Orfeo disobbedisce mentre Aristeo obbedisce e ha successo.
Moro e Cossiga?
Orfeo e Aristeo nell'interpretazione di Gian Biagio Conte. Orfeo poeta d'amore e la poesia elegiaca. Un poco di inglese.
In un suo lavoro in inglese[1] il professore della Normale di Pisa individua in Aristeo il più completo eroe del regno georgico, una figura emblematica della cultura dell'agricoltore e il prototipo del perfetto agricola che trova nella tenacia i mezzi più efficaci del successo; egli sarà capace di apprendere da Proteo la causa delle sue disgrazie e di ricevere dalla madre la prescrizione divina di un rituale che deve compiere senza deviare nemmeno nel minimo dettaglio. Le due virtù richieste per il suo successo sono prima la tenacia, per conoscere, poi l'obbedienza, per eseguire. "Tenacitas (persistence), a humble but effective virtue, is exactly the same force as that of the farmer who combacts the relutance of the miserly earth " (p.54), la tenacia, una virtù umile ma produttiva, è esattemente la stessa forza del contadino che combatte la riluttanza della terra avara.
E' quella, aggiungo, una tenacia valorizzata per primo da Esiodo nel suo poema le Opere e i giorni.
Nell'ultimo capitolo del De beneficiis Seneca utilizza la figura del contadino operoso per elogiare e rendere visibile la perseveranza nel fare i benefici anche all'ingrato:"huic ipsi beneficium dabo iterum et tamquam bonus agricola cura cultuque sterilitatem soli vincam " (VII, 32), a questo stesso farò ancora del bene e come un agricoltore bravo vincerò la sterilità del suolo con un lavoro assiduo.
Conte individua una parola chiave nell'avvertimento della madre Cirene al figlio su come debba comportarsi con Proteo:"Nam sine vi non ulla dabit praecepta, neque illum/orando flectes; vim duram et vincula capto/tende "(Georgica IV, 398-400), infatti senza violenza non darà alcuna risposta, né lo pregherai con preghiere; dopo averlo preso, tendi i lacci e una dura violenza. "Durus, another key word in these lines, indicates the other, complementary aspect of "tenacity". It often appears in the Georgics to signify the "hard" reluctance of nature, which can be overcome only by toil. Thus, labor omnia vicit/improbus et duris urgens in rebus egestas (I. 145-146)...durus uterque labor (II. 412)...ipse labore manum duro terat (IV. 114)...and in the end the farmers too must be "hard" themselves, "resistant to toil": dicendum est quae sint duris agrestibus arma,/quis sine nec potuere seri nec surgere messes (I. 160-161). ". Vediamo la traduzione: durus , un'altra parola chiave in questi versi, indica l'altro, complementare aspetto della tenacia. Essa appare spesso nelle Georgiche per significare la dura riluttanza della natura, che può essere vinta solo dal lavoro. Così il lavoro inflessibile ha domato tutto e l'indigenza che incalza nei duri frangenti (I, 145-146)...dura l'una e l'altra fatica (II, 412)...egli stesso consumi la mano nella dura fatica...e alla fine anche i contadini devono essere duri loro stessi, resistenti alla fatica: bisogna dire quali siano le armi dei duri contadini, senza le quali non avrebbero potuto essere seminate né levarsi le messi (I, 160-161).
Aggiungo di mio che l'agricoltura è una specie di lotta, non meno dell'amore il quale comporta pure labor , ma mentre la fatica del contadino, secondo Virgilio, è produttiva, quella degli amanti è distruttiva.
Torniamo al Conte:"Resistance to toil, knowing how to persevere in an arduous task with faith and obstinacy-these are Roman virtues. They are ancient virtues but remain relevant, and it is these which obtain success for Aristaeus when they are wedded to scrupulous obedience to divine dictates ", resistenza al lavoro, sapere perseverare in uno strenuo dovere con fede e ostinazione-queste sono virtù romane. Sono virtù antiche ma rimangono rilevanti, e sono queste a ottenere successo per Aristeo quando sono coniugate a scrupolosa obbedienza ai dettami divini.
