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lunedì 7 agosto 2023

Il trucco e il lusso delle donne e degli uomini. Seconda parte: Properzio, Tibullo, Orazio

Torno al corso che terrò alla Primo Levi a partire dal 6 ottobre 2023

 

VII Stazione

 

Il trucco e il lusso delle donne e degli uomini. Seconda parte

Properzio, Tibullo, Orazio

 

 

 

 "Ora Properzio, il raffinato callimacheo, resta abbastanza fedele a un ideale femminile che sarebbe semplicistico definire arcaizzante, ma che del modello arcaico conserva comunque un aspetto essenziale, il rifiuto del cultus. La bellezza perfetta è quella più vicina alla natura. Non è tra le sue elegie più felici, ma è tra le sue più celebri, quella (I 2) che sviluppa il concetto riassunto nel verso sentenzioso (8):"nudus Amor formae non amat artificem "[1] . Aggiungo la mia traduzione  a questa e alle prossime citazioni: "Amore nudo non ama la bellezza artefatta".

Per quanto riguarda il greco e il latino ho dato e darò sempre traduzioni mie siccome "la traduzione è l'operazione più esaltante dal punto di vista della mobilitazione delle forze intellettuali"[2].

Queste mie potranno essere confrontate con le tante altre presenti nei manuali o con quelle dei professori delle classi dove il mio lavoro verrà impiegato:"il fatto che il testo sia aperto, che l'interpretazione sia un problema e che la traduzione abbia molte 'uscite', questo insegnatelo ai giovanotti", raccomanda Canfora[3].

Quindi La Penna cita i primi sei versi di questa elegia (I, 2) collocata "subito dopo quella che a modo suo fa da proemio...Quid iuvat ornato procedere, vita, capillo/et tenues Coa veste movere sinus,/aut quid Orontea crines perfundere murra,/teque peregrinis vendere muneribus,/naturaeque decus mercato perdere cultu,/nec sinere in propriis membra nitere bonis? ", a che giova, vita mia, venire con i capelli adorni, e muovere flessuosità delicate in drappo di Coo, o cospargere i capelli di mirra dell'Oronte, e venderti a doni stranieri, e sciupare lo splendore della natura con il lusso comprato, e non lasciare che le membra brillino della propria bellezza? Né Helena, né Kaisa, né Päivi si impiastricciavano. Sapevano che la cosmesi migliore è fare ginnastica poi lavarsi.

 Properzio insomma ama Cinzia al naturale:"Crede mihi, non ulla tuae est medicina figurae " (v. 7), credimi, non c'è bisogno di correzione per la tua bellezza.

"il cultus  femminile-continua La Penna- rientra in quell'allargamento dei consumi che richiede e favorisce importazioni dannose dalle provincie e dall'estero, specialmente dall'area orientale:"peregrina munera, mercatus cultus " . La polemica contro gli ornamenti e il trucco è un vecchio tovpo" della letteratura erotica antica, ma la vitalità che gli ridà Properzio si scorge anche dal legame con l'antica e sempre attuale polemica romana contro il lusso, che spesso fa tutt'uno con la polemica contro le influenze greche e orientali" (p. 183). Tuttavia "il fascino di Cinzia dipende molto proprio dalla sua modernità, dall'eleganza del portamento, dalla grazia nella danza, dalla cultura letteraria e musicale (...)

Del resto il modello femminile romano agrario-arcaico ha ben poco fascino su Properzio prima delle elegie romane[4].

 Nell'elegia dove vuole dimostrare che "nudus Amor formae non amat artificem " egli cerca esempi probanti dapprima nella bellezza spontanea della natura (I 2. 9-14), poi nella mitologia greca (15-24): non cerca esempi nella Roma arcaica o nella Sabina.  Anche i modelli di fides  e pudor  li cerca nella letteratura e nella mitologia greca. In questo resta fedele a Catullo: quando Catullo, nella chiusa del carme 64, storna con orrore gli occhi dalla società romana contemporanea con i suoi odi feroci e la distruzione di ogni valore morale, non li rivolge, come faranno Sallustio o Livio, verso la società romana arcaica, ma verso il mito greco, verso il tempo in cui gli dèi frequentavano gli uomini ricchi di pietas ." (p. 184).

