lunedì 28 agosto 2023

Percorso amoroso IX, 1. Lucrezio: irrazionalità dell’amore . Invero non poche volte il proclamato amore nasconde il calcolo.

Irrazionalità dell’amore. Lucrezio IX 1.

Invero non poche volte il proclamato amore nasconde il calcolo

 

 Partiamo da Lucrezio dandone qualche notizia. Del poeta, vissuto tra il 94 e il 50 a. C., ci è arrivato un poema didascalico in esametri, diviso in sei libri lunghi, ossia tutti superiori ai mille versi. Il genere fu iniziato da Esiodo, ma il poeta latino risente anche dell'entusiasmo profetico dell'agrigentino Empedocle che pure scrisse un poema Sulla natura , e di Ennio, onorato come archetipo della poesia latina: Ennius ut noster cecinit qui primus amoeno/detulit ex Helicone perenni fronde coronam,/ per gentis Italas hominum quae clara clueret" (I, 117-118), come cantò il nostro Ennio che per primo portò giù dall'ameno Elicona una corona dalle fronde perenni, la quale brillasse luminosa per le genti degli uomini italici.-gentis=gentes.

-ut cecinit : si riferisce all'accoglimento da parte di Ennio della dottrina della metempsicosi che invece viene respinta da Lucrezio il quale"distingue il proprio dissenso filosofico antipitagorico dalla simpatia letteraria. Senz'altro Ennio è il poeta più imitato da Lucrezio (e forse anche amato: noster ha una carica anche affettiva)"[1].

 "La voce vaticinante di Empedocle, il poeta che aveva conosciuto i segreti della natura, echeggia ora nei versi di Lucrezio ansioso di farsi 'vate di verità'. Empedocle diventa la figura (la figura letteraria) di una poesia filosofica impegnata quanto una profezia"[2].

Abbiamo già incontrato più di una volta Empedocle : "Lucrezio lo giudica esemplare come poeta (vv. 729-733), al punto da meritare gli accenti entusiastici e innologici riservati al solo Epicuro (cfr. i vv. 731-733 con gli elogi dei proemi III, V e VI)…invece inattendibile come filosofo (vv. 740 sgg.), in quanto assertore dei quattro principi non solidi, deperibili e tra loro inconciliabili. La nascita dei corpi, secondo tale teoria, si avrebbe con l'unione dei principi ("Amore", Storghv, e la morte con la loro separazione ("Odio", Nei'ko" )"[3].

 L'elogio di Empedocle di Agrigento comprende anche la sua terra siciliana: ne riporto alcuni versi, per siculofilia e per euripidofilia: infatti secondo me uno di questi versi latini ricorda, almeno concettualmente, un passo delle Troiane del drammaturgo ateniese :"Quae cum magna modis multis miranda videtur/gentibus humanis regio visendaque fertur,/rebus opima bonis, multa munita virum vi,/nil tamen hoc habuisse viro praeclarius in se/nec sanctum magis et mirum carumque videtur" (I, 725-730), questa regione mentre appare in molti modi grande e ammirabile alle genti umane e si dice che deve essere visitata siccome ricca di cose buone e munita di gran forza di uomini, tuttavia nulla sembra avere avuto in sé più glorioso di quest'uomo, né di più santo, meraviglioso e prezioso.-multa munita virum vi: doppia allitterazione.

Questa abbondanza di uomini forti, precisamente di atleti, viene attribuita all'isola anche dal Coro delle prigioniere Troiane che si augurano come male minore di finire nella terra di Teseo, ossia ad Atene, oppure nella valle del Peneo ai piedi dell'Olimpo, e, come terza ipotesi augurabile di essere portate nell'etnea terra di Efesto, posta davanti a Cartagine, madre dei monti Siculi della quale si sente dire "kavrussesqai stefavnoi" ajreta'" "(Euripide,  Troiane, v. 223) che viene celebrata per le corone del valore. Questo dramma è del 415, lo stesso anno della spedizione in Sicilia e non è del tutto chiaro se l'autore abbia voluto scoraggiare gli Ateniesi dall'impresa. Probabilmente Lucrezio ha in mente le tragedie, quella letteraria e quella storica di Siracusa.       

 La dottrina illustrata dai versi  di Lucrezio  è quella di  Epicuro che viene celebrato come un eroe liberatore dell'umanità, attraverso quattro elogi situati in quattro libri (I, III, V, VI).

