Contro i luoghi comuni del non pensiero, la faciloneria e la volgarità dei media dobbiamo presentare l'uomo come problema, i risultati buoni come frutto di operosità intelligente.
Il discorso sulla problematicità dell'essere umano può essere annunciato dallo squillo iniziale del primo Stasimo dell'Antigone :"polla; ta; deina; koujde;n ajn-qrwvpou deinovteron pevlei" (vv. 332-333), molte sono le cose inquietanti e nessuna è più inquietante dell'uomo.
"Alla luce di questa drammaturgia, l'uomo non appare delineato come una natura stabile, un essere che si potrebbe delineare e definire, ma come un problema; assume la forma di un'interrogazione, di una serie di domande. Creatura ambigua, enigmatica, sconcertante, al tempo stesso agente e agito, colpevole e innocente, libero e schiavo, destinato per la sua intelligenza a dominare l'universo e incapace di dominare se stesso, l'essere umano, unendo in sé il meglio e il peggio, può essere qualificato come un deinov~ , nei due sensi del termine: meraviglioso e mostruoso"[1].
Leopardi ha rappresentato in questi termini la donna che impersona la Natura : “Ma, fattosi più da vicino, trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra il bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi: la quale guardavalo fissamente”[2].
"L'umanità produce Bibbie e cannoni, tubercolosi e tubercolina"[3].
Il dubbio non va eliminato come deleterio, anzi:"Togli il dubbio, il dubbio su me stesso, sulla mia identità, sul mio sapere, e non mi resterà che il già fatto e il già detto"[4].
Leopardi cita Cartesio a proposito della necessità del dubbio: “Le verità contenute nel mio sistema non saranno certo ricevute generalmente, perché gli uomini sono avvezzi a pensare altrimenti, e al contrario, né si trovano molti che seguono il precetto di Cartesio: l’amico della verità debbe una volta in sua vita dubitar di tutto. Precetto fondamentale per li progressi dello spirito umano. Ma se le verità ch’io stabilisco avranno la fortuna di essere ripetute, e gli animi vi si avvezzeranno, esse saranno credute, non tanto perché sien vere, quanto per l’assuefazione”[5].
“Lo sviluppo dell’intelligenza generale richiede di legare il suo esercizio al dubbio[6], lievito di ogni attività critica…Comporta anche quell’intelligenza che i Greci chiamano métis[7], “insieme di attitudini mentali…che combinano l’intuizione, la sagacia, la previsione, l’elasticità mentale, la capacità di cavarsela, l’attenzione vigile, il senso dell’opportunità… “Unico punto pressochè certo nel naufragio (delle antiche certezze assolute): il punto interrogativo”, ci dice il poeta Salah Stétié”[8].
C’è una poesia di B. Brecht che costituisce un inno in lode del dubbio: “Sia lode al dubbio!...Oh bello lo scuoter del capo/su verità incontestabili!/Oh il coraggioso medico che cura/l’ammalato senza speranza!...Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai…Tu, tu che sei una guida, non dimenticare/che tale sei, perché hai dubitato/delle guide! E dunque a chi è guidato/permetti il dubbio!”[9].
La Lettera a un bambino mai nato della Fallaci è dedicata “A chi non teme il dubbio/a chi si chiede i perché/senza stancarsi e a costo di soffrire di morire”.
Concludo questa parte con Leopardi: “Piccolissimo è quello spirito che non è capace o è difficile al dubbio”[10].
Un problema grande nell’uomo greco è quello della ereditarietà delle colpe dei padri. Esso suscita grandi dubbi.
Sentiamone alcune espressioni: Eteocle nei Sette a Tebe di Eschilo non è personalmente colpevole ma deve pagare per :"la trasgressione antica/dalla rapida pena/che rimane fino alla terza generazione:/quando Laio faceva violenza/ad Apollo che diceva tre volte,/negli oracoli Pitici dell'ombelico/del mondo, di salvare la città/morendo senza prole;/ma quello vinto dalla sua dissennatezza/generò il destino per sé,/Edipo parricida,/quello che osò seminare/il sacro solco della madre, dal quale nacque/radice insanguinata,/e fu la pazzia a unire/gli sposi dementi"(vv.742-757).
Il Coro dell’Antigone di Sofocle deplora la catastrofe della ragazza con queste parole: "Avanzando verso l'estremità dell'audacia,/hai urtato , contro l'eccelso seggio della Giustizia,/creatura, con grave caduta,/ del resto sconti una pena del padre" (vv. 853-856).
Ora leggiamone un’interpretazione, a sua volta parecchio problematica, di Pasolini:“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti. E’ il coro-un coro democratico- che si dichiara depositario di tale verità: e la enuncia senza introdurla e senza illustrarla, tanto gli pare naturale”
Pasolini trova una ragione nella legge della tragica predestinazione a ereditare le colpe: i giovani del 1975 sono figli di padri colpevoli, padri “che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine”. I figli dunque sono puniti. “Ma sono figli “puniti” per le nostre colpe, cioè per le colpe dei padri. E’ giusto? Era questa, in realtà, per un lettore moderno, la domanda senza risposta, del motivo dominante del teatro greco. Ebbene sì, è giusto. Il lettore moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e tragicamente, comprensibile l’affermazione-che pareva così ciecamente irrazionale e crudele-del coro democratico dell’antica Atene: che i figli cioè devono pagare le colpe dei padri. Infatti i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità”.
E le colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?
“Perché c’è-ed eccoci al punto-un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese” [11].
Ma più probabilmente ha ragione un personaggio (senatore ateniese) del Timone d’Atene di Shakespeare: “Crimes like lands/are not inherited” (V, 4), i delitti non si ereditano, come la terra.
Note
[1]J. P. Vernant, Tra mito e politica , p. 253.
[2] Dialogo della Natura e di un Islandese, del 1824.
[3] R. Musil, L'uomo senza qualità, p. 22.
[4] M. Cacciari, "L'espresso", 6 gennaio 2005, p. 69.
[5] Zibaldone, 1720.
[6] Montaigne che cita Dante: “Che, non men che saver, dubbiar m’aggrata”, Divina Commedia, Inferno XI, v. 93.
[7] M.Detienne, J.-P. Vernant, Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia, tr. It. Laterza, Roma-Bari 1984.
[8] E. Morin, La testa ben fatta, pp. 16-17 e 55.
[9] B. Brecht (1898-1956), Lode del dubbio.
[10] Zibaldone, 1392.
[11] P. P. Pasolini, Lettere luterane, I giovani infelici, pp. 5-12.
Pesaro 27 agosto 2023 ore 11 giovanni ghiselli
p. s.
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