NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 28 agosto 2023

Percorso amoroso VIII, 19- Amore e morte.

 

 

L'affratellamento amore/morte più famoso è quello del canto di Leopardi, ma il nesso è già reperibile in Saffo:"teqnavkhn d j ajdovlw" qevlw" (96D., v. 1) sinceramente vorrei essere morta.  In questo frammento tra l'altro ci sono corone di rose e viole ( i[wn kai; brovdwn) con lo "strano" accostamento floreale che si ritrova nel poeta di Recanati[1]. 

Vediamo la prima parte di quest'ode, fin dove è intellegibile: "Davvero  vorreiessere morta./Ella mi lasciava, piangendo/ molto e questo mi disse:/"ahimé come terribilmente soffriamo,/Saffo, certo contro voglia ti lascio"./Io allora le rispondevo con queste parole:/"vai, sii felice e ricordati/di me: sai infatti quanto mi prendevo cura di te./Se no, io voglio/ ricordarti/di quante cose belle e delicate abbiamo gioito:/infatti vicina a me ti cingesti/il capo con molte corone/di viole, di rose[2]/e di crochi insieme,/e molti serti intrecciati fatti di fiori/ponesti intorno/ al collo delicato/e tutto il corpo ungesti/con unguento regale".

 

 Bowra  parla del legame tra amore e morte partendo dal primo verso citato sopra in greco: "Il desiderio di morte degli amanti è un luogo comune della poesia a partire dall'età ellenistica, e benché rifletta un'emozione genuina, è spesso un cliché  privo di sincerità; ma noi sentiamo che Saffo dice proprio quello che prova. Le sue parole sono così disadorne che non possiamo prenderle se non alla lettera, e dobbiamo prestarle fede quando afferma di parlare ajdovlw". Si ha l'impressione che il suo senso di abbandono, di solitudine l'abbia così stremata da farle sembrare desiderabile l'annientamento. Forse in uno stato d'animo del genere ella scrisse i versi seguenti:"un desiderio di morire mi possiede, e di vedere le rugiadose spiagge dell'Acheronte coperte di loto" (Fr. 95, 11-13 L.-P.). La visione dell'Acheronte, con la vivacità dei particolari, implica un dolore meno violento: Saffo è qui per lo meno in grado di chiedersi che cosa significhi la morte"[3]. Un'esempio di poesia ellenistica di questo connubio amore/morte possiamo ricavarlo dal primo idillio di Teocrito dove Dafni canta:" h\ ga;r ejgw;n uJp j e[rwto" ej"  }Aidan eJlkomai h[dh" (v. 130), io difatti oramai da Eros vengo trascinato nell'Ade.

 Il desiderio di morte nell'amante può essere volontà eroica di salvare l'amato e la famiglia:"uJperapoqnhv/skein ge movnoi ejqevluosin oiJ ejrw'nte"" (Simposio , 179b), e non solo gli uomini, precisa Platone, ma anche le donne, come fece Alcesti .

" Eroe è Alcesti, come nel suo stesso nome si annuncia: alké è il coraggio, ma il coraggio che si manifesta essenzialmente nel prestare aiuto, nell'aver cura, nel proteggere (Alkìdes, l'attributo di Ercole). Tale coraggio la rende famosa (eukleés[4]), la fa migliore di tutte (arìste[5]): così lei stessa si apostrofava nella tragedia di Euripide[6], e così già Omero la chiamava (Iliade, II, 715): dia Alkestis, Alcesti divina, arìste tra le figlie di Pelia"[7].

     L'eroismo più in generale comporta anche la disponibilità a morire nel caso che non si possa vivere secondo la propria natura e il proprio destino. Achille non può cedere in battaglia (ouj lhvxw , non cederò grida in Iliade , XIX, 423) né Alcesti può diventare vedova: "l'areté di Alcesti si staglia sullo sfondo della philopsychìa[8] dei polloì, dei molti 'cattivi' e cioè privi di valore, che hanno come unico fine il proprio benessere. Per l'eroe non vale mai quella dira cupido di sopravvivere, che domina l'animo dei molti. Per lui è possibile vita solo se perfettamente fedele-responsabile del proprio destino"[9].

In Amore e Morte  di Leopardi il principio e la fine del nostro esistere sono quanto di meglio c'è nell'universo  mondo: due fratelli, due fanciulli bellissimi che vengono in soccorso dei mortali:" Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ingenerò la sorte./ Cose quaggiù sì belle/ altre il mondo non ha, non han le stelle./ Nasce dall'uno il bene,/nasce il piacer maggiore/che per lo mar dell'essere si trova;/l'altra ogni gran dolore,/ogni gran male annulla./Bellissima fanciulla,/dolce a veder, non quale/la si dipinge la codarda gente,/gode il fanciullo Amore/accompagnar sovente;/e sorvolano insiem la via mortale,/primi conforti d'ogni saggio core" (vv. 10-16).

Non solo la morte ma soprattutto l'amore era stato ampiamente calunniato dai poeti, come si è visto nel nostro percorso, e Leopardi, nonostante la sua "vita strozzata" lo riabilita rappresentandolo come un "fanciullo" che rivitalizza le anime morte degli adulti poiché "I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto"[10].

