Chi si intende non poco di schermaglie e battaglie amorose è Ovidio.
Negli Amores scrive:"Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans "(I, 9, 1-2), è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi, ogni amante è un soldato.
"La ripetizione del primo emistichio dell'esametro nel secondo emistichio del pentametro, che ha qui lo scopo di dare enfasi alla sententia sottolineando il concetto, è un tratto tipico dello stile ovidiano...la sua frequenza in Ovidio è forse da attribuire all'influenza della figura retorica della conduplicatio e all'effetto musicale che tutte le figure di ripetizione donano al testo"[1].
Nel teatro di Plauto “le metafore militaresche ricorrono anche con grande frequenza in connessione con la sfera erotica , gli “assalti” divengono assalti amorosi, le “spade” falli priapescamente sguainati, le “prigionie” e le sconfitte prigionie e sconfitte d’amore”[2].
Ovidio, fa pure notare il Conte, opera un "rovesciamento della tradizione elegiaca precedente" nella quale "l'amore con la sua forza irresistibile sottrae il poeta ai negotia della vita civica chiudendolo in uno spazio sostitutivo dei valori della comunità". Gli elegiaci infatti "dichiarano il loro essere prigionieri (e prigionieri consapevoli) della nequitia , dunque il loro non essere buoni cittadini, e propongono un sistema di valori alternativo a quello socialmente approvato".
Ovidio ribalta tale tradizione affermando che l'amore "riscatta il poeta dall'ignavia e dalla segnities perché l'amore è guerra, e richiede e sviluppa nell'innamorato le stesse qualità fisiche e psicologiche che l'esercizio della guerra richiede e sviluppa nel soldato. L'amante-questo l'assunto dell'elegia, paradossale se si pensa all'antimilitarismo dei primi elegiaci-è perfettamente uguale al soldato e come quello dotato di forza, intraprendenza, attivismo. In questa identificazione tra sfera galante e sfera militare, il repertorio tematico della militia amoris con tutto il suo lessico militare conosce un utilizzo a pieno campo, senza avere più tuttavia quella intenzione antifrastica che lo distingueva nell'elegia di Tibullo e di Properzio; e la tesi viene portata avanti adottando una delle tecniche che si studiavano nelle scuole di retorica del tempo, quella della comparatio ( confrontando due diverse realtà, se ne mostrano somiglianze e divergenze)"[3].
Quella erotica è una guerra nella quale al poeta non dispiacerebbe morire:"Felix, quem Veneris certamina mutua perdunt;/di faciant, leti causa sit ista mei " (Ovidio, Amores, II, 11, 29-30), fortunato quello che mandano in rovina le reciproche lotte di Venere, gli dèi facciano che questa sia questa la causa della mia morte!
Nell'Ars amatoria il poeta magister di erotismo insegna che Amore è ferus , selvaggio (I, 9), crudele come Achille, saevus [4] uterque puer (I, 18), e chi gli si accosta deve accettare di armarsi come per una battaglia (miles in arma venis , I, 36) o almeno come per andare caccia. L'uomo al pari del cacciator che sa bene dove tendere le reti ai cervi, (scit bene venator, cervis ubi retia tendat , I, 45) deve imparare a conoscere i luoghi frequentati dalle donne: portici, templi, fori, fontane, ma soprattutto i teatri ( sed tu praecipue curvis venare theatris , I, 89, ma tu soprattutto vai a caccia nei curvi teatri ) dove il figlio di Venere fa spesso le sue battaglie e chi ha osservato lo spettacolo di ferite, ha una ferita:"Illa saepe puer Veneris pugnavit arena /et ,qui spectavit vulnera, vulnus habet " I, 165-166.
L'anfiteatro dunque è un luogo di battaglie e ferite raccomandato per gli incontri erotici che hanno una componente conflittuale come i ludi del circo. Le donne più raffinate si precipitano ai giochi più frequentati:"Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsae/; ille locus casti damna pudoris habet" (I, vv. 99-100), vengono per osservare, vengono per essere loro stesse osservate; quel luogo contiene perdite del casto pudore.-spectatum…spectentur ut (=ut spectentur): poliptoto con due costruzioni della finale: il supino indica uno scopo più generico; ut+ il congiuntivo è maggiormente connotato dalla volontà.
Contro il teatro.
In Madame Bovary il curato di Yonville sembra condividere l'opinione di Ovidio sul lenocinio dei teatri, i quali, dato il punto di vista critico, autorizzato da "tutti i Santi Padri", vengono sconsigliati dal prete:"So anch'io" obiettò il curato, "che esistono buone opere, buoni autori, tuttavia, non fosse altro, tante persone di sesso diverso riunite in un locale seducente, ornato di pompe mondane, e poi tutti quei travestimenti pagani, tutto quel belletto, tutti quei candelabri, tutte quelle voci effemminate, tutto insomma deve ingenerare alla fin fine un certo libertinaggio dello spirito e suggerirti pensieri disdicevoli, tentazioni impure. Almeno questa è l'opinione di tutti i Santi Padri. Infine…se la chiesa ha condannato gli spettacoli, significa che aveva la sua ragione di farlo: occorre sottometterci ai suoi decreti"[5].
