Percorso sull’amore
Il cultus, la cura dell’aspetto, il gusto del lusso e la crisi dell’agricoltura.
A proposito dell'Ars Amatoria , La Penna cita "forma sine arte potens " (III, 258), la bellezza è una potenza senza artifici, tuttavia, fa notare, "tutta l'opera si colloca al di là della natura, dell'istinto, anche della sensualità, ed esalta l'efficacia dell'usus e del cultus . Grazie all'usus le donne non più giovani perpetuano il loro fascino (Ars II 675 sgg.) e vincono la lotta contro il tempo inesorabile (II, 677): Illae munditiis annorum damna rependunt ", quelle con l'eleganza compensano i danni del tempo.
Ovidio aggiunge che con i trattamenti di bellezza le donne attempate fanno in modo di non sembrare vecchie:"et faciunt cura, ne videantur anus " (II, 678). E' anche l'usus del resto, l'esperienza, che rende appetibili le non più giovanissime:"utque velis, Venerem iungunt per mille figuras:/invenit plures nulla tabella modos" (679-680), e, purché tu lo voglia, fanno l'amore componendo mille figure; nessun quadro ha trovato più posizioni.
Certamente si potrebbe contrapporre a queste anus restaurate e navigate la vecchia signora di Pirandello la quale "coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili" fa ridere con l'avvertimento "che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere"[1]. Questo dell'anziano spennellato e miserevole è un vero e proprio tovpo" pirandelliano: si trova pure nella signora Popònica delle pagine iniziali dell'Esclusa e nella poesia Dal fanale a proposito di un vecchio che "nero-rossi, qual pel di faina,/si ritinge i capelli" come fanno quelli che danno la tinta "al canuto, imbecillito affetto/della vita".
Ma Ovidio quando scrive l'Ars Amatoria non è così intristito. "La trattazione del libro dedicato alle donne", il terzo, "incomincia, dopo il lungo proemio, con una specie di inno al cultus (Ars III 101-128). Il passo è celebre...Senza cultus non avremmo i frutti della terra, il vino e le messi. La forma , la bellezza, è dono divino; è il cultus che dà la bellezza anche a chi non l'ha. Si obietta che le donne dei tempi antichissimi non ricorsero al cultus : è perché i mariti, duri soldati, erano rozzi, senza gusto. La rudis simplicitas caratterizzò la Roma arcaica; ma nunc aurea Roma est , e alla splendida Roma di oggi, coi suoi superbi edifici, corrisponde meglio il cultus . Si colloca qui la più esplicita professione di modernità lanciata da Ovidio (121 sg.) : Prisca iuvent alios, ego me nunc denique natum/gratulor: haec aetas moribus apta meis " [2], le anticaglie piacciano agli altri, io mi compiaccio di essere nato solo ora: questa è l'età adatta ai miei gusti.
E' un ribaltamento del mito dell'età dell'oro: il presunto "paese guasto" è più piacevole e gradito del "mondo casto"[3].
Anche all'inizio dei Medicamina faciei Ovidio proclama:"culta placent " (v. 7), piace ciò che è curato: i palazzi, la terra, la lana, le donne.
La Penna poi indica "qualche altro passo interessante del III libro dell'Ars dove la polemica contro il gusto arcaizzante ritorna in forma satirica. Ecco il quadro dell'incessus rozzo (303 sg.): illa, velut coniunx Umbri rubicunda mariti,/ambulat, ingentis[4] varica fertque gradus " (p. 189), quella cammina come la moglie rubiconda di un marito umbro, e procede a grandi passi a gambe larghe. E' questo un rusticus…motus (vv. 305-306) che fa scappare gli uomini (fugatque viros, v. 300).
La goffaggine dei movimenti ricorda la tanghera di Saffo la quale rimprovera un'allieva, forse Attis, di provare attrazione per una persona inelegante:
" Affascina la tua mente quale tanghera (ajgrwi?ti" ) che indossa una veste da tanghera/e non è capace di sollevare gli stracci sopra le caviglie?" (fr. 61 D.).
Lo stile eletto infatti è per Saffo il valore fondamentale, e senza questa base non può esserci bellezza né gioia, anzi c'è l'abisso dell'insignificanza. Aristocratica è la classe di provenienza di Saffo, aristocratica l'educazione impartita alle allieve, ma niente è nobile quanto la natura, la quale è più aristocratica di qualsiasi società feudale basata sulle caste.
Torniamo alla guida di La Penna:"Non è detto che Ovidio, rievocando questa moglie rubiconda dell'antico contadino umbro, pensasse, per contrasto, alla severa madre sabina rievocata da Orazio: certo il contrasto è gustoso. Ci sono nelle opere erotiche parecchi altri indizi più chiari di satira e parodia dell'arcaismo etico del regime augusteo...Qui non è il caso di entrare in dettagli; basta vedere come importanti motivi nazionali della poesia di regime sono distorti con elegante parodia. Per esempio, la discendenza dei Romani da Venere attraverso Enea, celebrata da Virgilio, serve per riaffermare che Roma è la città dove la dea dell'amore dispiega tutta la sua potenza (Ars I 60): mater in Aeneae constitit urbe sui [5].
