La Gelosia e l'invidia "sguardo obliquo"[1].
La necessità dolorosa di dominare Odette era attivata dalla gelosia di Swann. Questa, che fa sempre parte della malattia d'amore, è descritta come un mostro edace il quale ricorda da lontano quello di Shakespeare: "il mostro dagli occhi verdi che deride il cibo di cui si pasce"[2].
Swann la sentiva "quasi che avesse avuto una vitalità indipendente, egoistica, vorace di tutto quanto l'alimentasse" (p. 300). Essa era "come una piovra che getta un primo, poi un secondo, poi un terzo tentacolo" (p. 301). E in un volume successivo:"La gelosia, avendo gli occhi bendati, non solo è incapace di scoprire alcunché nelle tenebre onde è avvolta; è, inoltre, uno di quei supplizi nei quali si è costretti a ricominciare senza posa il proprio lavoro, come quello d'Issione o delle Danaidi"[3].
Simile a questa gelosia l'invidia descritta dalla Zambrano come morbo sacro:"Alcune di quelle che vengono comunemente chiamate passioni, come l'invidia, distruggono l'essere che le patisce e che, allo stesso tempo, riceve vigore da esse. Chi è roso dall'invidia trova in essa il suo alimento. Una distruzione che alimenta se stessa; tale sembra essere la prima, originaria, definizione dell'invidia…La maniera più benevola di indicare l'invidia potrebbe essere avidità "dell'altro"…Avidità dell'altro potrebbe essere ugualmente la definizione dell'amore…l'amore …è, come l'invidia, un tormento che si alimenta di se stesso. Amore e invidia sono processi dell'anima umana in cui il patire non provoca nessuna diminuzione; il patire è il loro alimento"[4].
La follia dell'innamorato, come l'intelligenza, è intermittente, e talora Swann poteva essere lucido, almeno nelle parole, e dire a Odette:"Sei dell'acqua informe che scorre a seconda della china, un pesce immemore e senza pensiero che, finché vive nel suo acquario, cozzerà cento volte ogni giorno nel vetro, seguitando a scambiarlo con l'acqua" (p. 308). Provava con questo a dirle che avrebbe potuto cessare di amarla, ma Odette di intrighi amorosi se ne intendeva e "la sua esperienza degli uomini le permetteva di concludere, senza fermarsi ai particolari delle parole, che non le avrebbero proferite se non fossero stati innamorati, e che, poiché erano innamorati, era inutile obbedir loro, che lo sarebbero stati ancor di più dopo" (p. 309). Eppure questa malattia è anche sensibilità e vita, come per il poeta d'amore la sua schiavitù morbosa è la condizione necessaria alla poesia. Swann:"esaminando il suo male con sagacità non minore che se lo fosse incollato per studiarlo, si diceva che se se lo fosse inoculato per studiarlo, quel che faceva Odette gli sarebbe stato indifferente. Ma, in seno al suo stato morboso, a dir vero, temeva come la morte simile guarigione, che difatti sarebbe stata la morte di tutto ciò ch'egli era al presente" (p. 318).
L'amore come sofferenza e malattia risalle alla poesia greco-latina.
Archiloco è il primo poeta che dà voce alla pena amorosa:"
"infelice giaccio nella brama,/senza vita, trapassato attraverso le ossa/da duri spasimi per volere degli dèi"(fr. 104 D.).
In Archiloco il desiderio erotico diviene acuminato quanto un coltello appuntito, e il sentimento amoroso si avvicina al senso di morte, come sarà in Saffo che esprime lo smarrimento e la debolezza infusi da Eros.
Vediamo alcuni versi della poetessa di Lesbo.
Il fr.2 D. è la parte dell'ode conservata dall'Anonimo Sul sublime. del I secolo d. C. E' forse la poesia più nota di Saffo poiché è stata tradotta in latino da Catullo nel carme 51.
Cominciamo con il darne una traduzione italiana :
" Quello mi sembra pari agli dei/essere l'uomo che davanti a te/sta seduto e da vicino ti ascolta/dolcemente parlare/e sorridere amabilmente, cosa che a me certo/sconvolge il cuore nel petto:/ appena infatti ti guardo per un momento, allora non/è possibile più che io dica niente/ma la lingua mi rimane spezzata,/un fuoco sottile subito corre sotto la pelle,/e con gli occhi non vedo nulla e mi/rombano le orecchie/e un sudore freddo mi cola addosso, e un tremore/mi prende tutta, e sono più verde/dell'erba, poco lontana dall'essere morta/appaio a me stessa/ma bisogna sopportare tutto poiché...". Se traduciamo pa;n tovlmaton (= attico tolmhtovn) " tutto si deve osare" possiamo trovare in queste ultime parole del frammento saffico un'anticipazione del tolmhtevon tavd j della Medea di Euripide (v.1051).
