NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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martedì 1 agosto 2023

Giri ciclistici nell’Ellade. VI parte

Epidauro, Piccolo teatro
Il quinto giorno, 21 luglio, abbiamo dovuto cambiare albergo perché il nostro solito  era tutto prenotato da tempo. Ho puntato su un povero ostello dal nome però attraente: Elena. Non è nemesi pensai. Tuttavia ero avvilito poiché non stavo bene: avevo la frequenza  cardiaca accelerata dai consueti 56 battiti a 77 ogni minuto: temevo di essermi sciupato il cuore.
La sera abbiamo visto uno spettacolo nel piccolo teatro di Epidauro sul mare. Era un presunto rifacimento dei Sette a Tebe di Eschilo, un pastrocchio invero, piuttosto noioso pure se breve.
Andando a dormire ho pregato Dio, chiunque egli sia: “redde me meo Ioanni”, rendimi al Giovanni che sono. I battiti cardiaci erano sempre troppi. “Se perdo la salute - pensai - sono completamente perduto”. 
  
Viaggio in Grecia dell’agosto 1981
Torniamo alla sera dell’arrivo da Patrasso ad Atene. Il dialogo del risentimento nell’albergo diAtene
Dopo una ricerca lunga e faticosa, sul far della notte trovammo una camera in un albergo del centro, modesto, adatto alle mie possibilità finanziarie ma pulito e non disameno del tutto. Ifigenia era taciturna e più passiva del solito. Le feci notare che avevamo finito le dracme, e siccome non accettavano il pagamento in lire italiane, dovevamo andare a cambiarle prima della chiusura di tutti gli uffici, altrimenti fino al giorno seguente non si mangiava e già avevamo saltato il pranzo. Bisognava sbrigarsi perché erano quasi le otto.
Mentre dicevo queste parole, non senza del nervosismo, lo ammetto, la bella donna si pettinava davanti a uno specchio piena di ammirazione per la propria immagine con un’espressione languida e compiaciuta. Insomma non sembrava curarsi di quanto le stavo dicendo. Io la informavo siccome avrei voluto che partecipasse alla soluzione del problema che la riguardava perché, ne ero certo, se non avessimo potuto mangiare dopo diverse ore di inedia, si sarebbe infuriata come un’Erinni, o al pari di Cerbero.
Tanto più che nell’aria già aleggiava il rancore.
Ero seccato perché avevo dovuto cercare l’alloggio senza alcuna collaborazione di Ifigenia che anzi aveva trovato da ridire sul fatto che la stanza non era arredata abbastanza signorilmente.

E’ una lamentela che nelle gite scolastiche fanno gli allievi di estrazione socialmente più bassa: vogliono mostrarsi abituati al lusso. Una volgarità che mi ha sempre irritato.
Negli anni seguenti avrei girato la Grecia in bicicletta con due amici maschi e un’amica femmina di famiglia potente e ricca: mai che nessuno si sia lamentato degli ostelli o delle bettole. 
La mancanza di stile dell’infima borghesia mi ha sempre irritato. E’ quella che ha fatto il fascismo e ora vota la destra.
Voglio ricostruire il dialogo drammatico che ci fu quella sera tra noi, riferendo, se la memoria mi aiuta, fin le parole violente nelle quali scaricammo tutta l’ira e il risentimento repressi nei giorni di questo drammatico, tragicomico viaggio.

Gianni (è seduto sul letto. Guarda Ifigenia con ostilità. Parla con nervosismo) Stammi bene a sentire Ifigenia. Sto ruminando delle preoccupazioni che devo farti sapere. Abbiamo finito le dracme. Dobbiamo cambiare le lire, se vogliamo mangiare: i soldi italiani non li prendono nei ristoranti. Io ho fame (guarda l’orologio). Sono quasi le otto. Usciamo per vedere se troviamo un ufficio di cambio ancora aperto in piazza Omonoia. Se no, ci tocca digiunare e non ne abbiamo bisogno. Scendiamo subito e chiediamo al portiere dove sia possibile cambiare i soldi.
Ifigenia (si pettina davanti allo specchio contemplandosi compiaciuta. Non ha cambiato espressione mentre Gianni parlava né ha mostrato alcun interesse alle sue parole) Davvero? E’  Possibile?
Gianni (con nervosismo accentuato, senza riuscire a dissimulare l’ira accumulata) Puoi darmi una mano o devo andare da solo a cercare le dracme mentre tu ti fai bella?
Ifigenia (sempre ammirando la propria immagine e senza degnare lui di uno sguardo
Mouria, Epidauro
) Non vedi che ho da fare?

