lunedì 21 agosto 2023

Percorso amoroso VIII stazione. Ottava parte. La storia di Didone

Percorso amoroso VIII stazione. Ottava parte.

La storia di Didone

 

 

  Pudor (da pudeo) e aijdwv"  da aijdevomai, mi vergogno.

 

"Pudor  (è) senso morale per cui si prova scrupolo e ripugnanza davanti a tutto ciò che nega i valori erici e religiosi. E' affine all' aijdwv" dei Greci, ma ha vitalità molto maggiore: la Pudicitia  era una divinità oggetto di un culto importante; al culto della Pudicitia patricia  la plebe aveva affiancato e contrapposto un culto della Pudicitia plebeia "[1].

Valerio Massimo nel proemio del VI libro invoca la Pudicitia:"virorum pariter ac feminarum praecipuum firmamentum ", solido fondamento nello stesso tempo per donne e uomini. Ella appunto è stata onorata come una dea:"Tu enim prisca religione consecratos Vestae focos incolis, tu Capitolinae Iunonis pulvinaribus incubas[2]", tu infatti abiti i focolari consacrati a Vesta dall'antico culto, tu giaci sui cuscini di Giunone Capitolina.    

Di fatto il latino ha assunto non solo la funzione di lingua dei signori, come viene rilevato da Renzo ne I promessi sposi , una funzione oramai tramontata, ma anche quella, tuttora attuale di lingua del pudor : quando in italiano si vogliono evitare termini sessuali pesanti si ricorre alla parola latina. Può bastare il solo esempio di fellatio .

Il pudore (aijdwv" ) è  considerato già da Esiodo uno dei pilastri (l'altro è Nevmesi", la giustizia distributiva) del vivere umano e civile: quando se ne andranno dalla terra  non ci sarà più scampo dal male (Opere, 200-201).

L' aijdwv" , la vergogna, ossia la riservatezza e il ritegno contaddistinguono il giovane beneducato dal petulante sfacciato  nelle Nuvole  di Aristofane dove il discorso giusto prescrive al ragazzo di essere "th'" aijdou'"...ta[galm j "(v. 995), l'immagine del ritegno. Al tempo dell'ajrcaiva paideiva (961, l'educazione antica) infatti la castità (swfrosuvnh, 962) era tenuta in gran conto: nessuno modulando mollemente la voce andava verso l'amante facendo con gli occhi il lenone a se stesso (980).

Nel mito di Prometeo del Protagora  di Platone (322b): senza aijdw'" e divkh, "virtù altrettanto morali quanto politiche", distribuite a tutti non esisterebbero le città:"Hermes è incaricato di portarle agli uomini; ma, nella distribuzione, deve fare l'opposto di quello che aveva fatto Prometeo: non dare a ciascuno una capacità differente, ma le stesse a tutti egualmente e indistintamente"[3]. 

Grande apprezzamento del pudore quale virtù di base, Senofonte esprime  nella Ciropedia  quando annette al vizio capitale dell'ingratitudine quello dell'impudenza che anzi considera madre di tutte le turpitudini:" e{pesqai de; dokei' mavlista th'/ ajcaristiva/ hJ ajnaiscuntiva: kai; ga;r au{th megivsth dokei' ei\nai ejpi; pavnta ta; aijscra; hJgemwvn"(I, 2, 7), pare che all'ingratitudine di solito si accompagni l'impudenza: questa infatti sembra essere la guida più grande verso tutte le brutture. "E qui ci torna in mente l'importanza data da Platone e da Isocrate all'aidòs , senso di onore e di pudore, per l'educazione dei giovani come per la conservazione di ogni ordine sociale"[4].

Isocrate nell'Areopagitico  (48) tra l'altro elogia i giovani che rifuggivano la piazza (" e[feugon th;n ajgoravn") al punto che, se talvolta erano costretti ad attraversarla, si vedeva che  lo facevano con molto pudore e riservatezza ("meta; pollh'" aijdou'" kai; swfrosuvnh" ejfaivnonto tou'to poiou'nte""). Il pudore insomma è il retaggio dell'antica educazione nobiliare che questi autori del IV secolo rimpiangono e vorrebbero vedere ripristinata.