Un concetto ribadito, nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri :" Diceva che i diletti più veri della nostra vita sono quelli che nascono dalle immaginazioni false; e che i fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli uomini il niente nel tutto". Nella vita umana c'è la possibilità miracolosa di ritrovare la forte capacità immaginativa dei fanciulli anche dopo che l'adolescenza è passata. Quando riceviamo i benefici di Amore, che arriva come la grazia di Dio, tornano a confortarci "le stupende larve, già segregate dalla consuetudine umana...E siccome i fati lo dotarono di fanciullezza eterna, quindi esso, convenientemente a questa sua natura, adempie per qualche modo quel primo voto degli uomini, che fu di essere tornati alla condizione della puerizia. Perciocché negli animi che egli si elegge ad abitare, suscita e rinverdisce per tutto il tempo che egli vi siede, l'infinita speranza e le belle e care immaginazioni degli anni teneri"[11].

La Storia del genere umano finisce ricordando gli innumerevoli "obbrobri" che gli uomini "inesperti e incapaci de' suoi diletti" hanno rivolto contro Amore ma questo dio non li ode "e quando gli udisse, niun supplizio ne prenderebbe; tanto è da natura magnanimo e mansueto". La punizione di chi non comprende Lui e gli altri dei è "di essere alieni anche per proprio nome dalla grazia di quelli". Così, citando Leopardi, cerchiamo di farci perdonare per tutte le maldicenze e le maledizioni precedenti contro l'unico dio che rende degna di essere vissuta questa vita altrimenti squallida e a stento degna di essere vissuta.

 In D'Annunzio  il desiderio di morte collegato all'amore è solo distruttivo. Nel dramms La città morta  ( 1896) si trova l'intreccio amore incestuoso-morte violenta. Qui la voluttà suprema è data dalla soppressione del corpo amato. Il dramma è ambientato nell'Argolide sitibonda, vicino alle rovine di Micene ricca d'oro. In questo luogo Bianca Maria legge l'Antigone  e sente di avere il destino dell'eroina greca: di essere consacrata al fratello Leonardo. Ebbene questo la uccide poiché è innamorato della morte e non vuole che la sorella si contamini:"Per poterla riamare così, io l'ho uccisa...Ella è perfetta; ora ella è perfetta. Ora ella può essere adorata come una creatura divina".

 

Sentiamo ancora G. B. Conte sull'amore come malattia:"L'esperienza d'amore come esperienza di sofferenza non è novità dell'elegia latina. E' questo, anzi, il nucleo generatore di un'ampia serie di connotazioni che nella tradizione della letteratura d'amore si dispongono tutt'intorno alla metafora dell'eros-nosos: amore malattia, amore-ferita, amore-follia, amore-veleno (l'elegia latina, si sa, lavora quasi sempre su materiale di riuso, mutuandolo consapevolmente dal tesoro della grande erotica greca; parla, con accenti propri, una lingua comune). Nel caso dell'eros-nosos  la cifra propriamente elegiaca consiste in una particolare declinazione del paradigma: amore non soltanto è malattia, ma anche e soprattutto malattia immedicabile: Omnis humanos sanat medicina dolores:/solus amor morbi non habet artificem [12] (Properzio 2, 1, 57 s.).

La medicina toglierebbe la malattia, ma insieme toglierebbe la possibilità stessa di fare poesia in forma elegiaca, giacché la forma dell'esperienza elegiaca sta anche nella costrittività di questo binomio: malattia e rifiuto di guarigione. Non a caso la guarigione riuscita ( e la liberazione dai vincoli dolorosi del servitium ) sarà posta alla chiusa della più grande raccolta di Properzio, dove significa insieme fine reale dell'amore e commiato del genere (3, 24, 17 s.)"[13].

Concludo questa serie di considerazioni malevole sull'amore mettendo in guardia i giovani contro i luoghi comuni, letterari e non, se essi non accrescono la vita. Autorizzo questa mia avversione attraverso Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori che il fatto di regolarci secondo il "si dice". Questi qui presentati sono naturalmente tovpoi assai nobili, ma bisogna stare sempre attenti a non vivere "ad similitudinem " invece che "ad rationem ", imitando piuttosto che ragionando.  

 

Pesaro 28 agosto 2023 ore 9, 28 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]Il sabato del villaggio , 5.

[2]il nesso rose-viole si trova pure, forse non per caso, nel mazzolino interstagionale de Il sabato del villaggio (v. 4:"un mazzolin di rose e di viole" appunto, ) di Leopardi.

[3]C. M. Bowra, La lirica greca da Alcmane a Simonide , p. 276.

[4] Alcesti, v. 150.

[5] Alcesti, v. 151.

[6] V. 151 già citato.

[7] M. Cacciari, L'arcipelago, pp. 52-53.

[8] Con ancora più forza è un'altra donna, Polissena nell'Ecuba di Euripide, a rifiutare di apparire philòpsychos, amante della sola propria vita.

[9]. M. Cacciari, L'arcipelago, p 59.

[10]Zibaldone , p. 527.

[11]Storia del genere umano .

[12]La medicina guarisce tutti i dolori umani:/solo l'amore non ha uno capace di curarlo.

[13]G. B. Conte, Ovidio Rimedi contro l'amore , pp. 18-19.

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