Gianni (con sforzo evidente riesce acambiare tono: ne assume uno faticosamente calmo. Vuole apparire razionale) Se sei stanca di questo viaggio, possiamo tornare indietro anche subito: tra un’ora parte la corsa nottuna per Patrasso e magari i due bruti non sono di turno.
Ifigenia (Si volge di scatto, lo guarda con occhio cattivo e gli parla con tono aggressivo) Anzi, prendiamo addirittua l’aereo e torniamo a casa: ognuno alla sua. Posso sapere che cosa altro tu vuoi ancora da me?
Gianni (con irruenza, sfogando un risentimento covato e dissimulato a lungo) Voglio che tu una buona volta la smetta con il tuo parassitismo narcisistico: non puoi venire in giro con me soltanto per guardarti e farti guardare: tu devi collaborare, devi aiutarmi. Lo vuoi capire o no che non hai più l’età della spensieratezza totale?
Ifigenia (guardandolo con odio e disprezzo) Tu non sei mica normale!
Gianni: Che cosa vuoi dire?
Ifigenia: “E tu che cosa vuoi da me, che cosa vuoi fare di me? Mi sto sistemando dopo diversi giorni di bicicletta e tre ore di corriera. Puoi lasciarmi in pace per qualche minuto? La fretta ansiosa che ti perseguita , tiella per te: fatti divorare il cervello tu solo dalle tue malattie!
Gianni (guarda l’orologio con ostentazioneTu non hai ascoltato o non hai capito quanto ho detto: sono passate le otto, il cielo è quasi buio e già ora rischiamo di non trovare nemmeno uno sportello aperto. Per giunta abbiamo fame, necessitiamo di cibo e siamo senza denaro greco per pagare la cena. Tu certo te la prenderai con me se resteremo a denti asciutti quando avrai adocchiato cibi gustosi ma noi non avremo il denaro necessario per pagarli. Qui senza dracme non si mangia. Dunque dobbiamo cambiare le lire e affrettarci perché di notte gli uffici chiudono e, se non lo hanno già fatto, lo faranno a momenti. Quindi devi sbrigarti. Ti fai bella dopo, no?
Poi, se vai in cerca di complimenti, sei bella comunque. Anzi, sei bellissima, altrimenti figurati se ti sopporterei. E visto che abbiamo fame, ricorro a una metafora culinaria per elogiarti: tu saresti un boccone degno di un re, come Cleopatra ancora giovane per Giulio Cesare: a morsel for a monarch[1]. Io non sono Cesare, nemmeno Antonio sono che ereditò l’avanzo freddo di quel cibo sul tagliere di Cesare. Io non sono nessuno e non ti merito, ma ora un boccone magari caldo, vorrei poterlo addentare
Ifigenia (con una smorfia di disgustoTu sei solo un buffone e i tuoi complimenti, i tuoi omaggi da pagliaccio quale sei, vai a farli alle sguattere delle osterie dove vai a rimpinzarti come un maiale
Gianni solleva la maglietta e mostra la vita da torero con aria stupita e interrogativa.
Sicché Ifigenia rincara la dose
Maiale sì, suino mentale, porco nell’anima sei.
Tu, vecchio lurido ingordo, ce l’hai con me per altri motivi; qualche cosa che ti ha dato fastidio ma non vuoi dire perché sei falso più di Giuda. Sono quasi sicura che l’orrenda cagnara ululata nella corriera ti ha fatto pensare che non dovrei girare in calzoncini. E pure che se fossimo venuti in bici come pretendevi, da negriero quale sei, quella scena spiacevole l’avremmo evitata.
Avresti voluto arrivare fino a Olimpia per pregare i tuoi dèi che non ti ascoltano, come vedo. Se volevi girartela tutta da solo questa tua patria ideale che ti respinge, non dovevi invitarmici.
Tu sei irrazionale, anzi sei pazzo!
Gianni: Ah sì, l’irrazionale sarei io?
Ifigenia Sì proprio tu, e molto più di me, anche se ti adoperi in continuazione per dissimularlo. Tu reciti la parte dell’uomo buono, colto, intelligente, ma quando non fai il maiale sei una scimmia che ripete per lo più idiozie imparate da altri matti. Io vorrei fare l’attrice, ma sui palcoscenici; tu reciti in ogni momento della tua vita per nascondere le tue debolezze miserande e i tuoi fallimenti. Ora so che perfino i tuoi ardori erotici erano recite. Recitate bene, per carità, però non sentite, non vissute con il cuore pulito né con una testa equilibrata.
Tu hai degli abissi di follia dentro di te e devi stare sempre in guardia, in allarme, armato da paracadutista,  per non caderci dentro a capofitto. Nei tuoi baratri interni hai le donne di casa tua che ti hanno terrorizzato quando eri bambino e ti spaventano ancora: ti abbaiano contro, ti graffiano l’anima e devi sempre stare in guardia perché non te la squarcino. A volte perdi il controllo di quelle furie: allora si sentono ringhiare e latrare tutte insieme nella tua voce alterata: allora la tua faccia solitamente atteggiata a bella, buona, colta, rivela il ceffo maligno sotto la maschera della civiltà. La tua continua esaltazione del logos accordato con il pathos è un tentativo malriuscito di modificare il tuo carattere congenito, poi peggiorato dall’ambiente. Tu non hai dentro del pathos: sei del tutto incapace di amare donne che non siano tua madre e le tue zie, e non hai nemmeno il logos: non riesci a venire fuori con l’intelligenza dal labirinto di pazzia dal quale  sei uscito soltanto con il corpo quando sei venuto a studiare a Bologna. Studiare senza capire. Con l’anima sei ancora chiuso, in castigo, al buio nella casa di Pesaro, la moribunda sedes Pisauri cui appartieni.