Orfeo, d'altro lato, fallisce. Egli fallisce perché contravviene alle rigorose condizioni imposte dal dio della morte: rupta tyranni/foedera (Georgica IV. 492-93), è infranto il patto del tiranno...egli volta gli occhi sull'oggetto del suo amore, e così viola la lex (condizione) dettata da Proserpina (487). L'amore lo trasporta e fa di lui un mentecatto...La pazzia d'amore inganna Orfeo: in quanto suo prigioniero, egli non mantiene l'obbedienza alla volontà degli dèi (p. 55). Del resto "Orpheus is not only an unfortunate lover: he is above all a poet, a passionate singer of his love " (p. 57), Orfeo non è soltanto un amante sfortunato; egli è soprattutto un poeta, un cantore appassionato del suo amore.
Procedo con il testo di Conte presentandolo già tradotto. Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (I. 496-511) Orfeo placa una lite tra i suoi compagni di navigazione cantando un poema scientifico (empedocleo) sulla genesi del cosmo: tale modo quasi lucreziano non sarebbe del tutto estraneo a un poema didattico e georgico, come quello di Virgilio. Ma invece questo Orfeo canta di amore con il dolore della separazione, la perdita della donna che ama. In breve, questa è una poesia fatta di vicende personali, di passione infelice. In questo modo noi abbiamo identificato un'altra ragione dell'intrinseca debolezza di Orfeo: egli non è solo un amante ma un amante-poeta, un personaggio che rivolge l'amore, o piuttosto la sofferenza d'amore a oggetto esclusivo del suo canto. Egli è davvero il prototipo del poeta-cantore. Materia del suo canto (riassumo) è la sofferenza amorosa. Inoltre egli è solo (un desocializzato aggiungo, come un artista decadente) e il furore erotico che è la vera fonte della sua poesia (il suo canto è nutrito dalla passione che lo accieca) finisce con il distruggerlo. Il medesimo paradosso si trova all'origine di molta poesia elegiaca...Come può un poeta elegiaco essere definito esattamente in un pungente epigramma? Domizio Marso[2] (ex incertis libris , verse 9 Morel corrisponde al frammento 7-3 Courtney) definisce Tibullo come elegis molles qui fleret amores ( un elegiaco che piange su teneri amori), una definizione che potrebbe essere applicata all'elegia in generale. Cantando il suo erotikon pathema (sofferenza amorosa), l'Orfeo di Virgilio compone nei modi di un poeta elegiaco, proprio come Gallo, il fondatore dell'elegia latina che soffre d'amore nella X Ecloga (14-15)...la poesia d'amore fallisce poiché è costituzionalmente separata dall'azione: è completamente e integralmente egotistica...C'è davvero un'opposizione tra poesia georgica e poesia d'amore che nasce da un'opposizione tra una "dimensione pratica" e una "dimensione contemplativa...La solitudine allontana il poeta d'amore dal mondo reale, lo rinvia a se stesso, lo rende egotisticamente indifferente ad ogni sollecitazione esterna. Chiuso in questa autonomia, egli non è capace (né vuole) rompere il suo circolo chiuso, fuori dal quale soltanto può esserci la salvezza. Questo è il paradosso del poeta elegiaco, e il paradosso di Orfeo, uno che ha il potere di cantare ma non quello di agire...Da una parte c'è Virgilio e il mondo di Aristeo, dall'altra una poesia del tutto privata che obbedisce soltanto alla legge del servitium amoris, inventa una forma del mondo chiusa e assoluta, e di fatto sostiene un ideologia anarchica indifferente ai valori della collettività "[3].
Mi chiedo se tali sono le mie storie d’amore: rispondo “no!”. In queste c’è la letteratura europea, c’è la storia, c’è la politica, c’è la scuola, c’è la società.
Vorrei fare una riflessione su questo e segnalare che i sentimenti privati, quelli conseguenti agli amori penosi in particolare, divengono prevalenti in letteratura rispetto agli interessi storici e politici sotto le tirannidi che tolgono spazio alla dialettica, all'interesse per la collettività e ammettono la propaganda al potere oppure l'effusione di stati d'animo individuali purchè innocui o funzionali al regime. La gioia amorosa non può esere impolitica. Ciò che è impolitico non può essere gioioso, anzi è spesso doloroso, sempre noioso.
Virgilio del resto, torniamo a Conte, non è che non provi simpatia e comprensione per Orfeo. "Al contrario, Virgilio sa come rendere omaggio alla poesia elegiaca come la forma poetica più adatta a rappresentare la debolezza umana e capace di conquistare la simpatia per la sofferenza di chiunque soffra un fallimento esistenziale...Mentre mostra tutta la forza e la malia del destino del poeta Orfeo, Virgilio simultaneamente denuncia i costi della scelta "debole" , quella dell'elegia, e il prezzo "amaro" della sua scelta "forte" , la missione di una committenza didattica che esalti i valori semplici e solidi della vita del contadino. Il suo arator è durus , e le virtù che lo guidano devono essere indifferenti al funereo lamento del povero usignolo privato del suo nido; ma questa è la dura legge del mondo che Giove ha voluto per gli uomini, il mondo del lavoro.