Del resto il pudore viene rimpianto anche da Dante tra le virtù del buon tempo antico:"Fiorenza dentro dalla cerchia antica...si stava in pace, sobria e pudica"[5].

Anche Orazio annette grande valore al ritegno quando, nella Satira  I 6 esprime gratitudine al padre "libertino" il quale lo seppe mantenere "pudicum,/qui primus virtutis honos " (vv. 82-83), riservato, che è il primo grado della virtù.


 

Torniamo a Didone. Virgilio dunque dà voce agli scrupoli sessuali che trattengono regina, mentre la sorella Anna con la voce del buon senso le consiglia di non opporsi anche a un amore gradito ("placitone etiam pugnabis amori? ", v. 38) e dunque naturale, ma tale modo reale e razionale di vedere eros viene smontato dal poeta.

 

Breve Excursus sul realismo del mito

 

Quanto è davvero, profondamente, razionale e reale è pure mitico.

Lo affermo sulla scorta del film Medea di Pasolini dove il centauro che educa Giasone adolescente gli dice:" Te ne andrai in un paese lontano, di là dal mare. Qui farai esperienza di un mondo che è ben lontano dall'uso della nostra ragione; la sua vita è molto realistica come vedrai, perché solo chi è mitico è realistico e solo chi è realistico è mitico". Il mito infatti cerca le origini, e chi non le conosce non è cosciente della realtà. "La nostra origine è nei miti: tutti i miti sono di origine"[6]. Inoltre il mito ci dà indicazioni sulla nostra vita psichica:"la psicologia mostra i miti in vesti moderne, mentre i miti mostrano la nostra psicologia del profondo in vesti antiche"[7]. Altra considerazione sui grandi significati del mito si trova nel libro di Morin più volte citato:"Il mito non è la sovrastruttura della nazione: è ciò che genera la solidarietà e la comunità; è il cemento necessario a ogni società e, nella società complessa, è il solo antidoto all'atomizzazione individuale e all'irruzione distruttrice dei conflitti…L'antico internazionalismo aveva sottostimato la formidabile realtà mi"[8].

Fine excursus

 

Simile a quello di Anna è il consiglio della nutrice di Fedra che, con ragioni del resto assai diverse da quelle di Didone, lotta contro la propria passione nell'Ippolito di Euripide :" ouj lovgwn eujschmovnwn-dei' s j, ajlla; tajndrov"", vv. 490-491, tu non hai bisogno di discorsi speciosi ma di quell'uomo.

Così il tenente Mahler del film Senso di Visconti:"è molto meglio prendersi il piacere dove si trova".

 Le proposte delle nutrici spesso sono convincenti quanto quelle dei seduttori di professione:"nutrīcum et paedagogorum rettulēre mox in adulescentiam mores "[9], ben presto i ragazzi riproducono nella giovinezza i costumi di nutrici e pedagoghi.  

 

"Dal teatro attico, più che da Apollonio, proviene il personaggio di Anna, la sorella della regina, che tiene accanto a lei il posto, press'a poco, di confidente: più che al personaggio, molto scialbo, di Calciope, la sorella di Medea, in Apollonio, Anna fa pensare a Ismene, la sorella di Antigone , nella tragedia di Sofocle o a Crisotemi, la sorella di Elettra , nella tragedia di Euripide: come questi personaggi, ella, pur con tutto il suo affetto e la sua dedizione, resta in fondo estranea al pathos e ai tormenti della sorella e si muove, quindi, in un'atmosfera di umanità più comune e banale che, pur non potendosi dire meschina, resta nettamente al di sotto della sublimità tragica. E' tuttavia significativo che la parte della confidente sia affidata alla sorella della regina, non ad una nutrice, personaggio ben noto al teatro attico"[10]. 