Gianni (ha ascoltato le parole di Ifigenia con attenzione e le risponde con tristezza e calmaC’è qualche cosa di vero in quanto hai appena detto. La parte squilibrata del mio carattere però l’ho ereditata, non me la sono scelta, anzi non mi piace per niente e cerco di rifiutarla: ne ho il diritto e spero di averne anche la forza. Come ho avuto quella di migliorare il mio aspetto che di per sé era piuttosto modesto, ma poi con la volontà e l’ascesi indefessa l’ho reso piacente fino a piacere a una donna della tua levatura, Ifigenia, una femmina umana che un tempo non avrei nemmeno osato guardare in faccia. Con una disciplina costante, con un esercizio continuo di logica e di morale, spero di migliorare anche il mio carattere, di renderlo accettabile e piacente prima di tutti a me stesso, poi a quelli cui voglio piacere. Il mio caos interno io non mi accontento di nasconderlo o reprimerlo: voglio superarlo esteticamente e moralmente. Intorno ai ventanni, appena uscito dalla casa di Pesaro, l’irrazionalità mi devastava il cuore, la mente e l’aspetto, ma poi ho reagito, ho reagito bene, e se non ho ancora conseguito una vittoria definitiva, è pure vero che con il tempo ho trovato un metodo e il modo di tenere sotto controllo la pars destruens che è dentro di me. Tu invece dalla tua ti lasci ancora travolgere fino a commettere errori madornali che possono compromettere la tua crescita e la tua felicità
Ifigenia Quanto dici sul mio conto è arbitrario e del tutto falso. Quando è che mi sarei comportata in maniera irrazionale e distruttiva secondo te?
Gianni Ogni volta che hai rovinato la nostra intesa dei primi tempi con la tua incapacità di controllare i tuoi istinti peggiori.
Ifigenia Tu dai i numeri. Numeri del tutto falsi. Quali episodi immagini e rimugini con la tua mente malata?
Gianni. Penso all’estate del ’79 quando non hai capito niente di quanto avresti dovuto fare secondo logica, secondo morale, secondo il buon gusto e pure secondo il tuo interesse. Non hai capito quando non mi hai mandato l’espresso che mi avevi pomesso e preannunciato con un telegramma: non hai capito che in seguito a quella grave inadempienza avresti perduto ogni credito da parte mia; non sei stata in grado di capire dopo nove mesi passati con me che non sono il tipo d’uomo cui si può spergiurare senza perderne tutta la  stima; non hai capito che ti screditavi ai mie occhi quando sulla spiaggia di Pesaro mi tiravi la sabbia in faccia perché non assecondavo tutte le tue capricciose prestese. Tu sei troppo egocentrica per metterti nei panni altrui, di sentire i sentimenti di quelli che ti vogliono bene almeno finché non arrivi a disgustarli.
Ifigenia (con sarcasmi irosi) Proprio tu vieni a parlarmi di comprensione dei sentimenti. Quale considerazione avevi tu, gianni, dei miei, quando io ti amavo come in un bel sogno e tu mi parlavi delle tue ex amanti, o lasciavi che le tue zie mi giudicassero male perché venivo a Pesaro con te senza che fossi tua moglie e senza avere alle spalle una famiglia facoltosa con tanto di dote cospicua da attribuire alla figliola?
Dopo l’estate, quando io non avevo ancora compiuto venticinque anni  e non volevo più insegnare né sapevo cosa fare della mia vita, e avevo ancora bisogno di te, tu, spaventato da queste mie difficoltà, ti sei innamorato della supplente venuta al mio posto, e hai smesso di prenderti cura di me, dopo che ti eri cavata la voglia di me, ebbene dove avevi messo allora la tua onestà, la tua integrità di uomo probo, i tuoi doveri morali? Ma fammi il piacere!
Oltretutto mentivi. Dicevi di amarmi mentre eri innamorato di quella zitellina perché era vergine e di famiglia borghese. E perché con l’aspetto ti ricordava tua sorella, tua madre, le tue zie e il tuo torbido attaccamento alle tue consanguinee. Dicevi addirittura che assomigliava a te. Certo, una similitudine essenziale per il tuo narcisismo. Venivi ancora a letto con me senza il desiderio di prima perché progettavi di sposare quella bigotta che nemmeno ti contraccambiava ma si lasciava corteggiare mirando solo al proprio tornaconto. Le ultime parole sono state dette con pathos dolente, quasi piangendo.
Gianni (con aria afflitta) Non stai esagerando Ifigenia? Non ho mai fatto orge dionisiache con lei come con te quando anche i sacerdoti santi benedicevano la nostra lussuria che faceva onore grande agli dèi. Con quella zitellina di Fano non ho mai fatto festini mostruosi né pii.
Ifigenia No, non sto esagerando. Durante tutto il secondo anno tu mi evitavi pensando che passare il tempo con me fosse sciuparlo perché voleva dire sottrarlo alla preparazione delle lezioni con cui volevi acquistare onorata rinomanza nel liceo classico della città e in tutta Bologna. Allora, mentre io soffrivo, tu non capivi che facevi una serie di errori: perdevi più di quanto volevi acquistare. Te ne sei accorto più tardi, troppo tardi: quando io, non potendone più di soffrire, ho smesso di amarti: ho cominciato a provare interesse per altri uomini; allora hai coninciato a patire tu e a capire qualche cosa attraverso la sofferenza tua. Della mia non ti eri mai curato. Il dolore che ho dovuto infliggerti per difendere me stessa, soltanto il dolore ti ha reso meno immorale e più razionale, non la tua intelligenza né la tua probità.
Gianni (sempre triste e calmo) Sì, c’è molto di vero in quello che dici. Tu in effetti mi hai reso migliore prima con la bellezza e la gioia, poi con il dolore. Per questo ti amo. E’ anche vero però che quando ho cercato stimoli in altre colleghe o negli scolari, l’ho fatto perché tu non me ne davi più: mi annoiavi, mi disturbavi con parole insipide e atti insignificanti. Tra noi non poteva continuare in quella maniera: tu anzi mostravi quel vuoto perché io ti dessi una lezione. Non potevo approvarti: ti avrei nuociuto davvero.
Comunque ora scusami Ifigenia, ma proprio non c’è più tempo di parlarne. Sono già le otto e venti ed è buio. Andiamo subito a cercare le dracme, poi a mangiare. Io muoio di fame, tu anche, suppongo, e credo che parte del nostro nervosismo derivi dalla denutrizione.
Ifigenia. Va bene. Tanto più che non abbiamo altro da aggiungere.