 

Tibullo invece è  "più attaccato  al modello femminile arcaico". E' esemplare di tale propensione "il famoso quadro di vita domestica che egli sogna mentre giace malato a Corcira e che fa da chiusa all'elegia I, 3 (83 sgg.) : Delia, rimasta fedele al poeta lontano, ha accanto a sé la vecchia madre, "sancti pudoris custos " (custode del sacro pudore); al lume della lucerna la madre fila e racconta favole; una giovane schiava fila anche lei" (p. 185). 

In effetti questo del poeta nato nel Lazio rurale sembra il quadro presentato da Tito Livio per illustrare la virtù di Lucrezia : i giovani parenti del re Tarquinio la trovarono:"nocte sera deditam lanae inter lucubrantes ancillas in medio aedium sedentem " (I, 57, 9), a notte inoltrata, intenta alla lana, tra le ancelle che lavoravano a lume di candela, seduta in mezzo alla casa.

Il desiderio di Tibullo insomma sarebbe che Delia fosse come questa sposa esemplare. Però " da altre elegie del I libro sappiamo che la cortigiana Delia si adatta poco al modello; da altre del II libro sappiamo che ancora meno vi si adatta la volubile Nemesi" (p. 185). Tibullo dunque si trova a disagio nella metropoli,  eppure " una parte notevole della sua poesia è radicata nella vita galante di Roma".

Walter Pater nel primo capitolo[5] del suo Mario l'epicureo (del 1885) mette in rilievo la sussistenza, nel poeta di Delia e Nemesi, della "primitiva e più semplice religione patriarcale, la religione di Numa…Tracce di tale sopravvivenza si possono cogliere, al di là degli atteggiamenti meramente artificiosi della poesia pastorale latina, in Tibullo, che ci ha conservato molti particolari poetici delle antiche consuetudini religiose di Roma:"At mihi contingat patrios celebrare Penates/reddereque antiquo menstrua thura Lari" (I, 3, 33-34)  a me tocchi di celebrare i Penati patrii e di offrire incensi mensili all'antico Lare.

Così invoca con serietà non simulata. Qualcosa di liturgico, nella ripetizione di una formula consacrata, come parte del rito sacrificale per il compleanno, si può rintracciare in una delle sue elegie. Il focolare, da una scintilla del quale, secondo una versione dell'antica leggenda, sarebbe miracolosamente nato il bimbo Romolo, era ancora propriamente un altare"[6].

 

Quindi La Penna passa a Orazio "che, specialmente in amore, è poco sedotto da modelli arcaici. Pirra è simplex , ma simplex munditiis " (Odi  I, 5, 5) semplice nell'eleganza.

Si tratta di un'eleganza semplice eppure ricercata o per lo meno voluta.

 L'aggettivo simplex qualifica la bellezza essenziale anche nell'Ode I 38 dove Orazio dichiara il suo odio per lo sfarzo dei Persiani:"Persicos odi, puer, adparatus....Simplici myrto nihil adlabores/sedulus curo " (vv. 1 e 5-6), non voglio che tu ti affatichi con zelo ad aggiungere alcunché al semplice mirto.

 

L'eleganza semplice è prescritta da Isocrate nello scritto parenetico (di autenticità non certa, del 380 a. C. ca) A Demonico[7]:"Ei\\nai bouvlou ta; peri; th;n ejsqh'ta filovkalo", ajlla; mh; kallwpisthv"" (27), cerca di essere nel tuo abbigliamento elegante ma non ricercato.   

 

Sentiamo G. B. Conte: "Simplex munditiis è un ossimoro, perché i due termini hanno associazioni di significato opposte, la semplicità e la ricercatezza (munditia )...Come ha detto bene Romano, "il concetto classico di semplicità nell'eleganza è scolpito in questo ossimoro che potrebbe essere assunto come motto del programma stilistico di Orazio"[8].

Siffatte sono sempre state le donne belle e fini.

