La III ecloga è una gara poetica tra due pastori (Menalca e Dameta) che dicono versi alternati , a botta e risposta, in forma di carme amebeo, mentre un terzo pastore (Palemone) fa da arbitro. Il premio è una vitella. Il certame finisce in parità. Per quanto riguarda il nostro argomento, mentre la natura vegetale è in rigoglio e la stagione è splendidissima (nunc frondent silvae, nunc formosissimus annus , v. 57), il toro che dovrebbe rappresentare il colmo del vigore sessuale nel mondo animale giace emaciato sull'erba grassa e fa esclamare a Dameta:"idem amor exitium pecori pecorisque magistro " (v. 101), amore è ugualmente una rovina per il gregge e per il custode del gregge !
Poco dopo Palemone menziona amori dolci accanto agli amari, ma anche i primi vengono neutralizzati dalla paura:"quisquis amores/aut metuet dulcis, aut experietur amaros ", vv. 109-110, chiunque temerà i dolci amori o proverà quelli amari.-dulcis=dulces.
In effetti, se torniamo per un momento alla storia precedente vediamo che alla dolcezza dell'amore Enea si lascia andare senza paura, e non senza lacrime, solo quando incontra l'amante morta:"demisit lacrimas dulcique adfatus amorest ", Eneide , VI, 455, lasciò cadere le lacrime e le parlò con dolce amore.
L' ecloga VIII, dedicata ad Asinio Pollione[1], è il carme della gelosia che fa soffrire Damone e brucia Amarillide lasciata dal malvagio Dafni: "Dapnhis me malus urit " (v. 83).
L’esempio di Teocrito
Nel racconto di Alfesibeo la ragazza cerca di ricondurre a sé con incantesimi l'amato che l'ha lasciata, al pari dell'abbandonata del secondo idillio di Teocrito, l'incantatrice Simeta la quale ugualmente brucia ("pa'sa kataivqomai" ardo tutta, si duole al v. 35) per Delfi, il traditore che si è scordato di lei.
La storia di Simeta abbandonata dal bell'atleta Delfi contiene i tovpoi dell'amore come fuoco, ferita, malattia, follia. La ragazza racconta che come vide il bellissimo atleta impazzì e il suo cuore fu lacerato (II, 81-82). Quindi un morbo ardente la devastava (v. 85) e giaceva nel letto gialla, emaciata, perdendo i capelli.
Lo stesso seduttore finge di essere invaso da passione amorosa:"Amore accende una fiamma più temibile di Efesto…e con cattive follie (kakai'" manivai" ) allontana la vergine dal talamo e la sposa che abbandona il letto ancora caldo del marito (II, 133 sgg.). L'impiego del locus ha successo poiché corrisponde allo stato d'animo di Simeta che racconta:" ejpravcqh ta; mevgista" (v. 143), si fece il massimo e giungemmo entrambi al piacere. Qui interviene l'ironia di Teocrito a farci sorridere. “Fare il massimo” in amore è una locuzione elegante e spiritosa.
Nel terzo idillio di Teocrito dove un capraio spasima per Amarillide Eros viene definito "un dio tormentoso" (baru;" qeov" , III, 15) che certamente ha succhiato la mammella di una leonessa.
La potenza di Amore è ineluttabile e le pene inflitte da lui sono incurabili: nella X ecloga Cornelio Gallo cerca di sfuggire alla sofferenza amorosa, che Licoride gli infligge, col proposito di percorrere le montagne dell'Arcadia a caccia di aspri cinghiali mescolato alle Ninfe :"Interea mixtis lustrabo Maenala Nymphis,/aut acris venabor apros "(vv. 55-56).-acris=acres.
Andare a caccia è un rimedio d'amore che anche Ovidio suggerirà, , tra altri che vedremo nel prossimo capitolo. Ovidio segue la linea di Teofrasto il quale considerava la passione amorosa "pavqo" yuch'" scolazouvzh""[2], un'affezione dell'animo disoccupato:" tam Venus otia amat; qui finem quaeris amoris,/cedit amor rebus; res age: tutus eris "[3], così Venere ama il tempo libero; tu che cerchi la fine di un amore, datti a delle attività e sarai sicuro: l'amore si ritira davanti alle attività.
Tra quelle raccomandate c'è appunto lo studium venandi:"Vel tu venandi studium cole; saepe recessit/turpiter a Phoebi victa sorore Venus "[4], oppure tu coltiva la passione per la caccia; spesso si è ritirata con vergogna Venere vinta dalla sorella di Febo.