Tra gli amanti infedeli è menzionato Enea, che causò la morte di Didone; e tuttavia egli "famam pietatis habet " (Ars III 39): giocosa polemica con Virgilio che aveva giustificato il suo pio eroe. Anche gli elogi del cultus vanno letti nel contesto della polemica libertina col regime...Con Augusto...la società romana guariva dalla crisi tornando al modello etico arcaico, caratterizzato dalla pietas , dall'industria , dalla limitazione dei consumi, ecc. Questa concezione "catoniana" della crisi e della sua soluzione veniva raccordata abbastanza bene con una concezione soteriologica e messianica di più vasta risonanza: ritorno dell'età dell'oro..." (Fra teatro, poesia e politica romana, p. 190).
Si può illustrare questa affermazione con alcuni versi dell'elegia programmatica di Tibullo (1,1):" Divitias alius fulvo sibi congerat auro/et teneat culti iugera multa soli,/quem labor adsiduus vicino terreat hoste,/Martia cui somnos classica pulsa fugent:/me mea paupertas vita traducat inerti,/dum meus adsiduo luceat igne focus./ Ipse seram teneras maturo tempore vites/rusticus et facili grandia poma manu;/nec spes destituat, sed frugum semper acervos/praebeat et pleno pinguia musta lacu. " (vv. 1-10), altri ammassi per sé ricchezza d'oro giallo e possieda molti iugeri di terra coltivata, ma lo spaventi un'ansia continua per l'avvicinarsi del nemico, e la tromba di Marte fatta suonare gli cacci il sonno: me il possesso di poco faccia passare una vita tranquilla, purché il mio focolare brilli di un fuoco sempre acceso! Io stesso pianterò tenere viti nella stagione opportuna da contadino e grandi alberi da frutto con mano esperta; e la speranza non mi deluda ma mi offra sempre mucchi di grano e mosto denso nel tino ricolmo.
-somnos…fugent: la mancanza di sonno può essere causata dalla guerra o dall'ambizione. Il tiranno è caratterizzato dall'insonnia. Edipo re vedendo il popolo di Tebe tormentato dice "Sicché non da un sonno, mentre dormivo, mi svegliate;/ma dovete sapere che molto io ho lacrimato di già/e molte strade ho percorso con gli errori della mente" (vv. 65-67). Il re è insonne non solo per la sollecitudine che il capo deve al popolo sofferente ma anche perché, al pari di Macbeth (II, 2), ha ucciso il sonno con i suoi delitti. Nell'Edipo a Colono (vv. 621-622) il protagonista vicino alla "consolazione metafisica" afferma che sarà il suo freddo cadavere a dormire.
Il sonno quale particella di morte
Nella tragedia di Shakespeare Macbeth dopo l'uccisione del re crede di sentire una voce che grida:"Sleep no more! Macbeth does murder sleep" non dormire più, Macbeth uccide il sonno "The death of each day's life, sore labour's bath, balm of hurt minds "(II, 2) , la morte di ciascun giorno della vita, bagno ristoratore dei travagli della vita, balsamo per le anime afflitte.
Espressioni non dissimili in Leopardi quando sostiene che senza questo ristoro non si sopporterebbe la vita:"Tal cosa è la vita, che, a portarla, fa di bisogno ad ora ad ora, deponendola, ripigliare un poco di lena, e ristorarsi con un gusto e quasi una particella di morte"[6].-
In questa poesia di Tibullo essere rusticus (v. 8) non è un difetto; non è nemmeno un ostacolo all'amore poiché più avanti il poeta contadino si trasforma in poeta innamorato (il passaggio avviene mediante l'immagine dell'abbraccio notturno con la sua donna al riparo dall'ostile mondo esterno, vv. 45-48). E, al v. 57, compare Delia.
“A lei il poeta consacra la propria esistenza, lasciando ad altri, in primo luogo al patrono Messalla, la gloria della guerra"[7].
Vediamo i versi dell'abbraccio nel luogo rustico e protetto:"Quam iuvat immites ventos audire cubantem/et dominam tenero continuisse sinu.//aut, gelidas hibernus aquas cum fuderit Auster,/securum somnos igne iuvante sequi " (I, 45-48), quanto mi piace udire dal letto i venti furibondi e stringere la signora dal morbido seno, Oppure, quando l'Austro tempestoso versa gelide piogge abbandonarsi senza preoccupazioni ai sonni favoriti dal fuoco. Ecco una rusticari gradevole.
Sul rapporto guerra-amore torneremo più avanti; ora notiamo che nella IV delle Heroides Fedra viceversa scrive a Ippolito che la grazia di Venere e la rusticitas sono inconciliabili:"si Venerem tollas rustica silva tua est " (v. 102), se togli di mezzo Venere la tua selva è selvaggia.