Conte in una nota segnala opportunamente il nesso di quest'ultima asserzione con i vv. 207-211 della Georgica II :"aut unde iratus silvam devexit arator/et nemora evertit multos ignava per annos/antiquasque domos avium cum stirpibus imis/eruit: illae altum nidis petiere relictis;/at nudis enituit impulso vomere campus ", o da dove l'aratore operò una deforestazione con ira, e sradicò i boschi per molti anni improduttivi, e antiche dimore di uccelli strappò con le radici profonde: quelli volarono in alto lasciati i nidi, ma nuovo brillò sotto la spinta del vomere una campo. In questi versi c'è anche la violenza dell'uomo che pure vuole migliorare la sua condizione sulla terra:" il poeta didattico osserva questa azione violenta dalla prospettiva degli uccelli che vivevano sugli alberi che sono stati tagliati, quando essi vedono il loro nido sacrificato alle dure necessità del contadino...Il protagonista delle Georgiche-il paziente, tenace agricola capace di coronare la sua fatica con il successo-è anche un carattere non privo di ombre, e richiede, anche lui, della vittime"[4]. Come farà Enea.
Aggiungo che la violenza dell'uomo nei confronti della natura viene segnalata con maggiori indicazioni negative da Sofocle il quale nel primo stasimo dell'Antigone mette in luce l'inanità della sofiva tecnologica:" Possedendo il ritrovato della tecnologia,/ che è un qualche sapere , oltre l'aspettativa (sofovn ti to; macanoven-tevcna" uJpe;r ejlpivd& e[cwn-tote; me;n kakovn, a[llot& ejp& ejsqlo;n eJvrpei)/ora si volge al male, ora al bene./ e le leggi della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è grande nella città; bandito dalla città è quello con il quale /coesiste il brutto morale, per la sfrontatezza./Non mi stia accanto sul focolare/né abbia lo stesso pensiero/chi compie queste azioni" (vv. 365-375).
La violenza dell'uomo.
Alla violenza dell'uomo nei confronti della terra coltivata e degli animali aggiogati sembra alludere anche Virgilio quando, nella IV Bucolica , descrive l'età dell'oro:"non rastros patietur humus, non vinea falcem,/robustus quoque iam tauris iuga solvet arator ", (vv. 40-41), la terra non soffrirà i rastrelli, né la vigna la falce, anche il robusto aratore scioglierà i tori dal giogo.
Come l'età dell'oro anche le isole beate di Orazio producono pane e vino senza violenza:" Nos manet Oceanus circumvagus arva beata/Petamus, arva divites et insulas,/Reddit ubi Cererem tellus inarata quotannis/Et imputata floret usque vinea " (Epodi , 16, 41-44), ci attende l'Oceano che gira intorno a campagne felici, dirigiamoci a quelle campagne e isole fertili, dove ogni anno la terra dà le messi senza essere arata, e la vite fiorisce continuamente senza essere potata.
Per la scienza e la tecnica che si volgono al male è molto chiara la condanna di Brecht il quale viene citato da G. Steiner a proposito del canto corale dell'Antigone :"Il commento al secondo stasimo (sic!) che Brecht fornisce con le sue note di lavoro (Anmerkungen zur Bearbeitung ), è lapidario: "L'uomo, mostruosamente grande (ungeheuer gross ) quando sottomette la natura, diventa un grande mostro quando sottomette gli uomini, suoi simili". Come Hölderlin prima di lui, Brecht traduce ta; deina; con Ungeheuer , parola densa di significati che designa "ciò che è mostruoso", "ciò che è inquietante", "ciò che è insolitamente, ossessivantemente eccessivo nel bene e nel male"[5].
Sui limiti della sofiva tecnologica sentiamo anche Di Benedetto:"affiora in Sofocle una tendenza diversa, secondo la quale sofov" appare in contesti che tendono a svuotare l'aggettivo della sua positività e a conferirgli un valore chiaramente negativo. Va menzionato a questo proposito anzitutto il passo del primo stasimo dell'Antigone dove al v. 365 sofovn è associato alle qualità inventive della tevcna: senonché in questo stasimo la tevcna è presentata in un contesto in ultima analisi restrittivo e lo stesso vale per sofovn, collocato con evidenza all'inizio della frase"[6].