Lo scopo è quello di affrancare l'umanità dalle tenebre dai terrori dell'animo che derivano dalla religio e più in generale dal difetto della conoscenza razionale della natura ( naturae species ratioque , I, 148).

L'amore è una delle superstizioni, almeno una superfetazione emotiva che equivale a una malattia dell'animus (la nostra parte razionale) e va estirpato come un morbo maligno.

Abbiamo già visto, parlando dell'amore come ferita, che Tizio straziato dagli uccelli nel Tartaro[4] è allegoria della  passione amorosa, la proiezione, in una seconda vita presunta, di una delle peggiori angosce tra quelle che devastano la vita terrena. Altre sono la paura degli dèi, l'ambizione politica e l'insaziabilità che fanno immaginare le orribili pene di Tantalo, di Sisifo e delle Danaidi. Sicché è qui sulla terra che diventa infernale la vita degli stolti:"Hic Acherusia fit stultorum denique vita " (III, 1023).

Nel  IV libro il poeta latino mostra tutta la penosità dell'amore, quindi ne smonta le cause affermando che gli uomini ingannati dai sensi attribuiscono alle donne pregi di cui molte sono sprovvedute.

A proposito del tovpo" della piaga i vv. 1068-1072 sono stati utilizzati nel VII capitolo .

Lì abbiamo visto che il primo consiglio "terapeutico" è quello di confondere le piaghe antiche con le recenti e curare queste con una "Venere vagabonda".

  Procediamo dal v. 1073 del IV libro.

 Lucrezio consiglia di fruire delle gioie di Venere senza innamorarsi, tenendo il piacere sotto il controllo della ratio :" Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, /sed potius quae sunt sine poena commoda sumit./Nam certe purast sanis magis inde voluptas/quam miseris " (IV, 1073-1076), non rimane senza il frutto di Venere chi schiva l'amore, ma piuttosto ne prende i vantaggi senza la pena. Infatti  il piacere che viene di lì è più puro per gli equilibrati che per i poveri dissennati.

Comunque Venere quale ipostasi della voluptas è il timone del mondo, come si legge nel proemio, e senza la sua presenza non si può nemmeno poetare:"Quae quoniam rerum naturam sola gubernas/nec sine te quicquam dias in luminis oras/exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam,/te sociam studeo scribendis versibus ess/quos ego de rerum natura pangere conor.  " (I, 21-24), e siccome tu sei la sola che governi la natura/né senza te alcuna cosa sorge alle luminose spiagge/del sole, né niente si fa di lieto e amabile,/voglio che tu sia compagna allo scrivere i versi/che io cerco di comporre sulla natura.-De rerum natura (I, 24) :" è il titolo dell'opera e rende il Peri; fuvsew" , titolo del poema di Empedocle e dell'opera fondamentale, oggi perduta, di Epicuro (in ben 37 libri)"[5].

 Il lepos , il fascino di Venere è necessario anche ai versi del poeta perché vengano letti:" Quo magis aeternum da dictis, diva, leporem " (I, 28), tanto più concedi, o dea, fascino eterno alle parole.               

Il proemio però, si è detto, è "fuoritesto", ossia alquanto anomalo rispetto all'insieme del poema.

Nel IV canto l'autore precisa che bisogna mangiare la piacevole esca senza essere presi dall'amo cui rimangono attaccati i miseri, dibattendosi in convulsioni atroci.

Si è già notato che da Catullo in avanti miser  è la vittima della passione amorosa che è una forma di  insania e, secondo Lucrezio, può essere spiegata, contrastata e annullata dalla ragione. 

Molti autori moderni invece ci hanno chiarito che la ragione non arriva a spiegare tutto, e tra gli enigmi irrisolvibili  c'è il grande mistero dell'amore. Un fine osservatore di questo miracolo è Proust:"per tutti gli avvenimenti che nella vita e nelle sue contrastate situazioni riguardano l'amore, la miglior cosa è non cercare di comprendere, perché in quello che essi hanno sia d'inesorabile come d'insperato sembrano retti da leggi magiche piuttosto che razionali"[6]. Del resto l'irriducibilità di eros agli schemi angusti dell'intelletto era già stata affermata da Platone, come s'è visto in precedenza. 