La Penna procede ricordando alcuni aspetti del dibattito svoltosi nel 195 a. C. sull'abrogazione della legge Oppia . Abbiamo già visto la posizione di Catone che si opponeva al lusso e alla libertas femminile da lui intesa come licentia (Livio, XXXIV, 2, 11-14).
"Il dibattito dei tempi di Catone non era certo inattuale nella Roma augustea, e ciò avrà pesato nell'indurre Livio a dargli tanto rilievo. L'etica del principato, come tutti sanno, ostentava una certa ispirazione catoniana; essa si riconosceva bene nel comportamento che Sallustio...attribuiva agli avi (Cat. 9. 2):" in suppliciis deorum magnifici, domi parci "[8].
Ma la stessa età augustea offriva anche, in teoria, senza parlare della realtà, modelli etici diversi: proprio uno dei maggiori artefici del regime, Mecenate, si presentava e veniva presentato come l'uomo tanto energico nella vita pubblica quanto ben disposto agli agi e ai piaceri nel meritato ozio che succede e precede le fatiche dello stato...In modo sottile, brillante, dunque, Ovidio cancella il ritorno ai prischi costumi; e implicitamente cancella...l'interpretazione della storia romana dopo le guerre puniche come un processo di decadenza. Il cultus , anche se accordato con lo splendore della Roma augustea...sembra piuttosto frutto di un progresso lungo, di inizio non recente, che ha cancellato a poco a poco la rusticitas arcaica...Ovidio nella celebrazione del cultus data nel III dell'Ars [9] sembra risentire del concetto, e dell'entusiasmo, della pienezza dei tempi. Esiodo, chiuso nella concezione ciclica, vorrebbe non essere nato nell'età in cui vive, cioè nell'età del ferro, la più feroce e infelice di tutte (Opere 174 sg.)...Quando Ovidio proclama con entusiasmo "ego me nunc denique natum/gratulor ", sembra contrapporsi all'antico vate di Ascra: non escluderei un'allusione, anche se non sono sicuro: Esiodo è poeta ben presente nella poesia augustea, ovviamente noto a Ovidio" (p. 195).
Di età del ferro parla Ovidio nelle Metamorfosi in termini negativi
I, 127 L'ultima del ferro è quella del male integrale, quando omne nefas , ogni empietà, irruppe nel genere umano" fugitque pudor [10] verumque fidesque[11];/in quorum subiere locum fraudesque dolusque/insidiaeque et vis et amor sceleratus habendi (I, 129-131)
Cfr. Seneca nel De ira II 8
E Foscolo:” La terra è una foresta di belve” Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Che la decadenza sia iniziata con la caduta di Cartagine e con la fine della paura dei nemici e particolarmente del metus punicus lo afferma Sallustio nel Bellum Catilinae :"Sed ubi …Carthago aemula imperii Romani ab stirpe interiit, cuncta maria terraeque patebant, saevire fortuna ac miscere omnia coepit. Qui labores, pericula, dubias atque asperas res facile toleraverant, iis otium divitiaeque, optanda alias, oneri miseriaeque fuere. Igitur primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit: ea quasi materies omnium malorum fuere "(10), ma quando…Cartagine, rivale del popolo romano, fu distrutta dalle fondamenta, tutti i mari e le terre erano aperti, la fortuna cominciò a incrudelire e a sconvolgere tutto. Quelli che avevano sopportato con facilità fatiche, pericoli, situazioni incerte e difficili, per questi l'ozio e la ricchezza, beni desiderabili in altre circostanze, furono motivo di peso e di miseria. Pertanto prima crebbe il desiderio di denaro, poi di potere: quelle passioni furono per così dire l'esca di tutti i mali.
Il concetto torna nel Bellum Iugurthinum :" Nam ante Carthaginem deletam...metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea quae res secundae amant, lascivia atque superbia, incessere" (41), infatti prima della distruzione di Cartagine…il timore dei nemici conservava la cittadinanza nel buon governo. Ma quando quella paura tramontò dagli animi, naturalmente quei vizi che la prosperità ama, la dissolutezza e la superbia apparvero.
E' l'imperialismo moralistico di Sallustio: le conquiste non devono soffocare l'antica virtù: quella per cui i giovani desideravano più le armi e i cavalli da guerra che puttane e banchetti:"magisque in decoōris armis et militaribus equis quam in scortis atque conviviis lubidinem habebant "( Bellum Catilinae, 7). L'impero infatti si conserva facilmente con i mezzi con i quali lo si è dapprima conquistato:" nam imperium facile iis artibus retinetur, quibus initio partum est (2).
Un'altra contrapposizione di Ovidio a Esiodo, in particolare al proemio della Teogonia , viene individuata nel proemio dell'Ars Amatoria dove l'autore "non si proclama ispirato da Apollo e dalle Muse...la fonte della nuova opera è l'esperienza:"usus opus movet hoc [12]; in base all'esperienza egli canterà il vero ("vera canam ", 30) (e in questo credo che Ovidio non si contrapponga più ad Esiodo, ma gli si accosti). L'unica divinità che viene invocata è Venere"[13] .