Si veda un ancora più esplicito svuotamento della sofiva tecnologica nel discorso di Diotima del Simposio platonico:"kai; oj me;n peri; ta; toiau'ta sofo;" daimovnio" ajnhvr, oJ dev, a[llo ti sofo;" w[n, hj; peri; tevcna" hj; ceirourgiva" tinav", bavnauso"" (203a), chi è sapiente in tali rapporti (quelli tra gli uomini e gli dèi) è un uomo demonico, quello invece che si intende di qualcos'altro, o di tecniche o di certi mestieri, è un facchino.
Nel Menesseno Platone chiarisce il disvalore della scienza separata dalla giustizia:"pa'sav te ejpisthvmh cwrizomevnh dikaiosuvnh" kai; th'" a[llh" ajreth'" panourgiva, ouj sofiva faivnetai" (247), la scienza separata dalla giustizia e dalle altre virtù si vede che è malizia, non sapienza.
A questo si può aggiungere la favola di Filemone e Bauci che nel Faust di Goethe vengono sacrificati con tante altre vittime umane, per strappare il terreno al mare e a loro stessi:" E sul principio ,/furono tende e furono capanne./Ma sorse poi, dov'è più folto il verde/subito un gran palazzo" racconta Filemone. E prosegue Bauci"Facevano, di giorno, il finimondo,/senza concluder nulla, i suoi vassalli./Colpi su colpi, di badili e zappe!/Ma dove nella tenebra notturna/era un vagar di vivide fiammelle,/una diga si ergeva all'indomani./Debbono avere sanguinato, a notte,/vittime umane. Ché s'udìan, nel buio,/gemiti di dolore./Verso il mare fluivano torrenti/rossi di fuoco. E al sorgere del sole,/ecco, un canale era scavato, già./Un uomo senza Dio! Gli fanno gola/la nostra capannuccia ed il boschetto./Un vicino orgoglioso e tracotante,/a cui dobbiamo, ahimè, restar soggetti!"[7].
Senza dio gottlos ( v. 11131) è lo stesso Faust la cui avidità poi provoca l'assassinio dei due vecchietti.
James Hillman alla giustizia aggiunge la bellezza:"Bellezza e Giustizia sono i veri fini. I pensatori più profondi li hanno individuati. Platone, ad esempio. E ogni anima lo percepisce immediatamente: il benessere economico non fa piacere all'anima quanto la Bellezza e la Giustizia"[8].
Conte conclude il suo saggio del quale ci siamo avvalsi quasi per intero, notando che durities (la durezza) è la fisionomia costitutiva del carattere dell'arator , un aspetto indispensabile di quella perseveranza che lo aiuterà a superare la prova. La sua scelta di vita non conosce insuccesso ma il prezzo è alto. Questo è lo stesso prezzo che il poeta didascalico Virgilio deve pagare per il suo rifiuto della poesia d'amore".
Per questo prezzo pagato, del resto, aggiungo, riceverà non piccoli compensi da Mecenate il quale ebbe in Virgilio il vate desideroso e capace "di trasmettere valori forti e verità antiche", di soddisfare "la magnifica ambizione di una grande nuova letteratura latina che sceglie di indirizzare essa stessa la coscienza della collettività nazionale"[9].
Voglio ricordare, per mettere di nuovo in luce l'ipocrisia del potere, che Mecenate, etrusco di Arezzo, ha fama di gaudente, anzi di dissoluto se diamo retta a Seneca che lo contrappone a Regolo, documentum fidei, documentum patientiae, modello di lealtà e resistenza, definendolo " voluptatibus marcidum"[10], smidollato dai piaceri.
Pesaro 26 agosto 2023 ore 9, 45 giovanni ghiselli.
p. s.
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[1]Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press.
[2] Poeta dell'età augustea, ammiratore di Tibullo.
[3]Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press., p. 58 s.
[4]G. B. Conte, op. cit., n. 30, p. 205.
[5]G. Steiner, Le Antigoni , p.194)
[6]Sofocle , p. 99.
[7]Goethe, Faust , seconda parte, atto quinto.
[8] Il piacere di pensare , pp. 134-135.
[9]Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press., p. 63.
[10] De providentia, 4, 10.
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