Procediamo nel IV libro del De rerum natura dove troveremo  un'antologia di tutti i tovpoi negativi su Eros: dall' amore follia, all'amore possesso, all'amore bruciore, all'amore guerra e ferita:" Etenim potiundi tempore in ipso/fluctuat incertis erroribus ardor amantum/nec constat quid primum oculis manibusque fruantur./Quod petiere, premunt arte faciuntque dolorem/corporis et dentis inlidunt saepe labellis/osculaque afligunt, quia non est pura voluptas/et stimuli subsunt qui instigant laedere id ipsum/quodcumque est, rabies unde illaec gemina surgunt " (vv.1076- 1083), in effetti, nel momento stesso del possedere, fluttua tra ondeggiamenti incerti l'ardore degli amanti né sanno di che cosa prima godere con gli occhi e le mani. Ciò cui hanno aspirato premono stretto e provocano dolore al corpo e spesso affondano i denti nelle labbra e infliggono baci, poiché non è puro il piacere e ci sono sotto dei pungoli che stimolano a ferire quello stesso oggetto, qualunque esso sia da dove sorgono quei germi di furia. Rabies è un genitivo singolare invece di rabiēi.

In potiundi  (genitivo del gerundio di potior , arcaico per potiendi ) c'è quella negativa volontà di possesso che inquina l'amore il quale nella forma sana è desiderio di vedere il potenziamento, non la sottomissione dell'amato.

L'atteggiamento negativo dell'innamorato possessivo quale viene descritto dal discorso di Lisia del Fedro  platonico viene spiegato meglio da Socrate quando chiarisce che siffatto ejrasthv"- amante- è malato e, per chi ha tale malattia (nosou'nti), è piacevole l'amato- ejrwvmeno"- incapace di opporgli resistenza, mentre chi è più forte di lui o anche pari, gli è ostile, pertanto cerca di renderlo inferiore e più debole (239a). Insomma in  rapporti del genere l' ejrwvmeno" , l'amato, diviene vittima dell' ejrasthv" , l'amante, il quale ama wJ" luvkoi a[rna" ajgapw'sin (241d) come i lupi amano gli agnelli.

Ebbene, chiarisce Socrate, tale relazione non ha niente a che vedere con Eros che è figlio di Afrodite e, come un dio o qualcosa di divino,  non può essere un male (qeo;" hj; ti qei'on oJ  [Erw", oujde;n aj;n kako;n ei[h", 242e). Allora è necessaria una palinodia e una confutazione dei detrattori. In effetti l'amore sano non può che desiderare l'accrescimento e il potenziamento della persona amata.

L' eros positivo "si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme d'amore. Questi sono: la premura , la responsabilità , il rispetto  e la conoscenza ...Amore è interesse attivo per la vita e la crescita di ciò che amiamo...Cura e interesse implicano un altro aspetto dell'amore: quello della responsabilità...la mia risposta al bisogno espresso o inespresso di un altro essere umano. Essere "responsabile" significa essere pronti e capaci di "rispondere". Giona non si sentiva responsabile degli abitanti di Ninive. Egli, come Caino, poteva domandare:"Sono il custode di mio fratello?". La persona che ama risponde. La vita di suo fratello non è solo affare di suo fratello, ma suo"[7].-

 fluctuat incertis erroribus ardor amantum (v. 1077): il poeta applica agli amanti in genere  la metafora nautica con la quale diversi autori greci raffigurano la  città che, sconvolta dalla guerra civile, è come una nave travagliata dai flutti. E' uno dei tovpoi letterai più diffusi nella letteratura europea[8].

 Cacciari vede l'antitesi di questo fluttuare della polis degli uomini nella stabilità della casa e della famiglia voluta dalle donne. "La commedia di Aristofane ha gettato uno sguardo profondo sul carattere, tragico, di tale relazione. Arduo è per le donne l' "éxodos", l'uscir-fuori (Lisistrata , 16), il loro luogo è "dentro" (510, 517). Se si decidono finalmente ad 'uscire' è per convincere la polis all'ordine dell'  'interno'. E cioè per fare di essa un oikos-anzi non solo della polis, ma dell'intera Ellade. "Ma voi come pensate di far cessare tutta questa confusione, di risolvere questi affari?", chiede a Lisistrata il probulo.

