"Labitur interea res et Babylonica fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et Veneris sudorem exercita potat " (De rerum natura, IV, vv. 1124-1128), si scialacqua nel frattempo la roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli di Sicione sorridono nei piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e tenuta in esercizio beve sudore di Venere.-Labitur...res : cfr. Sofocle, Antigone , 782:" [Erw", o}" ejn kthvmasi pivptei"", Eros che sulle ricchezze ti abbatti.
-Babylonica : nella nostra tradizione letteraria le cose di Babilonia sono spesso esotiche, lussuriose e smisurate. Sentiamo, per esempio il realismo magico di Marquez:"in un mercoledì di gloria fecero venire un treno carico di puttane inverosimili, femmine babiloniche addestrate a trucchi immemorabili, e provviste di ogni sorta di unguenti e dispositivi per stimolare gli inermi, aizzare i timidi, saziare i voraci, esaltare i modesti, temperare i multipli e correggere i solitari"[1].
"Nei codici il nostro v. 1124 si legge in realtà dopo il v. 1122 e fu il filologo del XVI secolo Lambinus (=Denys Lambin) a dare al testo l'attuale ordine, che ha il pregio di riferire Babylonica (come aggettivo sostantivato di difficile comprensione: "oggetti di Babilonia" ?) a unguenta ( erano noti i profumi di Babilonia, come informa Erodoto, Storie I, 195); l'inversione sarà stata provocata o facilitata dall'identica iniziale delle due parole languent e labitur . In fiunt il numero plurale (dopo il singolare res ) si spiega come attrazione da parte del predicato "[2].
-rident : il sorriso è trasferito dal volto della donna, o dell'amante, al regalo di cui essi sono soddisfatti. I sandali insomma riverberano il sorriso delle persone come la distesa marina quello di Venere:" tibi rident aequora ponti " (I, 8).-grandes viridi cum luce zmaragdi : evocano le spese folli dell'amante innamorato, e , forse, occhi femminili tesi ad affascinare come quelli, già segnalati, della Carmen di Svevo.-thalassina : aggettivo, hapax , è formato su qavlassa, "mare", dunque "marina". Tale veste può riprodurre il colore degli smeraldi o degli occhi dell'amata cui l'amante avrebbe potuto rivolgere la battuta che Proust fa dire a Swann rivolto a una prostituta:"Che cosa carina: ti sei messa degli occhi azzurri dello stesso colore della tua cintura!"[3].-potat : Lucrezio vuole indicare una bevuta laida, della vestis intrisa.
"La radice del verbo deriva dall'indoeuropeo *po- che ha dato come esito in greco pi-/po-/pw-, in latino po- (il verbo bibo deriva da *bi-po )"[4].
"Et bene parta patrum fiunt anademata, mitrae, /interdum in pallam atque Alidensia Ciaque vertunt " (1129-113O), e il patrimonio dei padri onestamente acquistato diventano bende e copricapi, talora si cambia in pepli e in tessuti di Alinda e di Ceo".-anademata : è una traslitterazione di ajnadhvmata, "bende", da ajnadevw=cingo.-mitrae da mitra che traslittera mivtra, ed è un copricapo orientale, una specie di cuffia.-pallam : è una sopravveste da donna, pure di origine greca-cfr. la fabula palliata commedia latina ambientata in Grecia.-Alidensia : da Alinda, in Caria.-Ciaque : "di Ceo nelle Cicladi, che Lucrezio-come già Varrone e poi Plinio (vd. nat. hist. 4, 62)- confonde qui con Cos, celebre per le sue stoffe"[5].
Sembra che l'amore provochi sperperi tesi a gratificare la sanguisuga amata . Questo è detto esplicitamente nella tirata antifemminista dell'Ippolito di Euripide di alcuni versi della quale forse si è ricordato Lucrezio:" E quello che ha preso in casa la pianta perniciosa gode nel porre intorno all'idolo malvagio (ajgavlmati… kakivstw/////) ornamenti belli e si affatica intorno ai pepli, infelice (kai; pevploisin ejkponei'-duvsthno"), distruggendo la ricchezza della casa" (vv. 630-633). Ma la brama di tale distruttiva pianta dell'accecamento ("ajthrovn...futovn", v. 630) non è amore poiché l'amore è un'entità benefica e costruttiva.
Vediamo un momento, purtroppo fuggitivo, di vero amore in Resurrezione di Tolstoj:" Bastava che Katjuŝa entrasse nella stanza o che da lontano Nechljùdov scorgesse il suo grembiule bianco, perché tutto gli apparisse illuminato dal sole, tutto diventasse più interessante, più giocondo, più ricco di significato, perché la vita diventasse più lieta. E anche per lei era così"[6].