 

  Fuoco ferita e follia tutti insieme tormentano  Didone durante la successiva cerimonia religiosa con cui la regina cerca la pace:"quid  vota furentem,/ quid delubra iuvant? Est mollis flamma medullas/interea et tacitum vivit sub pectore volnus./ Uritur infelix Dido totaque vagatur/urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta"  (IV, vv. 65-69) a che giovano i sacrifici, a che i templi a chi è fuori di sé? divora i teneri midolli la fiamma intanto e si ravviva in silenzio la ferita sotto il petto. Brucia l' infelice Didone e vaga fuori di sé per tutta la città, quale cerva dopo che è stata scagliata la freccia.

-Est= edit. La radice deriva dall'indoeuropeo *ed-  da cui discendono  pure il greco   [esqivw< *ejjjd-qivw  l' italiano inedia, l'inglese to eat ,  il tedesco essen .

-mollis=molles.-Uritur: c'è un consiglio dell'apostolo Paolo alle vedove che contiene questo verbo, con questa diatesi:"Dico autem innuptis et viduis:"Bonum est illis si sic maneant sicut et ego; quod si non contineant, nubant. Melius est autem nubere quam uri" (Ai Corinzi , I, 7, 9), dico però a quanti non sono sposati e alle vedove: è bene per loro che stiano così come sto io, ma se non si contengono, si sposino. E' meglio infatti sposarsi che ardere (krei'tton gavr ejstin gamh'sai h] purou'sqai).

Posso fare una riflessione tutta mia: se l'amore è fuoco e il matrimonio lo spenge, il matrimonio nega l'amore. 

 L'amore causato da una freccia che provoca una ferita la quale arde come una fiamma è un aition e una situazione che si trova già nelle Argonautiche di Apollonio Rodio: Eros scaglia  contro Medea un dardo poluvstonon (III, 279), penoso; quindi la freccia ardeva nella ragazza sotto il cuore, simile a una fiamma ("bevlo" d j ejnedaiveto kouvrh/-nevrqen uJpo; kradivh/, flogi; ei[kelon", III, 286-287). "Il libro IV, com'è ben noto, è il libro dell'Eneide  in cui la poesia ellenistica e la poesia neoterica sono più presenti e operanti: Virgilio è stato continuamente stimolato da Apollonio Rodio e da Catullo e li ha "emulati". Apollonio Rodio offriva nel III libro delle Argonautiche  (dove narrava come la giovanissima Medea si innamorasse di Giasone e gli desse con la sua arte magica un aiuto decisivo per la conquista del vello d'oro) un esempio difficilmente pareggiabile di finezza e delicatezza psicologica nel seguire il primo nascere di una passione d'amore, il suo incerto rivelarsi, il contrasto fra la passione e il senso del pudore e dell'onore, il trionfo selvaggio della passione; e all'acume dell'analisi univa senso profondo del pathos e intensità lirica nell'espressione dei sentimenti. Ma Medea è all'inizio una giovinetta in cui la passione germina per la prima volta. Didone è una donna matura che ha già sperimentato l'amore, il matrimonio, la perdita tragica del marito, e al marito morto si sente legata da un vincolo religioso di fedeltà: se Apollonio è attento alle prime incerte manifestazioni della passione, Virgilio...nel IV libro parte già dalla fase in cui la passione è furore irrazionale (importante nel libro il richiamo di immagini dionisiache che spezza tutte le resistenze)"[11].

L'immagine della freccia che trafigge la cerva quale correlativo venatorio del dardo d'amore è una " virgiliana comparatio " che impressionò Petrarca schiavo e malato d'amore portandolo a identificarsi con la creatura colpita, ossia, in definitiva, con Didone:"Huic ego cerve non absimilis factus sum. Fugi enim, sed malum meum ubique circumferens "[12], io sono diventato non dissimile a questa cerva. Sono fuggito infatti, ma portando il mio male dappertutto in giro con me. Poco più avanti Petrarca cita Orazio per significare l'impossibilità di liberarsi dal dardo amoroso:"celum non animum mutant, qui trans mare currunt "[13],  cambiano il cielo non l'animo quelli che corrono al di là del mare.  

