giovedì 17 agosto 2023

Antologia del percorso amoroso VIII stazione Seconda parte.

 

La personificazione del tormento amoroso dei mortali è costituita da Tizio:"Sed Tityos nobis hic est, in amore iacentem/quem volucres lacerant atque exest anxius angor " (III, 992-993), ma  Tizio è qui in noi, quello che, prostrato nell'amore, gli uccelli dilaniano e un angoscioso affanno divora. "La pena di Tizio-il gigante ucciso da Apollo per aver insidiato Latona, e disteso nel Tartaro col fegato continuamente roso dagli avvoltoi- è per Lucrezio, come sarà pure per Orazio (carm. 3, 4, 77-79; cfr. Servio, ad Aen. 6, 596), allegoria dell'angosciosa passione amorosa, la cupido"[1].

 Ma i versi più dolorosi sull'amore sono quelli del libro seguente dove il termine vulnus , ferita, non basta più e il segno lasciato dall'ansia erotica diviene una piaga che potrebbe diventare mortale se non curata :"Ulcus enim vivescit et inveterascit alendo/inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit,/si non prima novis conturbes vulnera plagis/vulgivagaque vagus Venere ante recentia cures/aut alio possis animi traducere motus " (IV, 1068-1072), la piaga infatti si ravviva e vigoreggia a nutrirla,  la smania cresce di giorno in giorno, e l'angoscia si aggrava, se non confondi le antiche ferite con nuovi colpi, e le recenti non  curi prima vagando con una Venere vagabonda o tu non drizzi altrove i moti dell'animo.

Nei primi due versi "le due coppie allitteranti di incoativi, qui più che mai progressivi, si succedono in crescendo,...simbolo fonico dell'inarrestabile crescere della passione" (Traina 1979, 279-25). Il linguaggio erotico lucreziano oscilla tra il tovpo" dell'amore-ferita (il peggiorativo e prosastico ulcus  sostituisce il nobile ed epico vulnus ; cfr. vv. 1048-1055) e il tovpo" dell'amore-follia"[2].

L'allitterazione in "v" del penultimo verso suggerisce il suono di un soffio che passa sulle ferite asciugandole.

 E' da notare che tanto il termine ulcus  quanto il nesso anxius angor  tornano alla fine del poema lucreziano nella descrizione della peste di Atene del 430 (VI, 1148 e 1158).

 

Ammesso che Amore infligga delle ferite, bisogna dire che queste, se comprese, possono diventare un bene:"una ferita è un'apertura. Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti" siano una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita. Tutti le sentiamo. E se non le sentiamo, siamo solo bambini, solo innocenza. Si tratta piuttosto di rendersi conto che la vita è una serie di iniziazioni, e questa è un'iniziazione in più. Un'altra apertura a qualcosa che mette alla prova la nostra vitalità. Che sonda la nostra capacità di comprensione. Che espande la nostra intelligenza"[3].

Insomma è il tw/' pavqei mavqo" di Eschilo[4], attraverso la sofferenza, la comprensione, che H. Hesse esprime così:"Profondamente sentì in cuore l'amore per il figlio fuggito, come una ferita, e sentì insieme che la ferita non gli era stata data per rovistarci dentro e dilaniarla, ma perché fiorisse in tanta luce"[5].

Voglio mostrare una riabilitazione di Amore da tante calunnie attraverso alcune parole di Agatone nel Simposio  platonico: Eros è il più felice, il più bello e il più nobile fra tutti gli dèi. Ed è anche  il più giovane, sicché non derivano da Eros le mutilazioni dei tempi primordiali di cui parlano Esiodo e Parmenide, anzi , se ci fosse stato lui, non sarebbero avvenute quelle ejktomaiv, castrazioni vere e proprie, né incatenamenti reciproci, desmoi; ajllhvlwn, e molte altri prevaricazioni anche violente kai; a[lla polla; kai; bivaia (195c), ma solo amicizia e pace come ai tempi nostri, da quando Amore regna tra i numi.  Inoltre è delicato: aJpalov" , tant'è vero che  cammina e dimora sulle entità più tenere: infatti ha fondato la sua dimora nei caratteri e nelle anime degli dèi e degli uomini. Anzi ripudia i caratteri duri e rozzi. Inoltre possiede tutte le virtù, compreso il coraggio: infatti neppure Ares tiene testa a Eros (Simposio, 196d).