La proclamata pratica del vero risente non direi tanto di Esiodo, cui le Muse dell'Olimpo si presentarono con queste parole : noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero, ma sappiamo, quando vogliamo anche far sentire la verità[14], quanto piuttosto della lezione storiografica di Tucidide che "legiferò" non solo per gli storiografi. Polibio che ripete formule tucididèe potrebbe sottoscrivere queste parole di Ovidio:"usus opus movet hoc: vati parete perito;/vera canam " (Ars I, 29-30), l'esperienza fa nascere quest'opera: obbedite al poeta esperto; canterò fatti veri.
La dea è indicata come il nume che ha designato nel poeta il maestro artista, pilota e auriga dell'amore:" me Venus artificem tenero praefecit Amori;/Tiphys et Automedon dicar Amoris ego " (Ars Amatoria , I, vv. 7-8), Venere mi ha preposto a foggiare il delicato amore; io sarò chiamato il Tifi[15] e l'Automedonte[16] dell'Amore.
Un altro encomio del cultus si trova nei primi versi dei Medicamina faciei .
"L'elogio del cultus collocato all'inizio dei Medicamina faciei esalta più ampiamente che quello collocato nel III libro dell'Ars l'importanza del cultus nella lavorazione della terra, nel mutamento delle condizioni naturali. Segue l'elogio del cultus in quanto dà splendore e lusso alle abitazioni e all'abbigliamento (7-10): Culta placent: auro sublimia tecta linuntur;/nigra sub imposito marmore terra latet;/vellera saepe eadem Tyrio medicantur aëno;/sectile deliciis India praebet ebur " (p. 198), le cose curate piacciono: gli alti palazzi vengono coperti d'oro[17]; la terra nerra rimane nascosta sotto il marmo sovrapposto; spesso anche la lana è tinta con una caldaia di Tiro; l'India offre al lusso avorio intarsiato.
I versi successivi contrappongono "con disprezzo, anche se temperato dalla comicità, la rusticitas dei tempi antichi" al lusso moderno:"Forsitan antiquae Tatio sub rege Sabinae/maluerint quam se rura paterna coli,/cum matrona, premens altum rubicunda sedile,/adsiduo durum pollice nebat opus,/ipsaque claudebat, quos filia paverat, agnos,/ipsa dabat virgas caesaque ligna foco " (Medicamina faciei, vv. 11-16), forse le antiche Sabine sotto il re Tazio preferirono curare i campi paterni piuttosto che se stesse, quando la sposa, seduta arrossata sull'alto sgabello, filava con pollice instancabile il suo duro lavoro, e lei stessa chiudeva gli agnelli che la figlia aveva portato al pascolo, lei stessa metteva verghe e legna fatta a pezzi sul focolare.
Le antiche sabine erano delle contadinone prive di grazia.
Tutt'altra posizione nei confronti dei Sabini è quella di Tito Livio che elogia l'educazione severa e rigida di quel popolo "quo genere nullum quondam incorruptius fuit" (I, 18, 4), del quale mai alcuno anticamente fu più austero. Un epigramma di Marziale (XI, 15) comprende entrambe queste posizioni: il poeta afferma di avere scritto anche chartae austere leggibili dalla moglie di Catone e dalle Sabine qualificate come horribiles (vv. 1- 2).
Subito dopo Ovidio nei Medicamina faciei " torna ai tempi moderni per giustificare pienamente il bisogno di cultus da parte delle puellae ; e non si tratta di abbigliamento a buon mercato" (p. 199) : At vestrae matres teneras peperere puellas:/vultis inaurata corpora veste tegi,/vultis odoratos positu variare capillos,/conspicuam gemmis vultis habere manum;/induitis collo lapides oriente petitos,/et quantos onus est aure tulisse duos " [18], invece le vostre madri hanno partorito fanciulle delicate: volete che il corpo sia coperto da veste intessuta d'oro, volete mutare con l'acconciatura i capelli profumati, volete avere una mano che colpisce lo sguardo con i gioielli; mettete al collo perle cercate in oriente e all'orecchio due così grandi che è faticoso reggerle.
Le donne non si possono biasimare per questo, tant'è vero che la moda del lusso è stata accolta anche dagli uomini:"Nec tamen indignum: sit vobis cura placendi,/cum comptos habeant saecula vestra viros./Feminea vestri potiuntur lege mariti,/et vix, ad cultus, nupta, quod addat, habet " (vv. 23-26) tuttavia non è disdicevole: abbiate pure cura di piacere, dal momento che la vostra generazione presenta uomini eleganti. I vostri mariti si impossessano della consuetudine femminile e la sposa ha appena qualcosa da aggiungere alle loro ricercatezze.
"Qui il cultus si presenta chiaramente come lusso; Ovidio non si preoccupa di porre limiti; certamente sa, anche se non si preoccupa di esporcelo, quali spese il cultus comporta e quale attività commerciale presuppone: materie prime o prodotti rifiniti vengono dalle provincie o dal lontano oriente; anche nel corso della trattazione (che, com'è noto, si riduce per noi a poche decine di versi[19]) le provenienze esotiche sono talvolta indicate[20]: si direbbe, insomma, che Ovidio accetta in pieno l'espansione dei consumi e l'economia mercantile in cui essa si colloca" [21].