Tertulliano (160 ca-220ca d. C) nel De spectaculis (del 200 ca d. C.) predica contro teatri e circhi in quanto tutta la messinscena degli spettacoli trae la sua essenza ex idolatria (IV, 3) dall'idolatria. Già nel precedente Apologeticum (197 d. C.) il teologo afferma che i sensi puri dei cristiani non hanno nulla in comune con la follia del circo né con l'impudicizia del teatro (cum impudicitia theatri ) né con la crudeltà dell'arena (cum atrocitate arenae) né con la vanità del portico (38).
Del resto anche Seneca aveva condannato l'efferatezza dei giochi circensi quali mera omicidia ( ep. 7), omicidi veri e propri, e prima di lui Platone aveva biasimato gli spettacoli troppo frequenti e la conseguente cattiva teatrocrazia[6] madre della licenza.
Ancora una volta il cristianesimo appare "un platonismo per il popolo"[7] .
Questa linea platonico-cristiana di avversione per i teatri si riscontra fra i puritani del Seicento: il Lord Protector Cromwell (1599-1658) fece chiudere i teatri durante la sua tirannide e, per quanto riguarda la presenza di tale ostilità nel Nuovo Mondo, sentiamo La lettera scarlatta di Hawthorne, pubblicata nel 1850 ma ambientata nella Boston puritana del XVII secolo: "inutilmente si sarebbe immaginato di vedere quel popolo abbandonarsi ai divertimenti popolari che erano in uso in Inghilterra sotto la regina Elisabetta o sotto re Giacomo. Niente spettacoli teatrali, né musiche di sonatori ambulanti, né canzoni di menestrelli, né trucchi di giocolieri, né lazzi di saltimbanchi. Il fondo del carattere di questa gente - s'è detto - era triste, e tutti questi professionisti dell'allegria sarebbero stati scacciati non soltanto dalla legge, ma dal sentimento popolare che conta assai più della legge"[8]. Sulla protagonista del romanzo una donna bella e fine, marchiata e messa al bando da questa gente tetra, torneremo più avanti.
Ora torniamo però alla componente combattiva, o almeno agonistica, che dai ludi circensi si riflette nei cercatori di incontri amorosi, e che sembra comunque riguardare ogni rapporto erotico.
"Eros si associa a Eris, Lotta, quella Eris che Esiodo, nelle Opere e Giorni , colloca "alle radici della terra" (v. 19)"[9].
Anche nel grande amore di Anna Karenina e Vronskij a un certo punto entra la cattiva Eris, ossia lo spirito della competizione distruttiva dovuta al fatto che lui era in allarme per la propria autonomia minacciata dall'amante; ella a sua volta:" sentì che, a fianco dell'amore che li univa, fra loro si era insediato un certo malvagio spirito di dissidio e che lei non poteva scacciarlo dal cuore di lui, né, ancor meno, dal proprio"[10]. Perfino le espressioni di approvazione diventano sospette e allarmanti quando l'amore, in uno solo dei due, è in fase calante:" C'era qualcosa di offensivo nel fatto che egli avesse detto:"Questo sì che va bene", come si dice ai bambini quando smettono di fare i capricci; e ancor più offensivo era quel contrasto fra il tono di colpa che aveva lei e quello sicuro di sé di lui: e per un istante Anna sentì sollevarsi dentro di sé il desiderio di lotta; ma, fatto uno sforzo su se stessa, lo soffocò e accolse Vrònskij con la stessa allegria di prima" (p. 746). Tuttavia la simulazione non regge:" anche sapendo che si rovinava, non poté non fargli vedere quanto lui avesse torto, non poteva sottomettersi" (p. 747),
Capita spesso, quasi sempre purtroppo, che gli amanti diventino nemici.
Nel melodramma Le nozze di figaro di Mozart-Da Ponte (del 1786) Marcellina in un'aria (IV, 5) lamenta l'ostilità degli uomini verso le donne. Sono gli unici maschi del mondo a odiare le femmine della loro specie:" Il capro e la capretta/son sempre in amistà./L'agnello all'agnelletta/ la guerra mai non fa./ Le più feroci belve/per selve e per campagne/lascian le lor compagne/in pace e in libertà./ Sol noi, povere femmine,/che tanto amiam quest'uomini/trattate siam dai perfidi/ognor con crudeltà".
In D'Annunzio la donna non poche volte è la nemica, come Ippolita Sanzio lo è di Giorgio Aurispa nel Trionfo della morte (del 1894) di cui cito la conclusione :" Fu una lotta breve e feroce come tra nemici implacabili che avessero covato fino a quell'ora nel profondo dell'anima un odio supremo. E precipitarono nella morte avvinti".