Per quanto riguarda la dipendenza di Virgilio da Catullo segnalo due versi del Liber : "ignis mollibus ardet in medullis " (45, 16), arde il fuoco nelle tenere midolle, e "cum penitus maestas exedit cura medullas "( 66, 23), quando una pena profonda ti consumò le afflitte midolla. 

La catena prosegue con la Didone delle Heroides  di Ovidio il quale descrive questo suo  bruciare per Enea illustrandolo in maniera particolareggiata con due paragoni, il secondo dei quali prefigura il suicidio per amore:"Uror, ut inducto ceratae sulpure taedae;/ut pia fumosis addita tura rogis "(VII, 25-26), brucio come fiaccole coperte di cera e impregnate di zolfo; come i santi incensi gettati sui roghi fumosi.  

Il dardo d'amore nell'Eneide  è come una canna mortale ficcata nel fianco:"haeret lateri letalis harundo " (IV, v.73).

Il sentimento amoroso  è dunque connesso al dolore, alla morte e al senso di colpa. La causa è il terrore dell'istinto che è sintomo di decadenza e di calo del turgore vitale.

"combattere gli istinti-questa è la formula della décadence ; fintanto che la vita è ascendente , felicità e istinti sono uguali"[14].

Di questa regola abbiamo un'iterata formulazione latina in Cicerone:"primum ut appetitus rationi pareat...praestantissimum est appetitum obtemperare rationi "(De Officiis , I, 141), la prima regola è che l'istinto obbedisca alla ragione...la regola più importante è che l'istinto si sottometta alla ragione. Purché l'istinto non venga criminalizzato o soppresso infatti :"l'umanità non si riduce affatto all'animalità; ma senza animalità non c'è umanità"[15]. 

 

Rimasta sola nella casa vuota la digraziata regina si tormenta:"sola domo maeret vacua " (v. 82) o in altri momenti inganna se stessa trattenendo in grembo Ascanio "infandum si possit fallere amorem " (v. 85), per vedere se possa illudere l'indicibile amore. 

Amore è infamia e follia. Può diventare anche crudeltà, nel caso che la donna abbia a portata di mano creature deboli con cui prendersela:"Saevus Amor docuit natorum sanguine matrem/commaculare manus. Crudelis tu quoque, mater./Crudelis mater magis, an puer improbus ille? ", il crudele Amore insegnò alle madri a contaminare le mani col sangue dei figli. Crudele anche tu madre. Crudele la madre di più o quel figlio malvagio? canta Damone nell Ecloga  VIII (vv. 47-49) con riferimento a Medea, a Venere e a Cupido.

L'amore, in quanto connotato per natura da furor  e improbitas , non dovrebbe riguardare la "razza padrona" degli optimates  quali vengono definiti da Cicerone nel Pro Sestio del 56 a. C. :" Omnes optimates sunt qui neque nocentes sunt, nec natura improbi nec furiosi, nec malis domesticis impediti ", 45, sono ottimati tutti quelli che non fanno del male, né sono malvagi né squilibrati per natura, né impacciati da difficoltà domestiche.  

 

Anche Giunone, benevola e protettiva verso la regina di Cartagine, individua  l'amore di lei come ardore e furore:"ardet amans Dido traxitque per ossa furorem " ( IV, 101), arde d'amore Didone e ha contratto nelle ossa il furore.

Furens  nell'Eneide  è pure Cassandra della quale  Corebo era acceso da folle amore:"insano Cassandrae incensus amore "(II, 343), cosa che gli costò la vita poiché si trovava a Troia la notte dell'incendio avendo voluto portare aiuto a Priamo in quanto aspirava a diventare suo genero:" infelix, qui non sponsae furentis  praecepta /audierit "( II, 345-346)), infelice che non aveva dato ascolto alle profezie della fidanzata fatidica.