Sul lusso dei primi anni dell'impero e sulla svolta impressa dall'esempio di Vespasiano vediamo l'opinione di Tacito il quale applica l'idea polibiana del ciclo (ajnakuvklwsi" /orbis ) all'economia e alle mode: con l'avvento di Vespasiano (69 d. C.) termina il tempo del luxus delle splendidissime famiglie senatorie, un ciclo iniziato "a fine Actiaci belli "(Annales , III, 55) , dalla fine della guerra di Azio, il 31 a. C.
Il primo imperatore flavio infatti era "praecipuus adstricti moris auctor...antiquo ipse cultu victuque " (Annales , III, 55) principale promotore di vita austera...egli stesso di antica semplicità nel mangiare e vestire, addirittura simile ai comandanti antichi se non ci fosse stata l'avaritia ("prorsus, si avaritia abesset, antiquis ducibus par ", Historiae , II, 5). Tacito vuole cercare le cause di questo mutamento ("causas eius mutationis quaerere libet ", Annales , III, 55) che fu graduale e variamente motivato, ma ebbe il principale auctor in Vespasiano.
Infatti la cortigianeria verso l'imperatore, e il desiderio di imitare tale modello, ebbero maggior valore che la pena minacciata dalle leggi suntuarie e la paura:"Obsequium inde in principem et aemulandi amor validior quam poena ex legibus et metus ". Sappiamo da Omero, Esiodo e dalla tragedia greca che i costumi, virtù, vizi e perfino malattie del capo si riverberano sulla sua terra per una sorta di responsabilità collettiva.
Però c'è un'altra causa, forse più vera, certo più misteriosa, ed è quella del ciclo:" :"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur "(Annales , III, 55), a meno che per caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in modo che, come le stagioni, così si volgano le vicende alterne dei costumi.
Delle Historiae di Tacito ci sono arrivati 5 libri, l'ultimo dei quali mutilo. Raccontano i fatti che vanno dal 1° gennaio 69 alla rivolta giudaica del 70. Il V libro contiene un lungo excursus sulla Giudea.
Gli Annales, composti negli anni successivi al 111 d. C., dovevano continuare l'opera di Livio: il titolo dei manoscritti Ab excessu divi Augusti echeggia il liviano Ab urbe condita. Dell'opera che doveva andare dalla morte di Augusto a quella di Nerone ci sono arrivati i libri I-IV, un frammento del V e parte del VI con gli avvenimenti dalla morte di Augusto (14 d. C.) a quella di Tiberio (con una lacuna per gli anni 29-31); inoltre i libri XI-XVI con il regno di Claudio, dal 47, e quello di Nerone fino al 66.
Su questo argomento è interessante la riflessione di Santo Mazzarino :"L'idea tacitiana del "ciclo" economico dal 30 a. C. al 68 d. C. è, in fondo, un nuovo dono del pensiero filosofico alla storiografia antica: all'"anaciclosi" polibiana, che si applica alle forme costituzionali, si aggiunge così un similare concetto di orbis , applicato all'economia. Questo concetto del luxus senatorio stroncato...dall'avvento, nel 69 d. C. , di una borghesia "pecuniosa" ma parca, basterebbe a fornire taluni elementi essenziali per una storia sociale del periodo dal 69 d. C.-l'anno di Galba, Otone, Vitellio-fino a tutta l'età flavia: del periodo, insomma, che Tacito aveva trattato nelle Historiae "[22].
La pericolosità di un'economia di consumi fondati sulle importazioni viene rilevata da una lettera al senato di Tiberio .
Già nel 16 d. C. c'era stata una seduta del senato durante la quale avevano parlato a lungo contro il lusso un ex console e un ex pretore "decretumque ne vasa auro solida ministrandis cibis fierent, ne vestis serica viros foedaret " (Annales , II, 33), e fu proibito che venissero fatti vasi d'oro massiccio per servire i cibi in tavola e che vesti di seta deturpassero gli uomini.
Poi però Asinio Gallo[23] parlò in senso contrario dicendo che i senatori e i cavalieri, come stanno davanti per posti a teatro, cariche, dignità, devono anche potersi procurare i mezzi che recano sollievo all'animo e benessere al corpo. "Facilem adsensum Gallo sub nominibus honestis confessio vitiorum et similitudo audientium dedit " , diede un facile consenso a Gallo l'ammissione dei vizi sotto nomi onesti e la complicità degli ascoltatori. "Adiecerat et Tiberius non id tempus censurae nec, si quid in moribus labaret, defuturum corrigendi auctorem", Tiberio aveva aggiunto che non era quello il momento di un giudizio critico e comunque se i costumi avessero vacillato non sarebbe mancata l'autorità di una riforma.