Cito anche, per dare un esempio meno noto, alcuni versi di una poesia, di uno dei massimi poeti ungheresi del Novecento, Endre Ady (1877-1919):" Sono le nostre ultime nozze:/Ci strappiamo la carne a colpi di becco/e cadiamo sul fogliame d'autunno" ( Nozze di falchi sul fogliame secco) [11].
Fa rabbrividire, forse perché non è del tutto falsa, una sentenza tragica del misogino suicida C. Pavese"Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco"[12]. E pure, con un pessimismo meno esteso ma più personalizzato:"Sono tuo amante, perciò tuo nemico"[13]. Più avanti c'è invece una riflessione cosmica che può spiegare questa ostilità interna alla coppia:" Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sé, quella che si è superata, Zeus contro Tifone, Apollo contro il Pitone. Inversamente, ciò contro cui si combatte è sempre una parte di sé, un antico se stesso. Si combatte soprattutto per non essere qualcosa, per liberarsi. Chi non ha grandi ripugnanze, non combatte"[14].
Il suicidio è la conseguenza di tale impostazione contro natura poiché gli umani, e soprattutto le femmine e i maschi umani dovrebbero provare simpatia e amore reciproci, come affermava Seneca :" Natura nos cognatos edidit cum ex isdem et in eadem gigneret. Haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit ". (Epist. ad Luc. 95, 52), la Natura ci ha messi al mondo come parenti, siccome ci ha fatti nascere con gli stessi elementi e per gli stessi fini. Questa ci ha ispirato un amore reciproco e ci ha fatti socievoli. Innaturale è dunque l'odio tra gli uomini; innaturalissimo quello tra i maschi e le femmine umane.
Il medico del Macbeth, vedendo la regina malata e udendola sussurrare parole orrende, fa la sua diagnosi:"Unnatural deeds Do breed unnatural troubles" (V, 3), atti innaturali generano turbamenti innaturali. Innaturale qui è stato il delitto generato dall'ambizione.
Un bel frammento di Menandro ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che in natura "niente è tanto congeniale come l'uomo e la donna, a guardarci bene". Come poeta d'amore il massimo autore della commedia nuova[15] non può trascurare o biasimare tale inclinazione reciproca.
L'inimicizia delle donne nei confronti degli uomini ha avuto, almeno in passato, la genesi che Seneca attribuisce a quella degli schiavi per i padroni:"non habemus illos hostes, sed facimus (Epist. ad Luc. , 47, 5), non li abbiamo nemici, ma li rendiamo tali.
C'è un romanzo di M. Kundera, non uno dei più conosciuti, che ha un breve capitolo intitolato "La lotta"; ed è lotta tra i sessi che viene presentata così:" Neanche lei pensava al piacere e all'eccitazione. Si diceva: non ti lascerò, non mi scaccerai, lotterò per tenerti. E il suo sesso che si muoveva su e giù si era trasformato in una macchina da guerra che lei aveva messo in moto e guidava. Si diceva che quella era la sua ultima arma, l'unica che le era rimasta, ma onnipotente. Al ritmo dei suoi movimenti ripeteva fra sé, come il basso ostinato in una composizione musicale: lotterò, lotterò, lotterò, e credeva di vincere...Il sesso di Laura si muoveva con forza su e giù. Laura lottava. Lottava per Bernard. Ma contro chi? Contro colui che stringeva a sé e poi di nuovo respingeva, per costringerlo ad assumere un'altra posizione. Questa ginnastica estenuante sul divano e sul tappeto, che li bagnava di sudore, che li lasciava senza fiato, assomigliava alla pantomima di una lotta spietata: lei lottava e lui si difendeva, lei dava ordini e lui ubbidiva"[16].
Pesaro 20 agosto 2023 ore 11, 58
giovanni ghiselli
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[1]G. B. Conte, (a cura di) Scriptorium Classicum 2, p. 166.
[2] G. Chiarini La rappresentazione teatrale in Lo spazio letterario di Roma antica, volume II, p. 162.
[3]G. B. Conte, (a cura di) Scriptorium Classicum 2, p. 165.
[4]Se ne ricorderà Valerio Flacco (I sec. d. C.) che negli Argonautica definisce saevus l'amor che incalza (urget ) Medea spingendola verso Giasone (VII, 307-308).
[5] G. Flaubert, Madame Bovary, p. 177.
[6] Leggi, 701a
[7]Nietzsche, Di là dal bene e dal male, p. 26.
[8] N. Hawthorne, La lettera scarlatta, p. 180.
[9]J. P. Vernant, Tra mito e politica , p. 136.
[10]L. Tolstoj, Anna Karenina (del 1877) , p. 711. 95 Trad. it. Lerici, Milano, 1964.
[12]Il mestiere di vivere , 9 settembre 1946.
[13] Il mestiere di vivere ,18 novembre 1945.
[14]Il mestiere di vivere, 28 dicembre 1947.
[15] "Fabula iucundi nulla est sine amore Menandri", nessuna commedia del piacevole Menandro è senza amore, ricorda Ovidio (Tristia , II, 369).
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