Dopo avere coperto le nostre nude scelleratezze con stracci consunti, uscimmo di corsa. Seguendo le indicazioni dateci dal portiere andammo a cambiare le lire in una strana banca ipogea aperta fino alle ventidue.
Quindi facemmo una pace precaria. Ci diede argomenti comuni e una schiarita all’umore il cibo gustoso preparato e servito da un cuoco epicureo di ottimo umore. Poi andammo nel teatro di Erode Attico situato sotto l’acropoli e la luna che la rischiarava. L’orchestra suonava la musica rasserenante di Mendelsshon. Questa fu il secondo alimento che ristorò le nostre persone sfinite dalle schermaglie di amanti falliti. Sicché potemmo tornare nell’albergo e metterci a letto abbastanza concordi per augurarci la buona notte con carezze e sorrisi. Tuttavia evitammo di fare del sesso. Ci sapeva di ybris che prima verdeggia poi dà per frutto una spiga di acciecamento che, appena falciata, dà una messe di lacrime[2].    
 
Pesaro primo agosto 2023 ore 11, 49 
giovanni ghiselli

p. s.
Sempre1393464
Oggi54
Ieri165
Questo mese54
Il mese scorso6870
 
 


[1] Cfr. Shakespeare, Antonio e Cleopatra, I, 5, 29-31.
[2] Cfr. Eschilo, Persiani, 821-822.

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