L'imperatore nel 22 d. C. viene avvisato dai senatori, a loro volta messi in guardia dagli edili, sul fatto che che le leggi suntuarie erano disprezzate e i prezzi delle derrate alimentari aumentavano di giorno in giorno. Il lusso infatti traboccava senza freno e lo sfarzo di mense e di orge aveva addirittura suscitato il timore che il principe, uomo di antica parsimonia, prendesse provvedimenti troppo duri (" ne princeps antiquae parsimoniae durius adverteret ", Annales , III, 52). Tiberio rispose che l'imperatore aveva compiti più importanti che quello di proibire il lusso; che cosa del resto avrebbe dovuto cominciare a proibire per tornare al costume antico? ville enormi? , moltitudini di schiavi di tante razze? vasellame d'oro e d'argento? meraviglie di statue e dipinti?, vesti portate senza distinzione da uomini e donne e quella mania femminile che, per le pietre preziose fa passare il denaro a popoli stranieri o nemici (promiscas viris et feminis vestis[24] atque illa feminarum propria, quis lapidum causa pecuniae nostrae ad externas aut hostilis gentis tranferuntur ? , III, 53).
E' il problema del drenaggio della disponibilità monetaria e della crisi economica dell'Italia.
Il fatto davvero grave però era che l'Italia non bastava a se stessa, poiché la terra non veniva più coltivata, e il suo sostentamento dipendeva dalle importazioni: "Externis victoriis aliena, civilibus etiam nostra consumere didicimus. Quantulum istud est de quo aediles admǒnent! quam, si cetera respicias, in levi habendum! at hercule nemo refert quod Italia externae opis indiget, quod vita populi Romani per incerta maris et tempestatum cotidie volvitur " (Annales , III, 54), con le vittorie esterne abbiamo imparato a consumare i beni altrui, con le civili anche i nostri. Che piccola cosa è questa di cui mi avvisano gli edili, quanto se si guarda ad altre più serie, deve essere considerata di poco conto! ma per Ercole nessuno ricorda che l'Italia ha bisogno di mezzi che vengono da fuori e che la vita del popolo romano si aggira ogni giorno tra i rischi del mare e delle tempeste.
Già Augusto temeva che le campagne rimanessero non coltivate a causa dell'ozio della plebe e decise di abolire le distribuzioni frumentarie:"quod earum fiducia cultura agrorum cessaret " [25], poiché confidando in queste la gente trascurava la coltivazione dei campi. Tuttavia l'imperatore non perseverò nel proponimento.
"Una grande crisi scoppiò nel 33 d. C. : i latifondi coltivati da schiavi rendevano impossibile una qualunque concorrenza da parte di piccoli proprietari; questi si erano indebitati, ricorrendo a prestiti di latifondisti senatori, sebbene ai senatori fosse proibita l'usura…Ne derivò la rovina di molti piccoli proprietari, i quali svendevano i campi per pagare i debiti"[26]. I grandi latifondi erano
poco seguiti e fatti coltivare non intensivamente dai proprietari assenteisti.
Sentiamo M. Rostovzev durante il I sec. d. C. sotto gli imperatori Giulii e Claudii :" Le tenute di media estensione furono a poco a poco rovinate dalla mancanza di vendita e vennero acquistate a buon mercato da grandi capitalisti. Questi ultimi naturalmente desideravano di semplificare la gestione delle loro proprietà, e, paghi di ottenerne un reddito sicuro se pur basso, preferivano dare la loro terra ad affittuari e produrre prevalentemente grano". La "mancanza di vendita" di molti prodotti italici era dovuta alla "emancipazione economica delle province…le condizioni del mercato peggioravano di giorno in giorno a misura che si svolgeva la vita economica delle province occidentali…A questo mutamento s'accompagnò il crescente raccogliersi della proprietà rurale nelle mani di pochi ricchi proprietari"[27].
La politica finanziaria di Tiberio ebbe questa tendenza:"lotta contro il rialzo dei prezzi; e d'altra parte, proprio per questa sua moderatio nei riguardi degli ottimati, esitazione e anzi rinunzia a prendere rigidi provvedimenti contro il lusso delle dites familiae nobilium aut claritudine insignes[28]. Dalle nuove esigenze fu particolarmente incoraggiato il commercio con l'India, come chiaramente attestano i reperti numismatici di questa regione. In queste condizioni, il lamento che la moneta pregiata prendesse la via dei mercati stranieri (pecuniae nostrae ad externas aut hostiles gentes transferuntur ) restava una protesta platonica, e denunziava un "drenaggio di oro" a cui Tiberio stesso dichiarava di non poter porre rimedio"[29].
In ogni modo "Questa idea della crisi economica dell'Italia domina il pensiero di Tacito, e dà ad esso toni di tristezza profonda: infatti, la ritroviamo in un passo degli Annali, XII, 43, meritatamente celebre[30]:"at hercule olim Italia legionibus longiquas in provincias commeatus portabat, nec nunc infecunditate laboratur, sed Africam potius et Aegyptum exercemus, navibusque et casibus vita populi Romani permissa est ", eppure, per Ercole, una volta l'Italia mandava vettovaglie per le legioni in province lontane, né oggi la terra soffre di sterilità, ma noi preferiamo far coltivare l'Africa e l'Egitto, e la vita del popolo romano è affidata ai rischi della navigazione.