 

La semplicità elegante del resto è anche distintiva dello stile di Orazio. Lo si può ricavare anche da queste parole di Nietzsche :"Non ho mai provato, fino ad oggi, in nessun poeta, lo stesso rapimento artistico che mi dette, fin dal principio, un'ode di Orazio. In certe lingue quel che lì è raggiunto non lo si può neppure volere. Questo mosaico di parole in cui ogni parola come risonanza, come posizione, come concetto fa erompere la sua forza a destra, a sinistra e sulla totalità, questo minimum nell'estensione e nel numero dei segni, questo maximum , in tal modo realizzato, nell'energia dei segni-tutto ciò è romano e, se mi si vuol credere, nobile par excellence . Tutto il resto della poesia diventa in paragone qualcosa di troppo popolare-nent'altro che loquacità sentimentale"[9].    

E’ quella che noteremo nel parlare della Diotima di Musil.

 

Anche Cicerone consiglia una semplicità elegante al suo gentiluomo quando pone le basi del galateo nel De Officiis [10]  ": quae sunt recta et simplicia laudantur. Formae autem dignitas coloris bonitate tuenda est, color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea munditia est non odiosa nec exquisita nimis, tantum quae fugiat agrestem et inhumanam neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus, in quo, sicut in plerisque rebus, mediocritas optima est  " (De Officiis , I, 130), viene lodata la naturalezza e la semplicità. Ora la dignità dell'aspetto deve essere conservata mediante il bel colore dell'incarnato,  il colore con gli esercizi fisici. Inoltre deve essere impiegata un'eleganza non fastidiosa né troppo ricercata, basta che eviti la trascuratezza contadinesca e incivile.

La semplicità insomma non è rozzezza, sprovveduta e inopportuna ma il risultato di una preparazione mentale e somatica. Marziale la chiama prudens simplicitas (X, 47, v. 7) semplicità accorta e la considera uno dei mezzi che abbelliscono la vita (vitam quae faciant beatiorem , v. 1))

 Lo stesso criterio deve essere adottato nel vestire, nel quale, come nella maggior parte delle cose la via di mezzo è la migliore. Lo stesso, abbiamo già visto, affermerà Seneca. 

 

Vediamo qualche esempio moderno: Tolstoj ci insegna che anche un abbigliamento sofisticato e un'acconciatura elaborata non devono far vedere la preparazione che sono costati, anzi devono apparire semplici: si tratta della " rosea Kitty" a un ballo in  Anna Karenina:" Benché la toilette, la pettinatura e tutti i preparativi per il ballo fossero costati a Kitty grandi fatiche e riflessioni, ora, nel suo complicato abito di tulle con il trasparente rosa, ella entrava nel ballo in modo così semplice e disinvolto da parere che tutte quelle roselline, quelle trine, tutti i particolari della toilette non fossero costati né a lei né ai suoi familiari nemmeno un istante d'attenzione, come se fosse nata in quel tulle, in quelle trine, con quell'alta pettinatura, con la rosa e le due foglioline in cima"[11].

 

Faccio un esempio personale: la mia snellezza che mi costa cura, attenzione, esercizio, disciplina. Gli obesi confusi e insofferenti della disciplina dicono che uno come me può mangiare quanto vuole e non ingrassa mai. Invero devo fare almeno due ore di moto anche molto faticoso ogni giono, non toccare quasi mai pane né pasta ed essere sempre molto frugale. Senza questa disciplina tra i 19 e i 21 anni presi 25 chili e tanto autodisprezzo.

 

La naturalezza è il segno dell'eleganza della signora di Guermantes nella Ricerca di Proust:"Ciascuno dei suoi abiti m'appariva come un ambiente naturale, necessario, come la proiezione di un aspetto particolare della sua anima"[12].

Insomma:" Ars casum simulat" (Ars amatoria , III, 155), l'arte prende l’aspetto del caso.