La profetessa di sventura ricompare un poco più avanti (II, 405):"ad caelum  tendens ardentia lumina frustra ", drizzando al cielo gli occhi ardenti invano.

Anche in questo caso ardore e pazzia vanno insieme, in quella profetica come in quella amorosa.

Altra furens  è la Sibilla cumana:"ea frena furenti /concutit et stimulos sub pectore vertit Apollo " (VI, vv. 1OO-101), quei morsi alla furente li scuote Apollo e sferra sotto il petto colpi di sperone.

 

La pazzia  con ira e rabies secondo Giovenale rendono meno esecrabili, rispetto ai delitti  delle matrone romane perpetrati per denaro o per il potere, i crimini di Medea e Procne:"et illae/grandia monstra suis audebant temporibus, sed/non propter nummos. minor admiratio summis/ debetur monstris, quotiens facit ira nocentem /hunc sexum et rabie iecur incedente feruntur/praecipites… (VI, 644-649), anche quelle ai loro tempi osavano grandi mostruosità, ma non per denaro. Meno stupore si deve alle mostruosità somme, tutte le volte che è l'ira a rendere assassino questo sesso ed esse sono trascinate a precipizio dalla rabbia furiosa che brucia il fegato.

     

La follia erotica si diceva è assimilabile a quella religiosa, come già in Platone il quale   nel Fedro   ricorda che il tema dell'irrazionalità della passione amorosa è stato già trattato da Saffo e Anacreonte ed elenca quattro modi di essere fuori di sé: quello dei profeti come la Pizia di Delfi, quello dei fondatori di religione, quello dei poeti, e quello degli innamorati.

Il filosofo tuttavia  non considera negativamente questa "frenesia divina che è molto più saggia della saggezza del mondo"[16]. Anzi Socrate vuole dimostrare:"wj" ejp j eujtuciva/ th'/ megivsth/ para; qew'n hJ toiauvth/ maniva devdotai" (Fedro, 245c) che tale follia è concessa dagli dèi per la nostra più grande fortuna. C'è da notare che maivnomai, "sono pazzo", maniva, "follia" e mavnti" , profeta, hanno la radice comune man(t) -/mhn-.

Si ricorderà che pure nella Storia del genere umano  di Leopardi l'ardore amoroso non è un fatto negativo ("rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un medesimo tempo e inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue").

 Il fuoco non è infernale  nella visione escatologica di Pindaro: nell'isola dei beati " a[nqema de; crusou' flevgei" (Olimpica  II, 79), fiori d'oro bruciano, e non lo è nelle Rane  di Aristofane dove il Coro degli iniziati ai misteri nella Parodo canta:" flogi; fevggetai leimwvn--govnu pavlletai gerovntwn "(v. 344-345) di fiamma il prato sfavilla, balza il ginocchio dei vecchi. 

 

Nell'Eneide  invece il bruciare della regina Didone innamorata, prima ancora che l'amore venga consumato e che  fallisca, rende la donna miserrima  (v. 117) secondo la qualificazione della stessa  dea che la protegge.

Pesaro 21 agosto 2023 ore 11, 39 giovanni ghiselli.

 

p. s.

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[1]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 373.

[2] Factorum et dictorum memorabilium libri , VI, 1.

[3]J. P. Vernant, Mito e pensiero presso i Greci , p. 299.

[4]Jaeger, op. cit., p. 285.

[5]Paradiso , XV, 97 e 99.

[6] J. Hillman, Il piacere di pensare, p. 52.

[7] J. Hillman, Variazioni su Edipo, p. 76.

[8] E. Morin, op. cit., p. 69.

[9] Seneca, De ira , II, 21.

[10]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 358.

[11]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 356.

[12]Secretum , III, 40.

[13]Ep. , I, 11, 27.

[14]F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli , p. 57.

[15] E. Morin, La testa ben fatta, p. 37.

[16]A. Taylor, Platone , p. 475.

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