"Il luxus della aristocrazia senatoria determinava un continuo "drenaggio" di metalli preziosi verso l'estero, ché proprio merci orientali dovevano soddisfare quel luxus. Ciò è stato opportunamente sottolineato dallo storico Tacito"[31], come abbiamo visto sopra.
In conclusione le spese eccessive dei ricchi non erano viste di buon occhio dal regime imperiale che comunque tenne, fino a Vespasiano (69 d. C.), imperatore praecipuus adstricti moris auctor (Annales , III, 55), una posizione di tolleranza e attesa guardinga.
Possiamo aggiungere che espressioni polemiche contro il lusso, con l'alta valutazione dell'interiorità, si trovano anche nelle Epistulae di Seneca scritte negli ultimi anni della vita del filosofo, poco prima della fine del regno di Nerone (54-68 d. C.):" cibus famem sedet, potio sitim extinguat, vestis arceat frigus, domus munimentum sit adversus infesta temporis. Hanc utrum caespes erexerit an varius lapis gentis alienae, nihil interest: scitote tam bene hominem culmo quam auro tegi " (8, 5), il cibo calmi la fame, la bevanda spenga la sete, i vestiti tengano fuori il freddo, la casa sia una difesa contro le ostilità del tempo. Non importa se questa l'abbiano costruita delle zolle erbose o marmi di vario colore importati da genti straniere: sappiate che l'uomo viene coperto altrettanto bene da un tetto di paglia che da uno d'oro.
Il tramonto del lusso viene proclamato in questi giorni (febbraio 2002) da un articolo del settimanale L'Espresso :" Forse le torri. Forse la guerra, quelle donne sotto il burka, quei bambini sotto le bombe. Forse i no global…Forse, semplicemente, non se ne poteva più. Comunque, c'è passata la voglia del lusso. Meglio: quella del lusso a 18 carati, obeso, imbarazzante…Il vero lusso è sentirsi eredi di qualcosa…è continuità, appartenenza, tradizioni…i libri che si hanno in casa da anni, non l'ultimo bestseller…le città italiane come Gubbio, non le Seychelles. Un lusso fatto di buone maniere, segreto"[32].
Poi però la smania del lusso è tornato negli arricchiti e la miseria è calata negli impoveriti.
Torniamo a Ovidio. Nell'Ars amatoria[33] , nota ancora La Penna, "l'atteggiamento è più cauto" e la celebrazione "dell'aurea Roma e della modernità è accompagnato dal rifiuto delle grandi ricchezze, del lusso smodato: la Roma augustea corrisponde ai gusti d'Ovidio perché ha eliminato ogni traccia di rusticitas , non perché vi affluiscono l'oro e oggetti preziosi o perché i ricchi Romani hanno grandi e splendide ville sul mare (Ars III 123-126) : non quia nunc terrae lentum subducitur aurum/lectaque diverso litore concha venit,/non quia decrescunt effosso marmore montes,/nec quia caeruleae mole fugantur aquae " (p. 200), non perché ora alla terra si sottrae il duttile oro e arrivano perle pescate in mari opposti, non perché decrescono i monti per le cave di marmo, né perché le acque azzurre vengono respinte dai moli, ma perché, come abbiamo già visto, cultus adest…nec mansit rusticitas (vv. 127-128).
Ovidio dunque " nelle sue oscillazioni poco tormentate si ferma alla proposta di un cultus misurato che eviti gli eccessi del lusso e, nello stesso tempo, di una raffinatezza dannosa. Per l'uomo egli rifiuta un trattamento dei capelli e della pelle che lo renda simile agli eunuchi servitori di Cibele (Ars I 505 sgg.): l'ideale virile è un equilibrio fra la mundities e la robustezza data dagli esercizi del Campo Marzio (ibid. 513 sg.): Munditiae placeant, fuscentur corpora Campo;/sit bene conveniens et sine labe toga . Dunque, né rusticitas né effemminatezza"[34]. L'eleganza piaccia, siano abbronzati i corpi al Campo Marzio; la toga stia bene e sia senza macchie. Inoltre i denti siano senza tartaro (careant rubigine dentes, Ars, I, 513), i piedi abbiano calzari della loro misura (mentre l' a[groiko" del IV dei Caratteri di Teofrasto ha la scarpa più larga del piede), il taglio di barba e capelli sia buono, le unghie siano ben limate et sint sine sordibus (517), senza sporcizia, non ci siano peli nella cavità delle narici, non ci siano cattivi odori nel fiato né addosso alla persona. "Cetera lascivae faciant concede puellae/et si quis male vir quaerit habere virum " (521-522), il resto lascia che lo facciano le donne lascive e chi, uomo presunto, desidera possedere un uomo.
Questa consigliata all'uomo, al maschio, è la via di mezzo suggerita, come abbiamo già visto, pure da Cicerone e da Seneca.
Pesaro 8 agosto 2023 ore 18, 19.
