggetti: le piaceva passeggiare per strada con dei libri sotto il braccio. Essi rappresentavano per lei ciò che il bastone da passeggio rappresentava per un dandy del secolo scorso. La distinguevano dagli altri”[16].
Il fatto è che talora i tecnicismi sono stati impiegati da insegnanti spiritualmente distorti in maniera mortificante, come " una misura di polizia per rintuzzare le intelligenze "[17].
Riporto un messaggio mandatomi da una mia allieva, un'alunna di trent'anni fa.
"Ciao, ho letto il tuo pezzo sul
lavoro .. e la perdita del lavoro... e
di Odisseo che viaggia viaggia ma brama il ritorno a Itaca, approdo
desiderato e sicuro. Dopo tanti discorsi sul lavoro un po' rituali e un
po' troppo ascoltati, un'immagine chiara ....del desiderio di movimento,
di attività, di pensiero, di sogno .. ma alla fine di approdo sicuro.
Cati
(ex IV F ginnasio del Liceo Minghetti che spesso ricorda le tue lezioni
e la montagna di libri che ci facevi leggere in un'età dove di solito si
leggono solo manualetti di grammatica e letteratura)"
"Pascoli, invitato a stendere una relazione sulle cause dello scarso rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale, così si esprimeva:"Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche nei licei, in qualche liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un'ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de' quali ogni linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio"[18].
Inoltre: "I più volenterosi si svogliano, si annoiano, s'intorpidiscono (…)e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso"[19].
"Lo studio del greco e del latino si caratterizza soprattutto come uno studio linguistico di impronta grammaticale chiuso in se stesso e funzionale solo in minima parte alla lettura dei testi. In queste condizioni la realtà difficilmente può ripagare gli studenti degli sforzi fatti"[20].
La grammatica serve a leggere i testi, la metrica aiuta a memorizzarli.
Ho notato che sono le persone a disagio, incapaci di trovare in se stessi una qualsiasi bellezza, le persone che si sentono brutte insomma, e sono paurose della vita, ebbene sono costoro gli infelici che preferiscono fermarsi alla tecnica morfologico-sintattica. Questa, vista come fine, può oscurare o limitare la bellezza della letteratura.
"Qualcuno, chissà chi, v'ha scritto perfino una grammatica. Ma è una truffa volgare. A ogni regola ci vorrebbe la data e la regione dove si diceva così"[21].
Vediamo se è vero: il volume Urbis et orbis lingua Corso di latino per Licei Classici, Scientifici e Istituti Magistrali di Vittorio Tantucci, sul quale hanno studiato, a memoria, senza verifica nei testi, intere generazioni di studenti, compresa la mia, trattando dei verbi semideponenti afferma che "al contrario" degli altri "è deponente nel presente e nei tempi da questo derivati, e non nel perfetto e nei tempi che da esso derivano, il verbo: revertor, -ĕris, reverti, (part. fut. reversurus), reverti=ritornare"[22]. Ebbene questo non è vero, poiché reversus sum si trova, sia pure raramente, anche nella prosa di età classica. Faccio un esempio: "itaque qua sex mensibus iter fecerat, eadem minus diebus triginta in Asiam reversus est" (Cornelio Nepote, Vita di Temistocle, 5, 2) e così (Serse) tornò in Asia in meno di trenta giorni per la medesima via per la quale era venuto in sei mesi.
Il ragazzo del triennio si incuriosisce quando sente dire, o vede, che nel Satyricon si trova fatus (71) invece di fatum ; balneus (41) per il neutro balneum, bagno; vinus (12) per vinum; caelus (45, 3) per caelum; lasanus (47, 5) per lasanum, vaso da notte, e altri ancora.
Né mancano gli ipercorrettismi da maschile a neutro (libra 46, 7; nervia 45, 11; thesaurum 46). "Nel passaggio dal latino all'italiano il genere neutro scompare, e i neutri latini sono diventati in italiano maschili. Il latino del volgo anticipa dunque tale evoluzione, e ci fa capire tra l'altro come poté avvenire concretamente questa "scomparsa" di una categoria grammaticale: a poco a poco tutte le parole neutre divennero maschili"[23].
Strumento privilegiato per insegnare tutti gli aspetti delle lingue che non si parlano più, devono essere comunque i testi degli ottimi autori.
“E così si fece; e si prese un Orazio senza commenti nessuni; ed io spropositando, costruendo, indovinando, e sbagliando, tradussi a voce l’Odi dal principio di gennaio a tutto il marzo. Questo studio mi costò moltissima fatica, ma mi fruttò anche bene, poiché mi rimise in grammatica senza farmi uscire di poesia”. (V. Alfieri, Vita, 4, 2).
Bologna 15 dicembre 2024 ore 19, 34 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Deriva dalla radice ejd/ojd-/wjd-. Questo però forse è meno interessante per degli studenti liceali.
[2] Storie, VI, 9, 10. Ho sviluppato il tema del ritorno ciclico delle costituzioni nel mio Storiografi Greci (pp. 387 sgg).
[3] E’ l’idea del ciclo che Tacito applica ai costumi :"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur "(Annales , III, 55), a meno che per caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in modo che, come le stagioni, così si volgono le vicende alterne dei costumi.
[4] Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio , I, 2.
[5] Zibaldone 3518.
[6] De republica (del 51 a. C.) , I, 45.
[7] Cfr. F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (del 1888), p. 128.
[8] T. Mann, La montagna incantata, II, p. 34.
[9] Fin dalla IV ginnasio.
[10] T. Tasso (1544-1595) , Gerusalemme liberata, I, 3, 5-6. Sono versi di derivazione lucreziana (De rerum natura, I, 935 ss.)
[11] M. Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore, p. 469,
[12] Poesia nella scuola (“Il Mattino del Popolo”, 4 luglio 1948) in Saggi sparsi (1942-1973), P. P. P. Tutte le opere, Saggi sulla politica e sulla società, i Meridiani, Mondadori, Milano, 2001, pp. 78-79.
[13] Si pensi a quanto abbiamo riferito da Tito Livio e da Plutarco qualche pagina fa (n. d. r).
[14] P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, p. 82.
[15] P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, p. 88.
[16] M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere (del 1984), p. 55.
[17] Sono parole dello studente Kolia in I fratelli Karamazov (p. 661) . Questo romanzo è l'ultimo di Dostoevskij (1821-1881).
[18] A. Giordano Rampioni, op. cit., p. 49.
[19] G. Pascoli, Prose, vol. I, Milano 1956 (2 ed.), p. 592. Da un rapporto al Ministro della Pubblica Istruzione del 1893.
[20] R. Palmisciano, Op. cit., p. 254.
[21] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, p. 116.
[22] Urbis et orbis lingua, p. 130.
[23] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 190.
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