La traduzione "sopportare" invece possiamo commentarla con la Medea della Wolf:"Non sapevo che cosa è capace di sopportare un essere umano. Ora me ne sto qui seduto e sono costretto a dirmi che proprio su questa capacità di sopportare l'insopportabile e tuttavia continuare a fare ciò che si è abituati a fare, proprio su questa sinistra capacità si fonda la stabilità del genere umano"[5].
A proposito del frammento chiamata "La cosa più bella" (fr. 16 LP) si è detto che Saffo costituisce anche l'archetipo delle rivendicazioni femminili.
Apollonio Rodio imita piuttosto il frammento 2D citato sopra nel descrivere l'incantamento di Medea
Il cuore della ragazza si agita. come guizza e vibra un raggio di sole nell'acqua appena versata in un vaso (Argonautuche III, 756 sgg.). Quando poi vede Giasone, egli sembra Sirio che si leva in alto sopra l'Oceano: sorge nitido e bello, eppure porta infinite sciagure alle greggi; così Giasone le portava il travaglio di una passione angosciosa (III, 957 e sgg.).
Subito dopo vengono descritti gli effetti d'amore in maniera saffiana: il cuore le cadde dal petto, le si annebbiarono gli occhi, un caldo rossore le invase le guance, non poté alzare le ginocchia né avanti né indietro, i piedi sotto erano come inchiodati ( ejk d’ a[ra oiJ kradivh sthqevwn pevsen…all j uJpevnerqe pavgh[6] povda~ III 963-965).
E' una descrizione più precisa e dettagliata ma la noncuranza spesso geniale, talvolta difettosa, dei grandi è comunque preferibile all'ineccepibile correttezza di Apollonio Rodio, come ha già detto l'Anonimo Sul Sublime .
L’Anonimo si chiede (10) dove stia la grandezza di Saffo e risponde che la poetessa "è straordinaria nello scegliere e connettere insieme i vertici e le tensioni massime" della pazzia amorosa.
Anche Leopardi, quando tratta di bellezza nello Zibaldone (pp. 3443-3444), cita, in greco, i vv. 5-6 di questo carme , dopo avere riportato questi della Canzone XIV di Petrarca ( Rime , CXXVI, 53-55): "Quante volte diss'io/allor pien di spavento/"Costei per fermo nacque in paradiso!".
Dicevo che il carme 51 di Catullo traduce questi versi fino al 12, quindi abbandona il modello, forse per un altro, operando così una contaminatio .
Diamo anche la traduzione dell'ode catulliana:"Quello mi sembra essere simile a un dio/quello, se non è una bestemmia, superare gli dei/l'uomo che sedendo di fronte continuamente ti/osserva e ti ascolta/mentre sorridi con dolcezza, il che a me infelice/porta via tutti i sensi: infatti appena ti vedo, Lesbia, non mi rimane nemmeno/un filo di voce in bocca/ Ma la lingua si paralizza, sotto le membra sottile/scorre una fiamma, e per un suono loro/squillano le orecchie, gli occhi si coprono/di una doppia notte./Lo stare senza far niente ti fa male Catullo:/stando senza far niente ti esalti e ti sfreni troppo./Lo stare senza far niente ha già mandato in rovina/ re e città opulente ".
Direi che le parole della poetessa greca sono più concrete non solo perché, come scrive Pavese "il realismo, in arte, è greco"[7], ma anche perché nella donna l'amore mancato, o la gelosia qual è in questo caso il motivo della pena, infligge maggiore sofferenza corporea; così l'amore appagato dà più gioia anche fisica al genere femminile.
Lo rinfaccia Giove a Giunone dopo avere ruzzato con lei, come si legge in un passo delle Metamorfosi di Ovidio considerato, anche da Eliot[8] "di grande interesse antropologico": Maior vestra profecto est/quam quae contingit maribus, dixisse, voluptas ", certo il vostro piacere, disse, è più grande di quello che tocca ai maschi (III, 320-321) . La dea non fu d'accordo, quindi decisero di chiedere il parere del sapiente Tiresia il quale era esperto di entrambi i sessi:"Illa negat ; placuit quae sit sententia docti/quaerere Tiresiae: Venus huic erat utraque nota, vv. 322-323). Il doctus confermò la tesi di Giove, a carissimo prezzo: la dea, adiratasi più del giusto, gli tolse gli occhi . Allora il padre onnipotente "pro lumine adempto/scire futura dedit" (vv. 337-338), per la luce perduta gli diede la preveggenza del futuro.