Il percorso amoroso di cui leggete alcune parti verrà esposto in 8 incontri di due ore ciascuno dal 3 ottobre al 21 novembre. Correggo la data iniziale annunciata in precedenza (6 ottobre).
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[1]L'umorismo , Garzanti, Milano, 1995, p. 173.
[2]La Penna, op. cit., p. 188.
[3]Cfr. Dante, Inferno , XIV, 94 e 96.
[4] =ingentes.
[5]La madre si è fermata nella città del suo Enea.
[6]Cantico del gallo silvestre .
[7]G. B. Conte-E. Pianezzola, Il libro della letteratura latina, Edizione Modulare, 8, Le Monnier, Firenze, 2OO1, p. 459.
[8]Splendidi nel culto degli dèi, economi in casa. Riferisco anche una nota interessante del libro di La iPenna (n.1 della p. 193 citata nel testo):" Il rapporto che si stabilisce in questa teoria tra fasto pubblico e austerità privata, presenta qualche analogia col rapporto della teoria machiavellica, che è già teoria antica, fra immoralità politica e moralità privata; ma non so se l'analogia sia mai stata teorizzata esplicitamente.
[9]P. e. i vv. 121 e sgg. citati sopra.
[10] Il pudore è considerato già da Esiodo uno dei pilastri del vivere umano e civile: nelle Opere il poeta afferma che nell'ultima fase dell' empia età ferrea gli uomini nasceranno con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181) oltraggeranno i genitori che invecchiano, useranno il diritto del più forte, la giustizia starà nelle mani (divkh d& ejn cersiv , v. 192) e se ne andranno Cavri" , Gratitudine, Aijdwv" Rispetto, Nevmesi" , lo Sdegno; quindi non vi sarà più scampo dal male "kakou' d& oujk e[ssetai ajlkhv" (v. 201).
Altrettanta forza, se non anche di più, ha il Pudore nella cultura latina:"Pudor è il senso morale per cui si prova scrupolo e ripugnanza davanti a tutto ciò che nega i valori morali e religiosi. E' affine all' aijdwv" dei Greci, ma ha vitalità molto maggiore: la Pudicitia era una divinità oggetto di un culto importante; al culto della Pudicitia patricia la plebe aveva affiancato e contrapposto un culto della Pudicitia plebeia ". (A. La Penna, C. Grassi, Virgilio, Le Opere, Antologia ., p. 373 ).
[11] Altro valore di base della civiltà latina. Cicerone nel De officiis (del 44 a. C.) dà una definizione della fides " Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictorum conventorumque constantia et veritas " (I, 23), orbene la fides è il fondamento della giustizia, cioè la fermezza e la veridicità delle parole e dei patti convenuti.
[12]V. 29, è l'esperienza che fa nascere quest'opera.
[13] La Penna, op. cit., p. 198.
[14] Esiodo, Teogonia , vv. 27-28.
[15]Il pilota della nave Argo.
[16]L'auriga di Achille.
[17]Nel III dell'Ars Amatoria si legge:"Simplicitas rudis ante fuit, nunc aurea Roma est/et domiti magnas possidet orbis opes " (vv. 113-114), la rozza semplicità è del passato, adesso Roma è d'oro e possiede le grandi ricchezze del mondo sottomesso.
[18] Medicamina faciei, vv. 17-22.
[19]Abbiamo 1OO versi dei Medicamina faciei femineae .
[20] 9 Tyrio ; 10 India ; 21 oriente ; 51 Libyci ; 74 Illyrica ; 82 Attica ; 94 Ammoniaco .
[21]La Penna, op. cit., p. 199.
[22]Il Pensiero Storico Classico , II, 2, p. 82.
[23] Figlio di Asinio Pollione, console nel 40 a. C., cui Virgilio dedicò l'VIII Ecloga e Orazio l'Ode II 1, come vedremo più avanti, fu console nel'8 d. C. Cadde in disgrazia agli occhi di Tiberio del quale aveva sposato la prima moglie Vipsania, figlia di Agrippa. Fu accusato di adulterio con Agrippina, altra figlia di Agrippa e vedova di Germanico e morì in prigionia nel 33 d. C.
[24]In tessuto trasparente di Coo che abbiamo visto menzionato da Properzio (I, 2, 2). Lo è pure da Seneca (ad Luc. 122)
[25] Svetonio, Vita di Augusto, 42.
[26] S. Mazzarino, L'impero romano I, p. 148.
[27]M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'impero romano, pp.115 sgg.
[28] Tacito, Annales , III, 55, le famiglie ricche dei nobili o distinte nel segnalarsi.
[29] S. Mazzarino, L'impero romano I, p. 147.
[30] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, III, p. 458.
[31] S. Mazzarino, L'impero romano, I, p. 222.
[32] Rivoluzione di lusso di V. Parmi, L'Espresso, 21 febbraio 2002.
[33] Il III libro risale allo stesso periodo (verso l' 1 d. C.) dei Medicamina faciei cui Ovidio accenna ai vv. 205 e sgg.
[34]A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 201.
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