Toniamo alla X ecloga
Ma l'infelice poeta elegiaco che cerca di diventare Dafni e resistere all'amore, non ha successo. "La dafnizzazione di Gallo è il dono di Virgilio all'amico"[5], commenta G. B. Conte dopo avere ricordato il primo idillio di Teocrito (il Tirsi) dove Dafni si ricusa ad Eros come al giogo che lo priverebbe della sua libera natura :"Dafni anche nella casa di Ades sarà una dura sofferenza per Eros " (kakovn ... a[ lgo" [ Erwti v. 103). Dafni vuole ribaltare il solito rapporto tra l'uomo e l'amore, e invece di subire sofferenze da Eros intende infliggergliene. Tuttavia non ci riesce perché il bovaro alla fine del suo canto annuncia la sua morte ad opera di Eros che lo trascina nell'Ade.
Gallo della X ecloga virgiliana dunque dovrebbe liberarsi dalla sofferenza amorosa andando tra le belve:"Sede di Eros e del sofferente elegiaco era stata la città; sede nuova non potrà che essere una sede lontana da Eros, a lui estranea, nelle selve, fra le tane delle fiere"[6].
Invano: le fatiche non possono mutare Amore, neppure se diventassero tormentose in quanto affrontate in climi estremi:"omnia vincit Amor, et nos cedamus amori " (ecloga X, v. 69), tutto vince Amore e noi all'Amore cediamo.
Bruno Snell confronta alcuni versi dell X ecloga con simili esametri del VII idillio del poeta siracusano per notarne le differenze:" In Teocrito (VII, 111sgg.), in una scherzosa preghiera a Pan, troviamo:"Se non esaudirai la mia preghiera, possa tu pascolare il gregge d'inverno nella fredda Tracia presso l'Ebro, e l'estate poi presso gli Etiopi nell'estremo Sud".
In Virgilio, Gallo si lamenta (X, 65 sgg.):"Contro il mio amore infelice nulla mi giova, né se in pieno inverno bevo acqua dell'Ebro ed erro sotto la neve della Tracia, né se le pecore degli Etiopi pascolo, sotto il segno del Cancro" (cioè nella più calda estate). Virgilio trasforma i motivi teocritei in modo che quasi il lettore non se n'accorge, e solo tardi si è compresa l'importanza del passo ch'egli ha compiuto nelle sue Egloghe oltre l'arte giocosa del poeta ellenistico. Virgilio, mentre legge Teocrito, il poeta greco ammirato e apprezzato, e ne ritrae le immagini che vede già, senza volerlo, con gli occhi di nascente classicismo, si riavvicina sempre più alla serietà e al pathos della poesia greca classica...Il ritorno di Virgilio all'arte classica, nelle Egloghe , si rivela innanzitutto in questo, che le sue poesie non sono, come quelle di Teocrito, brevi scenette di vita, ma opere d'arte ordinate ed elaborate. "[7]. A parer mio le “brevi scenette di vita” teocritèe sono, rispetto alle scene di Virgilio per lo meno più originali.
Passiamo alle Georgiche.
Nella terza Georgica che tratta l'allevamento la conflagrazione amorosa riguarda, oltre gli umani, anche gli animali:"Carpit enim vires paulatim uritque videndo/ femina, nec nemorum patitur meminisse nec herbae/ dulcibus illa quidem inlecebris et saepe superbos/cornibus inter se subigit decernere amantis, " (v. 215-218) logora infatti le forze a poco a poco e li brucia guardandoli la femmina, e non lascia che si ricordino dei boschi né dell'erba, ma quella certo li attira con dolci seduzioni e spesso costringe i fieri pretendenti a combattere con le corna.
-femina : che la femmina, tanto quella umana tanto questa bestiale metta in secondo piano tutti gli altri interessi del maschio è scritto nella stessa etimologia del nome : si pensi che esso "deriva dall'indoeuropeo *dha-/dhe- che ha dato come esito in greco qh-, in latino fe -"[8] da cui derivano qhlhv, mammella, qhvleia, femmina appunto, qh'lu" femminile, femina , felix e felicitas . In altre parole: sine femina non est vita; si est tamen, non est vita beata .- amantis=amantes.-cornibus…decernere : in questi versi l'istinto amoroso si associa non solo al fuoco ma anche a Eris.