Il tovpo" è quello della cecità fisica che, come in Edipo, diviene lucidità e chiaroveggenza mentale. Il punto di partenza è il sesso.
Un altro frammento di Saffo rappresenta lo sconvolgimento causato dall'amore come una tempesta:" Eros mi ha squassato l'anima, come vento che nel monte si abbatte sulle querce" (fr. 50 D.). "L'immagine è singolare e pertinente: l'amore scuote Saffo come il vento scuote le querce, e il dato essenziale del paragone è che l'attacco è violento e fisico: la raffica improvvisa è simile al tipo di passione a cui ella si riferisce". Così Bowra[9], ma io credo che lo scuotimento sia prima di tutto mentale.
Amore come uragano e follia si trova successivamente nel frammento (6 D.) più famoso di Ibico (poeta magno greco, originario di Reggio) seconda metà del VI secolo): "in primavera firiscono i meli cotogni, alberi sacri ad Afrodite, irrigati dalle correnti dei fiumi dov'è il giardino intatto delle vergini, e i fiori della vite crescendo sotto i tralci ombrosi dei pampini sbocciano, ma per me Eros rimane sveglio e tormentoso. Come Borea tracio bruciante sotto la folgore, egli avventandosi dalla parte di Cipride con aride follie, oscuro e impudente, con prepotenza e senza tregua fa la guardia al mio cuore".
"Questa visione di Eros divinità terribile per la follia che provoca nella vita umana, magico potere che impone all'uomo una condotta a lui estranea, trovava forse consonanze (non ancora rilevate dalla critica) nella cultura tardo arcaica, se Simonide poteva rappresentare la passione d'amore come assillo (oi\stro") di Afrodite, come divino potere ossessivo capace di limitare in chi ne è posseduto la possibilità di essere valente nei termini dell'etica aristocratica dell' ajgaqov".
Di qui l'avvio verso opinioni, che diverranno correnti nella cultura del IV secolo, di Eros demone distruttore da temersi per le catastrofi che suscita con le folli passioni, o dell'amore come malattia, come elemento negativo della fuvsi", o come fatto dell'io irrazionale. La struttura del frammento si articola nell'antitesi tra la figurazione realistica di un giardino sacro alle ninfe, fiorente nel lieto rigoglio di primavera, e il destino del poeta custodito senza tregua da un Eros ardente e tempestoso come l'invernale vento di Tracia"[10].
L'assillo potente di Afrodite tessitrice di inganni in Simonide è una delle cause (con la brama di guadagno e quella delle contese) che possono impedire all'uomo di essere valente.
L' assillo che tormenta come persecuzione amorosa si trova anche in Eschilo: nel Prometeo incatenato la fanciulla Iò bramata da Zeus e trasfigurata in mucca (v. 588) , viene punta, perseguitata da un assillo (oi\\stro" , v. 566) e fissata dallo sguardo del pastore Argo dai diecimila occhi(v. 569).
Dostoevskij attraverso Dimitri Karamazov interpreta lo struggente desiderio amoroso come una tempesta nel sangue:"Sono tempeste, perché la lussuria è una tempesta più di ogni altra". Tali perturbazioni sono scatenate dalla bellezza:"La bellezza è una cosa terribile, una cosa spaventosa. E' terribile perché è indefinibile, e non si può definirla perché Dio l'ha circondata di enigmi"[11].
Pesaro 27 agosto 2023 ore 18, 31 giovanni ghiselli
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[1] M. Zambrano, L'uomo e il divino, p. 262.
[2]Otello , III, 3.
[3] M. Proust, La prigioniera, p. 151.
[4] L'uomo e il divino, pp. 256 e 257
[5] Medea , p. 211.
[6] Aor. passivo di phvgnumi, “fisso”. Cfr. lat. pango, ficco, pianto
[7] Il mestiere di vivere , 29 settembre 1946.
[8] In nota al v. 218 di The Waste Land (I Tiresias, though blind, throbbing between two lives , io Tiresia, sebbene cieco, pulsando tra le due vite) dove l'autore spiega che "i due sessi si incontrano in Tiresia. Ciò che Tiresia vede, infatti è la sostanza del poema". Quindi cita i vv. 320-338 del III libro delle Metamorfosi .
[9]La lirica greca da Alcmane a Simonide , p. 264.
[10]G. Perrotta-B. Gentili, Polinnia , p. 299.
[11]I fratelli Karamazov , p. 160.
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