Eros tiene in pugno il dio della guerra: ebbene questo fatto  toglie, non infligge ferite agli uomini, che è poi quanto sostiene anche l'inno a Venere di Lucrezio.

 

Tento un'altra apologia di Eros utilizzando Seneca. Il filosofo nel De vita beata (del 58 d. C.) afferma, pur senza riferirsi specificamente all'amore, che chi ha deciso di seguire dio ut bonus miles feret vulnera, numerabit cicatrices, et transverberatus telis moriens amabit eum pro quo cadet imperatorem" (15, 5), come il buon soldato sopporterà le ferite, conterà le cicatrici e trapassato dai dardi morendo amerà il comandante per il quale cadrà.

Se uno decide di seguire la milizia di Amore, ne inferisco, non deve soffrire per le ferite ricevute nelle guerre erotiche. Una volta presa questa decisione, le donne  sono più determinate degli uomini.

Sentiamo il dottor Urbino di Màrquez nel ricordo della moglie Fermina che dopo la morte di lui sta per accogliere positivamente, dopo cinquantaré anni, ultrasettantenne, le proposte amorose dell'eterno spasimante Florentino  :"Noi uomini siamo dei poveri schiavi dei pregiudizi" le aveva detto una volta, "Invece, quando una donna decide di andare a letto con un uomo, non esiste ostacolo che non salti, né fortezza che non abbatta, né considerazione morale che non sia disposta a superare per il fondamento: non c'è Cristo che tenga"[6].

In Virgilio  l'amore non solo è associato alla guerra, una guerra tra popoli, ma la fa pure perdere a chi ne è troppo implicato: Turno, prima di affrontare lo scontro decisivo , viene confuso e abbagliato dall'amore:"Illum turbat amor figitque in virgine voltus " (Eneide , XII, 70), lo turba amore e fissa lo sguardo sulla ragazza[7].

Orazio nell'Ode 26 del terzo libro[8], nello stesso tempo scherzosa e malinconica, impiega la metafora della milizia d'amore dichiarando il suo addio alle armi che,  come la lira usata per sedurre, saranno appese alla parete del tempio di Venere:"Vixi puellis nuper idoneus/et militavi non sine gloria;/nunc arma defunctumque bello/barbiton hic paries habebit " (26, 1-4) sono vissuto fino a poco fa idoneo alle ragazze, e ho fatto il servizio militare non senza gloria: ora questa parete avrà le armi e  la lira che ha compiuto la guerra.

 

Pesaro 17 agosto 2023 ore 17, 31 giovanni ghiselli il poverello, l’accattone, il pezzente di Pesaro, contento di esserlo.

p. s.

Tra poco andrò a vedere il terzo melodramma del ROF di quest’anno: Eduardo e Cristina.

Mi chiederete come ho fatto a comprare i tre biglietti per entrare legittimamente nell’Arena degli spettacoli. Ve lo dico. Intanto ho praticato l’accattonaggio nel Peloponneso: a Corinto, a Epidauro, a Nauplion.

 Poi, tornato a Pesaro, mi sono messo di fianco a un negretto questuante all’ingresso della Conad. Io recitavo a memoria, in greco i pimi 15 versi dell’Edipo re di Sofocle, lui girava con il cappello. Se il greco non bastava passavo al latino dell’Eneide e del Satyricon. La sera ci dividevamo le monete raccolte. La mattina seguente andavo a comprare il biglietto. Sono molto fiero di questo.

Lo scrivo per dare una lezione ai poveri che scimmiottano i ricchi.

I veri ricchi e nobili a parer mio sono quelli che stanno dalla parte dei poveri: don Lorenzo Milani, Friedrich  Engels, Luchino Visconti. Aristocrazia cristiana e comunista.

 

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[1] Lucrezio,  La Natura Delle Cose, testo e commento di Ivano Dionigi, p. 320.

[2]Lucrezio, La Natura Delle Cose , commento di I. Dionigi, p. 408.

[3] J. Hillman, Il piacere di pensare. conversazione con Silvia Ronchey, pp. 66-67.

[4]  Agamennone, 177.

[5]Siddharta , p.135.

[6] G. G. Màrquez, L'amore ai tempi del colera  p. 350.

[7] Si tratta di Lavinia che era promessa sposa di Turno ma sposerà Enea.

[8]Edito con i primi due nel 23 a. C.

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