"Eximia veste et victu convivia, ludi, /pocula crebra, unguenta coronae serta parantur, /nequiquam, quoniam medio de fonte leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat ..." (vv. 1131-1134):"si preparano conviti con apparato e portate sfarzose, giochi, tazze fitte, profumi, corone. ghirlande, invano poiché dal mezzo della sorgente dei piaceri sgorga qualche cosa di amaro che angoscia persino in mezzo ai fiori.
Tutto lo sfoggio pacchiano (trimalchionesco diremmo, dopo il Satyricon , ma si può pensare anche a quello del Creso erodoteo) attira consensi che non appagano. Una via di soddisfazione autentica, senza angoscia, la indica Seneca :"qui domum intraverit nos potius miretur quam supellectilem nostram " (Ep. a Lucilio , 5, 6) , chi sarà entrato in casa nostra ammiri noi piuttosto che le nostre suppellettili.-nequiquam : la parola lunga e pesante, in posizione enfatica, corrisponde all'accumulo di cose ammucchiate ed esibite.-amari :"la paronomasia-come ai vv. 1054 e 1056 riduceva l'amor a pura manifestazione fisiologica (umorem )- qui lo riduce a semplice sofferenza interiore (amari )"[7].
"aut cum conscius ipse animus se forte remordet/desidiose agere aetatem lustrisque perire..." (vv. 1135-1136), o perché l'animo senza volere si tormenta da solo rendendosi conto di passare la vita senza far nulla e di esaurirsi nella crapula...-forte : il tormento viene addosso "per caso" nel senso che quando agiamo in maniera distruttiva e contraria alla vita, cerchiamo di respingere la pena, ma questa, sempre viva, ci vola addosso. Per l'immagine mutuata cfr. Edipo re , vv. 481-482.
"aut quod in ambiguo verbum iaculata reliquit/quod cupido adfixum cordi vivescit ut ignis, aut nimium iactare oculos aliumve tueri/quod putat in vultuque videt vestigia risus " (vv. 1137-1140), o perché ella, scagliata una parola in parte incerta, ha lasciato una cosa che, conficcata nel cuore bramoso, fiammeggia viva come fuoco, o perché egli pensa che lei lanci troppe occhiate e miri a un altro e vede nel volto il riflesso di un sorriso.-aut : altra spiegazione di questa eziologia del dolore.- in ambiguo=in ambiguum . Ambiguus è formato da amb- e ago:" che inclina in due direzioni, malfermo".
Pirandello estende questa ambiguità a ogni comunicazione verbale[8] .-iaculata (da iaculor ; iaculum è il giavellotto): la parola della donna amata, se non è del tutto benevola, diventa un arma. Sentiamo di nuovo Leopardi in Aspasia :" Narra che prima,/e spero ultima certo, il ciglio mio/supplichevol vedesti, a te dinanzi/me timido, tremante (ardo in ridirlo/di sdegno e di rossor), me di me privo,/ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto/spiar sommessamente, a' tuoi superbi/fastidi impallidir, brillare in volto/ad un segno cortese, ad ogni sguardo/mutar forma e color" (vv. 92-101).-adfixum...ignis : la ferita e la fiamma sono messe insieme perché si potenzino a vicenda nel rappresentare la pena d'amore.-iactare oculos : il verbo, etimologicamente imparentato con iaculor , lancio, iaculum, giavellotto, e iactura, danno, rende l'idea del lancio dannoso: in questo caso di un'arma a doppio taglio che lusinga l'occhieggiato e ferisce l'amante.-vultuque videt vestigia : la triplice allitterazione in v- sembra rendere fonicamente il rimuginare sofferente del geloso.
"Atque in amore mala haec proprio summeque secundo/inveniuntur; in adverso vero atque inopi sunt,/prendere quae possis oculorum lumine operto,/innumerabilia; ut melius vigilare sit ante,/qua docui ratione, cavereque ne inliciaris " (vv. 1141-1145), e questi mali si trovano in un amore conquistato e corrisposto al massimo, ma in uno non contraccambiato e per il quale non si ha la forza, ce ne sono innumerevoli che puoi afferrare a occhi chiusi; sicché è meglio mettersi in guardia prima, secondo il metodo che ho insegnato, e stare attento a non essere adescato.-inopi : per conquistare l'amore come per vincere guerre o gare ci vogliono mezzi (opes ) che possono variare dalla bellezza, alla ricchezza, al potere, al genio, poiché l'amore, soprattutto quello delle donne, nasce dall'ammirazione. "Farsi amare per pietà, quando l'amore nasce solo dall'ammirazione, è un'idea molto degna di pietà"[9].-
Nelle Troiane di Euripide, Elena, secondo Ecuba, fu attirata dallo splendore di Paride: sia quello della bellezza, sia quello delle ricchezze che portava con sé e che possedeva a Troia dove l'oro scorreva a fiumi. L'adultera, lasciata Sparta, sperava di sommergere nelle spese la città dei Frigi, poiché non le bastavano i palazzi di Menelao per trasmodare nel lusso (vv. 994-995).