 

 Vediamo ora invece un esempio di stile evidentemente pensato, quasi voluto e preteso nella borghese Diotima di Musil che accolse Ulrich, il protagonista del romanzo, "con il sorriso indulgente della donna di valore che sa di essere anche bella e deve perdonare agli uomini superficiali di pensare sempre prima di tutto a quello (…) Diotima era la maggiore delle tre figlie di un professore di scuola media senza beni patrimoniali…Da ragazza ella non possedeva che il proprio orgoglio , e poiché non possedeva nulla di cui essere orgogliosa, era in fondo null'altro che una correttezza raggomitolata su se stessa con tentacoli protesi di sentimentalità "[13].

Tale tensione spaventa il maschio:" egli vedeva se stesso come un vermicello nocivo attentamente contemplato da una grossa gallina" (p. 89).

 

 

Torniamo a Orazio visto da La Penna: "Il quadro più fascinoso del modello femminile "moderno" è stato dipinto proprio da Orazio: è il quadro della bellezza elegante della moglie di Mecenate" (p. 185). L'autore allude all'Ode II 12 dove la giovane e splendidissima Licimnia è ricordata mentre danza e gareggia di spirito senza dedecus  e senza che il suo fidum pectus  (v. 16), il cuore fedele, vacilli.

Giorgio Pasquali utilizza, con altri indizi, questa ode per sostenere che "ai tempi di Augusto matrimoni d'amore dovevano avvenire, se proprio una lex Iulia, citata dal giureconsulto Marciano (Dig. 23, 2, 19) proteggeva i figli e le figlie contro l'arbitrio del padre che non volesse senza giusta ragione consentire a un matrimonio da essi desiderato. La relazione tra Mecenate e Terenzia sono descritte da Orazio stesso non diverse dalla vita comune di due amanti. Il poeta conferma a Mecenate che la Musa volle che egli componesse il canto di lei, i suoi occhi fulgidi, il petto fido agli amori mutui: II 12, 13 me dulcis dominae Musa Licymniae/cantus, me voluit dicere lucidum/fulgentis oculos et bene mutuis/fidum pectus amoribus "[14]. E' la quarta delle sette strofe asclepiadee prime che formano l'ode. Le tre precedenti contengono la recusatio, il rifiuto dell'epos storico e della poesia di argomento mitologico, generi per i quali l'autore non è portato. 

Vediamo la traduzione di questi versi con i quali il poeta entra in medias res : a me la Musa ha imposto dolci canti per Licimnia signora, che io dica degli occhi splendidamente brillanti e del cuore santamente fedele al reciproco amore.-dulcis= dulces.- fulgentis (= fulgentes) oculos : si ricordi quanto scrive Properzio sugli occhi quali guide dell’amore :"si nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).

 

Testimonianze divergenti su Terenzia, la moglie di Mecenate.

 

Licimnia è Terenzia, la moglie di Mecenate. Sentiamo ancora Pasquali " Di lei il poeta vanta non solo la prontezza di spirito nel conversare, ma la grazia che, fanciulla, aveva dimostrato nel danzare, sia pure non motus ionicos ma balli più adatti a una ragazza di buona famiglia, la quale danzando pensi solo a compiere un dovere religioso: quam nec ferre pedem dedecuit choris/nec certare ioco nec dare brachia/ludentem nitidis virginibus sacro/Dianae celebris die " (vv. 17-20) , per lei non fu sconveniente muovere il passo alle danze né gareggiare con lo spirito né porgere le braccia mentre giocava alle vergini eleganti nel giorno sacro a Diana assai festeggiata. "Avrebbe cent'anni prima un poeta romano osato lodare abilità di tal genere in una donna?, in una fanciulla?"[15].

 

Su Mecenate e la sua irreprensibile moglie tutt'altra testimonianza dà Seneca, quando il potente patrono della cultura era morto da diversi decenni:"Feliciorem [16] ergo tu Maecenatem putas, cui, amoribus anxio et morosae uxoris cotidiana repudia deflenti, somnus per symphoniarum cantum ex longiquo lene resonantium quaeritur?"[17], consideri dunque più fortunato Mecenate, che, agitato da passione amorosa e addolorato per il quotidiano rifiuto di una moglie capricciosa, cerca il sonno per mezzo di canti accompagnati da strumenti musicali che suonano dolcemente da lontano?