 Semplicemente trattando le cose della polis come la nostra lana, risponde la donna, tendendola, sbrogliandola. E Prassagora:"Voglio fare della città una casa sola ( mivan oi[khsin), abbattendo tutti i muri, così che si possa andare dall'una all'altra" (Ecclesiazuse, 673-674).

Gli uomini fanno la guerra, dilapidano, pensano a prendere e basta, inseguono cariche, chiacchierano insopportabilmente nell'agorà. Impossibile pace finché comanderanno le loro leggi. La polis, anche quando le cose funzionano, non sta bene "se non escogita qualche novità (ti kainovn)" (Ecclesiazuse, 218-220); l'ordine dell'oikos, invece, è totalmente estraneo a tentativi ed esperimenti (koujci; metapeirwmevna"-i[doi" a]n aujtav",[9] 217-218). Finché esisteranno remi e triremi, e finché vi sarà denaro per armarle, non vi sarà tranquillità (Lisistrata, 172-174); finché lo Stato sarà una nave, vivrà agitato come Ulisse "kuvmasi kai; polevmw/"[10].

Le donne di Aristofane lo sanno come lo sa la tragedia"[11].  

 

 "Ardor amantum  è clausola allitterante dopo la dieresi bucolica. Al v. 1078 (quid...fruantur ) la costruzione di  fruor  con l'accusativo (invece dell'ablativo) è arcaica (si trova, per esempio, in Catone il Vecchio e in Terenzio)"[12].

Si può forse aggiungere che quando l'ardor è  potente  come quello di Leandro, viene spento dall'ondeggiare del flutto con la vita dell'amante.   Il verbo fruor  rende non solo l'idea del godimento ma anche quella dell'uso. Arte con la -e lunga è avverbio da artus -a-um.- Dentis (=dentes)… inlidunt labellis  al v. 1080, fa riferimento ai morsi d'amore che gli amanti si scambiano (le molles morsiunculae , "morsettini" sui teneri labelli  di Plauto, Pseudolus , v. 67; cfr. Catullo, carme 8, v. 18: Quem basiabis? cui labella mordebis? ); ma qui la scelta del verbo inlidere  (da in+laedo ; il verbo semplice torna al v. 1082)  sottolinea la violenza irrazionale dell'atto, e labellis  serve proprio a rilevare il contrasto fra la situazione amorosa (cui il diminutivo affettivo è funzionale) e l'impulso violento che spinge, invece, a far male"[13]. Questo mordere  e il successivo adfligunt  (lezione di O concorrente con afigunt di Q) rendono l'idea dell'ostilità degli amanti intrecciati da tale voluptas non pura.  Il mordere durante la copula erotica corrisponde alla volontà di impossessarsi di qualcosa dell'altro, all'amare wJ" luvkoi a[rna" ajgapw'sin (Fedro , 241d) s'è detto.

 Secondo Lucrezio ogni forma di eros che non sia controllato dalla ratio  è  malsana e contaminata dalla violenza, dal dolore, dall'angoscia. "In più occasioni Lucrezio consegue effetti di alta espressività e di vero e proprio espressionismo incentrato sulla violenza e ostilità dei due sessi"[14].

Pesaro 28 agosto 2023 ore 11, 32 giovanni ghiselli

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[1] I. Dionigi,  La Natura Delle Cose , p. 82

[2] Dall'Introduzione di G. B. Conte a Lucrezio La Natura Delle Cose , p.17.

[3] I. Dionigi, op. cit., p. 127.

[4] De rerum natura, III, 992-994.

[5] Conte, Scriptorium classicum , 5, p. 17.

[6] All'ombra delle fanciulle in fiore, p. 80.

[7]E. Fromm, L'arte d'amare , p. 43.

[8]Per una spiegazione e breve rassegna di tale metafora e allegoria vedi il mio commento all' Antigone , Loffredo 2001, pp. 62-63.

[9] Non potresti vederne una che tenti qualche novità, sostiene Prassagora. Subito prima aveva usato la metafora nautica:"to; de; koinovn w{sper Ai[simo" kulivndetai" (Ecclesiazuse, v. 208), lo Stato invece beccheggia  , come Esimo. Questo era probabilmente uno zoppo in vista. 

[10] Tra le onde e la guerra.

[11] L'arcipelago, p. 41.

[12]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 51.

[13]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5,  p. 52.

[14] Lucrezio, La Natura Delle Cose , commento di Ivano Dionigi, p. 409.

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