Amor omnibus idem
L’ istinto amoroso spesso associato a una tendenza bellicosa è uguale per tutte le creature viventi: "Omne adeo genus in terris hominumque ferarumque/et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres/ in furias ignemque ruunt: amor omnibus idem "(vv. 243-244) così ogni specie sulle terre di uomini e di animali, e la razza marina, il bestiame e gli uccelli colorati si precipitano in ardori furiosi, amore è lo stesso per tutti. Esso accresce la ferocia delle belve:"Tempore non alio catulorum oblita leaena/saevior erravit campis nec funera volgo/tam multa informes ursi stragemque dedere/per silvas; tum saevos aper, tum pessima tigris;/heu, male tum Libyae solis erratur in agris " (vv. 245-249), in nessun altro tempo dimentica dei cuccioli la leonessa ha errato più furiosa per le pianure, né tanti lutti e strage sparsero gli orsi orribili per le selve; allora il cinghiale è furioso, allora la tigre è più feroce che mai; ahi allora si vaga con rischio nei campi deserti della Libia.-leaena: si ricordi la levaina Medea (v. 1342) che avrebbe fatto meglio a dimenticarsi dei figli e la divpou" levaina (Agamennone , 1258), la bipede leonessa Clitennestra che invece ha fatto a pezzi il marito.-saevos=saevus.
L'amore insomma è uguale, o molto simile, per tutti. Già Euripide nel IV Stasimo dell'Ippolito canta la potenza universale di Eros che ammalia (qevlgei) la natura dei cuccioli montani e dei marini e quante creature nutre la terra e quelli che il sole guarda bruciando, e gli uomini. La mandante è Cipride che su tutti questi impone da sola la sua regale maestà (vv. 1274 sgg.).
Orazio nell'Ode III 13, promettendo alla fons Bandusiae il sacrificio di un capretto, mette in rilievo l'aspetto pugnace dell'amore quando nota che la fronte turgida per le corna nascenti prepara alla bestiola amore e battaglie:"cras donaberis haedo,/cui frons turgida cornibus/primis et venerem et proelia destǐnat " (vv. 3-5).
Nella letteratura italiana Boccaccio in un brano di chiara derivazione virgiliana fa descrivere l'invasamento erotico e bellicoso degli animali dalla dea Venere che vuole convincere Fiammetta ad assecondare la sua passione amorosa e adulterina:"ne' boschi li timidi cervi, fatti tra sé feroci quando costui[9] li tocca, per le disiderate cervie combattono, e, mugghiando, delli costui caldi mostrano segnali; e i pessimi cinghiari[10], divenendo per ardore spumosi, aguzzano gli eburnei denti; e i leoni africani, da amore tocchi, vibrano i colli"[11].
Ero e Leandro con altri casi di folle ardore amoroso.
Torniamo alla III Georgica dove Virgilio, volendo significare che la mania amorosa riguarda tutti i viventi, fa l'esempio del giovane Leandro che, incendiato dalla fiamma d'amore, subisce la morte per acqua quando vuole incontrare la sua puella. Non bastano a fermare il ragazzo "magnum cui versat in ossibus ignem/durus amor "(vv. 259-260) cui un amore spietato scatena un grande fuoco nelle ossa, né l'Ellesponto in tempesta né le invocazioni dei genitori "nec moritura super crudeli funere virgo "(v. 263), né la ragazza pronta a morire sopra di lui con morte crudele .
La storia d'amore e morte di Ero e Leandro è stata raccontata da Ovidio in due delle Heroides . La prima (XVIII) è quella del ragazzo che identifica la luce della fiaccola, agitata a Sesto dalla fanciulla, con la ragazza stessa e con l'amore che, riscaldandogli il petto, gli fornisce la forza per superare a nuoto il gelido abisso:"Ut procul adspexi lumen" meus ignis in illo est;/illa meum"dixi" litora lumen habent " (vv. 87-88), come da lontano vidi la luce, dissi:" il mio fuoco è in quella; quelle spiagge hanno la mia luce.
Nella risposta (XIX) Ero afferma che anche se le loro forze sono impari, loro due bruciano di ugual fuoco:"Urimur igne pari, sed sum tibi viribus impar " (v. 5). Tuttavia il fuoco che brucia le donne è più pervasivo e consuma completamente la loro anima: gli uomini possono distrarsi ora con la caccia (modo venando ), ora coltivando la terra feconda (modo rus geniale colendo , v. 9), o con gli impegni del foro o della palestra, o domando cavalli, o con l'uccellagione, o con la pesca.
Ma ella, anche se ardesse d'amore meno violentemente (vel si minus acriter urar , v. 15) non avrebbe altra possibilità di azione che quella di amare.