Quanto al suo parteggiare per i Troiani o per i Greci durante la guerra, la bellissima stava sempre dalla parte del vincitore: se prevaleva Menelao, lo esaltava per umiliare Paride, se avevano successo i Troiani, lo spartano non era più nulla ("oujde;n h\n o{de", v. 1007). La figlia di Zeus insomma seguiva la fortuna, non la virtù. In effetti non solo l'adultera di Sparta ma le femmine, umane e no, in genere hanno senso pratico e stanno sempre dalla parte di chi ha i mezzi per vincere. "Le donne non perdonano l'insuccesso", dice bene Kostantin, il ragazzo suicida de Il gabbiano [10] di Cechov ; "Se una donna non tradisce, è perché non le conviene" sostiene Pavese[11]. Inoltre:"Le puttane battono a soldi. Ma quale donna si dà altro che a ragion veduta?"[12]. Alcune tra le mie amanti, le dieci migliori diciamo e soprattutto le tre finlandesi sono state del tutto gratuite: nel senso che non si miravano ad alcun profitto: se non a quello del piacere. Siano benedette tra le donne e benedetti i frutti dei loro ventri santi.
-ut : conclusivo.-inliciaris : verbo formato da in +lacio (attiro, irretisco). Per non lasciarsi sedurre bisognerebbe mangiare soltanto l'esca, senza essere mai presi, come suggerisce Kierkegaard. Prima di innamorarci di una donna dovremmo guardare, oltre che al suo aspetto, importantissimo per carità, anche alla sua moralità, alla sua educazione, alle sue abitudini. Abbiamo già detto di Swann che, adescato, non vede l'insufficienza dell'educazione di Odette.
"Nam vitare, plagas in amoris ne iaciamur,/non ita difficile est quam captum retibus ipsis/exire et validos Veneris perrumpere nodos " (1146-1148), infatti evitare di gettarsi nelle reti d'amore, non è così difficile come una volta incappato nelle stesse reti uscirne e spezzare a forza i robusti nodi di Venere.-plagas ...retibus ...nodos : l'amore ancora una volta[13] che imbriglia, allaccia, inceppa.
Ma si tratta sempre di amori sbagliati, anzi di rapporti malevoli che tendono appunto a depotenziare e sottomettere. Come questo descritto da Pavese:"Quale mezzo migliore per una donna che vuole fottere un uomo, se non portarlo in un ambiente non suo, vestirlo in un modo ridicolo, esporlo a cose di cui è inesperto, e-quanto a lei-avere nel frattempo altro da fare, magari quelle cose stesse che l'uomo non sa fare? Non solo lo si fotte davanti al mondo, ma-importante per una donna che è l'animale più ragionevole che esista-ci si convince che va fottuto, si conserva la buona coscienza"[14]. Tale pessimismo nei confronti dell'amore e delle donne certamente non è estraneo al suicidio di siffatti autori misogini .
"Et tamen implicitus quoque possis inque peditus/effugere infestum, nisi tute tibi obvius obstes/et praetermittas animi vitia omnia primum/aut quae corpori' sunt eius, quam praepetis ac vis " (vv. 1149-1152), e tuttavia anche avviluppato e impedito potresti schivare il danno, se non ti ostacolassi da solo andandovi incontro e per prima cosa non lasciassi correre tutti i vizi dell'animo o quelli evidenti del corpo di colei che più tutte desideri e vuoi.-implicitus : da implico, avviluppo.-inque peditus : et impeditus in tmesi, da in e pes, con le pastoie ai piedi, il contrario di expeditus , sciolto. L'amore è considerato come un laccio che inceppa e impedisce la visione della realtà effettuale, quasi il corrispettivo dell' a[th, l'accecamento, che, nel IX dell'Iliade , è una "smisurata forza irrazionale"contro la quale"ogni arte dell'educazione umana, ogni buon consiglio è impotente"[15]. Infatti la donna viene definita da Ippolito ajthrovn…futovn (v.630), pianta dell'accecamento.-Infestum: aggettivo sostantivato.-tute tibi obvius obstes : il pronome personale in poliptoto e la doppia allitterazione rendono l'idea dell'uomo che ostacola se stesso andando da solo incontro al suo danno.-corpori' (=corporis ) quae sunt : i difetti del corpo sono evidenti e reali, particolarmente dopo che la donna si è spogliata, mentre gli animi vitia possono anche passare inosservati.