 

 Le mode e i costumi cambiano rapidamente, quem ad modum temporum vices , quasi come le stagioni: la danza e lo spirito praticati dalla Sempronia di Sallustio, nel tempo della congiura di Catilina, erano considerati "instrumenta luxuriae "strumenti di lussuria:"litteris Graecis, Latinis docta, psallere saltare elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt"(Bellum Catilinae , 25), sapeva di greco e di latino, suonare, danzare più elegantemente di quanto si convenga a una donna per bene, e molte altre arti che sono strumenti di lussuria.

Del resto gli stessi strumenti possono essere usati con fini diversi, perfino opposti: Sempronia aveva tradito la fede (fidem prodiderat) un valore, si è visto, che appartiene all'ambito erotico, giuridico e morale. Vedremo che non dissimile da questa donna "malamente" evoluta è la Poppea di Tacito.  

 

"Orazio osa di più, esalta le arti che essa sa adoperare per aguzzare e per irritare l'amore o diciamo pure la sensualità del marito: flagrantia detorquet ad oscula cervicem, aut facili saevitia negat, quae poscente magis gaudeat eripi, interdum rapere occupet" (vv. 25-28), volge il collo ai baci ardenti, o con affabile crudeltà  nega quelle carezze che gode di lasciarsi strappare più di chi le chiede e talvolta è la prima a strappare?

"Le parole ultime ricordano il pignus dereptum lacertis aut digito male pertinaci [18], salvo che il poeta parla forse qui con più franchezza della moglie dell'amico e protettore che non facesse colà della puella indeterminata. L'avrebbe fatto se il matrimonio di Mecenate non fosse stato un matrimonio d'amore? L'abisso che in civiltà primitive si apre tra l'amore e il matrimonio, era colmato, si vede bene di qui, nell'età augustea"[19].

In questi versi si vede la dimensione meno nobile di Orazio: quella del  poeta cortigiano.  

Dei poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio non discorro. Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebbene lodatore degli antichi repubblicani. Il più libero è Lucano” (Leopardi, Zibaldone 463).

 

 Non che Orazio non avverta i pericoli della "modernità". Egli nelle odi civili "alle seduzioni della matura virgo , presto moglie adultera, contrappone la severa madre sabina che fa lavorare duramente i suoi figli (Carm.  III 6. 17-44); non dico che si tratta di preoccupazioni fittizie: la società, per evitare la rovina, doveva arrestare la corruzione; Orazio, però, si trovava a suo agio in un altro mondo, dove per salvarsi non c'era bisogno di tornare al rigore arcaico"[20].

 

Pesaro 7 agosto 2023 ore 17, 07 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]A. La Penna. Fra teatro, poesia e politica romana , Einaudi, Torino, 1979,  p. 183.

[2] L. Canfora,  Di fronte ai classici, p. 52.

[3] Op. cit. p. 53.

[4] Quelle del IV libro (del 16 a. C.) che contiene episodi della storia romana arcaica.

[5] Intitolato La religione di Numa.

[6] W. Pater, Mario l'epicureo , pp. 1-2.

[7] Di autenticità non certa, del 380 a. C. ca.

[8]G. B. Conte, Scriptorium Classicum  3, Le Monnier, Firenze, 2001, p. 22.

[9] Crepuscolo degli idoli, pp. 124-125.

[10] Del 44 a. C.

[11] L. Totstoj (1828-1910), Anna Karenina (del 1877), p. 80.

[12] M. Proust, I Guermantes, p. 153.

[13]L'uomo senza qualità , p. 87 e p. 91.

[14] G. Pasquali, Orazio lirico, p. 488.

[15] G. Pasquali, Orazio lirico, p. 488.

[16] Rispetto a Regolo indicato come documentum fidei, documentum patientiae, (De providentia , III, 9) modello di lealtà e resistenza.

[17] De providentia, III, 10, composto negli ultimi anni di vita del filosofo

[18] Ode I, 9, 23-24,  il pegno strappato alle bracciao al dito che resiste appena.

[19]G. Pasquali, Orazio lirico, p. 489.

[20] La Penna, op. cit., p. 185.

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