Altre testimonianze
Ricordo amche il Leandro del poemetto di Museo[12] dove il giovane qualifica Eros con deinov" (tremendo) e il mare come ajmeivlico" , spietato (Ero e Leandro , v. 245) poi, con immagine derivata da Nonno di Panopoli[13], pensa di contrappesare l'acqua marina con il fuoco amoroso che lo brucia fin dentro le fibre.
Quindi Leandro incoraggia il cuore ordinandogli di attenersi al fuoco e di non temere l'acqua, anche se priva di fondo (v. 247).
L'acqua poi prevale sulla vita ma, siccome amor omnibus idem, l'amore è il medesimo per tutti, se anche può uccidere, tuttavia non può fermare gli amanti appassionati:"Inde ferae pecudes persultant pabula laeta/et rapidos tranant amnis: ita capta lepore/te sequitur cupide quo quamque inducere pergis " (Lucrezio, De rerum natura , I, 14-16), quindi le bestie selvagge saltano per i pascoli rigogliosi,/e attraversano a nuoto i fiumi vorticosi: così presa dal fascino tuo/ciascuna ti segue cupidamente dove continui a condurla.-amnis=amnes. A proposito di rapidos amnes si ricorderà la Medea di Seneca che sicuramente non ignora questi versi:" :"Non rapidus amnis, non procellosum mare… possit inhibere impetum/irasque nostras…Amor timere neminem verus potest "(Medea, vv. 411 sgg.), non fiume travolgente, non mare in tempesta …potrebbe arrestare l'impeto dell'ira mia…Il vero amore non teme nessuno.
Ma torniamo all'amore- guerra della Georgica III dove la razza aspra dei lupi e dei cani e perfino i cervi imbelli danno battaglia ("dant proelia ", v. 265). Certo però che supera tutto e si distingue il furore delle cavalle:"Scilicet ante omnes furor est insignis equarum " (v. 266), cui Venere stessa attribuì questa disposizione quando le quattro di Potnia (in Beozia) sbranarono con le mascelle le membra di Glauco che le teneva lontane dai maschi. Come si vede l'amore, consentito o represso che sia, è sempre unito al dolore e alla morte.
Le ferite inflitte da amore
Il Socrate dei Memorabili di Senofonte aveva già detto che bisogna guardarsi dal bacio e persino dalla visione dei belli poiché questi iniettano un veleno più dannoso di quello dei ragni (I, 3, 11 sgg.). La guerra amorosa non manca mai di provocare ferite o ustioni che l'amante spesso si procurara da solo.
Properzio addirittura va in cerca della piaga amorosa"Interea nostri quaerunt sibi vulnus ocelli " (II, 22, 7), intanto i miei occhi cercano chi li ferisca. Su questa elegia torneremo per la presenza di un altro locus.
Anche nel romanzo greco (II d. C.) ci sono cenni alla ferita creata da amore:" davknei to; fivlhma th;n kardivan" (Le avventure pastorali di Dafni e Cloe , 1, 25, 2), il bacio morde il cuore, sussurra il protagonista maschile della storia d'amore di Longo Sofista, quel Dafni cui il bacio di Cloe pare più acerbo dell'ago di un'ape.
Non è da meno Clitofonte di Achille Tazio che dice a Leucippe:"kai; su; mevlittan ejpi; tou' stovmato" fevrei": kai; ga;r mevlito" gevmei", kai; titrwvskei sou ta; filhvmata", Leucippe e Clitofonte , 2, 6, 6, anche tu devi portare un'ape sulla bocca: infatti sei piena di miele e i tuoi baci feriscono.
C'è, veramente, anche un bacio che non punge, ed è quello che il canto per Adone delle Siracusane teocritee attribuisce al ragazzo amato da Venere:" ouj kentei' to; fivlhm j, e[ti oiJ peri; ceivlea purraiv" (XV, 130), non punge il tuo bacio, ancora intorno alle labbra c'è la peluria fulva. A questa peluria rossiccia possiamo associare le messi mature di cui Adone è simbolo, secondo l'insegnamento che Ammiano Marcellino [14] attribuisce alle religioni misteriche riguardo a questa storia d'amore e morte :"quod simulacrum aliquod esse frugum adultarum religiones mysticae docent " (Storie, XIX, 1, 11). Particolarmente è l'uccisione del bellissimo giovane che viene interpretata come simbolo della mietitura del grano: quando Giuliano giunge ad Antiochia nell'estate del 361 d. C. si celebravano le feste in onore di Adone, amato da Venere e ucciso dal cinghiale:"quod in adulto flore sectarum est indicium frugum" (XXII, 9, 15), simbolo delle messi recise quando sono del tutto mature.