Si tratta di aprire bene gli occhi sui difetti dell'amante, come vedremo tra poco.
Ovidio utilizzerà questa lezione nei Remedia amoris .
"Come dimenticare che Lucrezio aveva raccomandato di non ostacolare con l'autoinganno la guarigione dall'amore? e aveva anche aggredito satiricamente la cecità di chi non vuol vedere nella persona amata i difetti dell'animo e del corpo ma preferisce nasconderli dietro un repertorio di nomignoli blandi. E così i Rimedi contro l'amore ripetono questa lezione e anzi aumentano le dosi terapeutiche: non solo saranno banditi gli autoinganni dell'eufemismo ("aprite gli occhi e chiamate i difetti col loro vero nome") ma addirittura bisognerà rovesciare in difetto ogni pregio esistente ("se è formosa, chiamala grassa; se bruna, chiamala negra; se è snella, chiamala quattrossa; se non è rozza, dì che è sfacciata".). E' questo uno dei punti in cui l'Ovidio dei Remedia sembra più esplicitamente disfare gli insegnamenti dell'Ars . Nell'Ars l'eufemismo d'amore (se è grassa, dilla formosa...) era raccomandato a chi voleva farsi amare: ma si trattava di una tecnica di corteggiamento, e la possibilità di scivolare nell'autoinganno era solo un corollario di cui il poeta scrupolosamente avvertiva i suoi discepoli (Ars amatoria 2, 647 ss.). Sia l'Ars che i Remedia fanno tesoro della lezione diatribica di cui Lucrezio era stato portavoce, la lezione secondo cui gli innamorati sono ciechi fino al ridicolo. Una proposizione da cui conseguono due opposte possibilità: se si tratta di mostrarsi innamorati, bisogna accettare di apparire ciechi e ridicoli (l'Ars ); se si tratta di liberarsi dall'amore, bisogna bene aprire gli occhi, e magari finanche vedere troppo (i Remedia )"[16].
"Nam faciunt homines plerumque cupidine caeci/et tribuunt ea quae non sunt his commoda vere " (Lucrezio, De rerum natura, IV, vv.1153-1154), infatti fanno così di solito gli uomini acciecati dalla brama e attribuiscono a queste quei pregi che esse non hanno.-cupidine caeci : clausola allitterante con il tovpo" di "aprite un po' quegli occhi,/uomini incauti e sciocchi" ripreso e spiegato dall'aria del Figaro delle nozze di Mozart-Da Ponte:"Guardate queste femmine,/guardate cosa son./Queste chiamate dee/dagli ingannati sensi/a cui tributa incensi/la debole ragion./Son streghe che incantano/per farci penar,/sirene che cantano/per farci affogar;/civette che allettano/per trarci le piume,/comete che brillano/per toglierci il lume./Son rose spinose,/son volpi vezzose,/son orse benigne,/colombe maligne,/maestre d'inganni,/amiche d'affanni/che fingono, mentono,/che amore non sentono,/ non senton pietà./Il resto nol dico./Già ognuno lo sa"[17]. Infatti era già scritto nella nostra letteratura classica.
Pesaro 28 agosto 2023 ore 18, 26 giovanni ghiselli
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[1]Cent'anni di solitudine , p. 237.
[2]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 56.
[3]La strada di Swann , p. 394.
[4] G. Ugolini, Lexis , p.369.
[5]I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 413.
[6] L. Tolstoj, Resurrezione (del 1899), p. 47.
[7]I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 413.
[8]Sei personaggi in cerca d'autore ( parte prima).
[9] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 10 marzo 1938.
[10]Atto secondo. Cechov è vissuto tra il 1860 e il 1904. Il gabbiano è del 1895.
[11]Il mestiere di vivere , 31 ottobre 1938.
[12]Il mestiere di vivere , 17 gennaio 1938.
[13] Cfr. il già citato Agamennone di Eschilo, v. 1116.
[14]C. Pavese, Il mestiere di vivere , 26 aprile, 1936.
[15]W. Jaeger, Paideia , p.72
[16]G. B. Conte (introduzione di), Ovidio Rimedi contro l'amore.
[17]Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro , IV, 8.
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