Vediamo qualche esempio di ustione amorosa nelle Metamorfosi di Ovidio:"sic deus in flammas abiit, sic pectore toto/uritur " ( I, 495-496), così il dio si infiammò, così in tutto il petto/brucia. Si tratta di Febo che brucia per Dafne.
Più avanti (III, 464) è Narciso che brucia per amore di se stesso:"uror amore mei, flammas moveoque feroque ", brucio per amore di me stesso e porto e agito le fiamme.
Il poeta Peligno (di Sulmona) del resto negli Amores presenta anche un altro punto di vista, il proprio, che è ben diverso:" "Candida me capiet, capiet me flava puella;/est etiam in fusco grata colore venus " ( II, 4, 39- 40) una ragazza chiara mi conquisterà, mi conquisterà una bionda;/l'amore è gradito anche in una scura.
Nel Pervigilium Veneris che celebra l'inizio della primavera e la potenza di Afrodite, Amore è in vacanza ("feriatus est amor ", v. 31) perciò gli è stato ordinato di andare inerme, di andare nudo:"neu quid arcu, neu sagitta, neu quid igne laederet " (v. 33), per non ferire qualche creatura con l'arco, con la saetta, con il fuoco. Eppure, avverte l'autore, o l'autrice, "Nymphae, cavete, quod Cupido pulcher est:/ totus est in armis idem quando nudus est amor " (vv. 34-35), guardatevene o Ninfe, poiché Cupido è bello: ed è tutto armato anche quando è nudo Amore.
Pavese rovescia l’identificazione tra amore e ferita: l’amore anestetizza le ferite
Cesare Pavese ribalta la posizione del vulnus : per lui è la vita che infligge ferite e l'amore anestetizza il dolore :"Perché il veramente innamorato chiede la continuità, la vitalità (lifelongness ) dei rapporti? Perché la vita è dolore e l'amore goduto è un anestetico e chi vorrebbe svegliarsi a metà operazione?"[15]. Si potrebbe commentare questa affermazione intelligente con quest'altra di Pindaro:" ejslw'n ga;r uJpo; carmavtwn ph'ma qnavskei-palivgkoton damasqevn" (Olimpica II, 19-20), infatti sotto nobili gioie muore la sciagura recrudescente domata.
Abbraccio questa posizione-
Pesaro 25 agosto 2023 ore 17, 12 giovanni ghiselli
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[1] Nato nel 76 a. C. fu console nel 40, e, come proconsole, nel 39 sconfisse i Dalmati. Fu anche autore di tragedie e di una storia delle guerre civili. Orazio gli dedicò un'Ode alcaica (II, 1). S. Mazzarino definisce Asinio Pollione "l'ufficiale più indipendente e acuto" di Giulio Cesare. Dalle sue Historiae, iniziate verso il 30 a. C. verrebbe fuori il Cesare ricco di pathos del dado è tratto; mentre lo stesso Cesare "scrittore "tucididèo" ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i momenti irrazionali della sua stessa impresa" (Il pensiero storico classico, 2, p. 200).
[2]In Stob. 4, 20, 66.
[3]Ovidio, Remedia amoris , vv. 143-144.
[4]Ovidio, op. cit., vv. 199-200.
[5]Virgilio, il genere e i suoi confini , p. 20.
[6]Conte, op. cit., p. 28.
[7]B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , pp. 396-397.
[8]G. Ugolini, Lexis , p. 241.
[9]Amore
[10] Da confrontare con "tum pessima tigris " e " tum saevos aper " visti sopra ( Georgica III , v. 248)
[11] Elegia di Madonna Fiammetta , cap. 1.
[12]Vissuto tra V e VI secolo d. C.
[13]Vissuto nel V secolo d. C. ha scritto le Dionisiache , un poema di 48 libri e 21000 esametri. Museo dipende da Nonno per la tecnica del verso, ma non certo per la lunghezza del suo epillio che consta di soli 343 esametri.
[14] Nato ad Antiochia, vissuto fra il 334 e il 400 d. C., ha scritto Rerum gestarum libri XXXI che andavano dalla morte di Nerva (96 d. C.) al 378 d. C. (morte dell'imperatore Valente). Ci sono arrivati i libri XIV-XXI, dal 353 al 378 d. C. Il suo eroe è l'imperatore Giuliano, quello che i cristiani infamano chiamandolo "l'apostata".
[15]Il mestiere di vivere, 19 gennaio 1938.
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