NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 20 agosto 2023

Percorso amoroso VIII stazione. Settima parte.


 

  La storia di Didone.  

 

Nella storia virgiliana di Didone  il dio Amore è associato  al dolore attraverso ferite, incendi, fiamme, follia, colpa e rovina.

Fin dal primo canto Venere invia il figlio Cupido a Cartagine  : "…ut faciem mutatus et ora Cupido/ pro dulci Ascanio veniat donisque  furentem/ incendat reginam atque ossibus implicet ignem " (Eneide I , 658-660) affinchè, mutato nel volto e nell'aspetto, vada  al posto del dolce Ascanio, con i suoi doni infiammi la regina alla follia e faccia penetrare nelle ossa il fuoco d'amore.

L'ardore erotico che arriva alle ossa è un locus reperibile già in Teocrito:"wj" ejk paido;"  [Arato" uJp j ojstevon ai[qet j e[rwti" (VII, 1O2), (sa Aristi v. 99) come Arato arda fin sotto le ossa per amore di un ragazzo.

Del resto non diciamo anche noi (almeno lo dicevamo noi ragazzi pesaresi tanti anni fa): "la amo fino all'osso?". 

Il fuoco d'amore  è attestato fin da Saffo che anzi inaugura il topos della cottura amorosa:"o[ptai" a[mme" (fr. 38 Voigt), tu mi cuoci.

Così, ancora nel VII idillio di Teocrito, c'è Licida ojpteuvomenon (v. 55), cotto da Afrodite per Ageanatte.

 Questo fuoco di Virgilio non è di cottura né purificatore, ma deleterio, velenoso, ingannevole:"occultum inspires ignem fallasque veneno " (I, v. 688), infondile un fuoco occulto e ingannala con il veleno, ordina Cipride al figlio. L'amore  è causa di infelicità, è pestifero, mortale, e Didone innamorata di Enea è predestinata alla rovina:" Praecipue infelix, pesti devota futurae,/expleri mentem nequit ardescitque tuendo " (I, 712-713), sopra tutti l'infelice, consacrata alla rovina imminente, non sa saziare il cuore e s'infiamma guardando.

L'infelicità connessa all'amore prima ancora che questo si realizzi si trova pure nella storia di Medea delle Argonautiche  di Apollonio Rodio: quando la ragazza si avvia incontro a Giasone, che è stato salvato da lei e le ha promesso le nozze, la Luna la osserva e, con parole ambigue tra la simpatia e il dispetto, le dice: il dio del dolore ("daivmwn  ajlginovei"", IV, v. 64) ti ha dato il penoso Giasone per la tua sofferenza. Va' allora e sopporta in ogni modo, per  quanto sapiente tu sia, il dolore luttuoso.

 Questo presunto amore di Medea e Giasone non dona gioia ai due amanti, al punto che l'autore rivolge un'apostrofe ad Eros quale latore di infiniti dolori: Eros atroce, grande sciagura, grande abominio per gli uomini ("Scevtli j  [Erw", mevga ph'ma, mega stuvgo" ajnqrwvpoisin" (IV, 445) da te provengono maledette contese e gemiti e travagli, e dolori infiniti si agitano per giunta. àrmati contro i figli dei miei nemici, demone, quale gettasti l'acciecamento odioso nell'animo di Medea ( oi'Jo" Mhdeivh/ stugerh;n fresi;n e{mbale" a[thn", v. 449).

 

 La negazione della gioia secondo la Wolf non è implicita nell'amore in sé ma al contrario deriva dall'odio per la vita. Ecco quanto Giasone nel suo monologo ricorda di avere sentito da Medea:"Ma tu, ascolta bene quello che ti dico, non fare del male a Glauce. Perché ti ama, ed è fragile, molto fragile…Non ne proverai gioia. Non proverai mai più molta gioia. Le cose si stanno mettendo in un modo che non solo quelli che sono costretti a subire un torto, ma anche quelli che il torto lo fanno saranno scontenti della loro vita. Del resto mi domando se il piacere di distruggere la vita degli altri non dipenda dal fatto che si ricava pochissimo piacere e pochissima gioia dalla propria"[1].

Amore dunque per diversi autori è dolore, disgrazia, accecamento.

Abbiamo già visto che Catullo  usa la parola pestis  in nesso allitterante con pernicies  per definire il proprio amore doloroso dal quale chiede agli dèi di liberarlo come da una malattia non meritata (76, 20-22). Nella parola pestis  è già implicita l'idea ancora tanto conclamata dell'Aids, chiamata la peste del secolo quando negli incidenti stradali muoiono ottomila persone all'anno e chissà quante altre di cancro dovuto ai gas delle macchine.

Ma se i rapporti umani, in primis quelli amorosi, non venissero sporcati, calunniati, annichiliti, gli uomini non comprerebbero tante macchine

"In Apollonio e in Catullo era presente la tragedia greca, specialmente Euripide. Anche Virgilio si riattacca ad Euripide direttamente (e non solo attraverso Apollonio e Catullo): il IV libro meglio degli altri dell'Eneide  ci mostra come egli utilizzi e fonda suggestioni non solo di autori vari, ma di autori che sono già tra loro in un rapporto di dipendenza, quasi ponendosi coscientemente all'estremità di una catena letteraria. Euripide poteva offrirgli spunti non solo per il personaggio di Didone, ma anche, con Giasone o altri, per il personaggio di Enea."[2].

 

E' quella  Musil definisce la  "catena di plagi"[3] che lega le grandi figure del mondo artistico l'una all'altra.

 

L'amore dunque secondo non pochi autori fa male, rende infelici, malati, ferisce, consuma, brucia. "Deve" fare male poiché chi lo vive senza sensi di colpa è meno intimidibile e ricattabile; insomma è meno soggetto al potere, ai tempi di Augusto come ai nostri.

 


 L'amore è dolore, affanno, o disgusto, ed è anche colpa: subito dopo la regina, parlando con la fida sorella Anna, celebra l'eccezionalità dell'ospite troiano e aggiunge  che se non le fossero venuta in odio i letti e la fiaccole nuziali (si non pertaesum animi taedaeque fuisset, v. 18) forse solo per l'ospite troiano avrebbe potuto soccombere alla colpa:"huic uni forsan potui succumbere culpae " (v. 19). 

 "Le vedove in Roma, pur essendo loro concesso dalla legge un nuovo matrimonio, ritenevano degno d'onore mantenersi univirae, cioè donne che avevano un solo marito"[4]. Questo naturalmente secondo gli antiqui mores al cui ripristino Virgilio vuole contribuire.

La fiaccola del resto è latrice di significato simbolico ambivalente: evoca le nozze ma anche i funerali, come risulta da questo verso di Properzio dove Cornelia dice :"viximus insignes inter utramque facem" (IV, 11, 46), sono vissuta nella luce tra l'una e l'altra fiaccola (quella delle nozze e quella del rogo funebre).

Tale fax ambigua  ritroveremo nei Remedia amoris di Ovidio (v. 38).

C'è da notare che da Virgilio non viene altrettanto incolpato l'amore omosessuale: Niso ardeva per il bell'Eurialo "amore pio " (Eneide , V, 296) di un amore santo.

 Poco dopo Didone aggiunge che dopo la morte di Sicheo solo Enea ha scosso i suoi sensi e ha colpito l'animo in modo da farlo vacillare:"Adgnosco veteris vestigia flammae " (v. 23), riconosco i segni dell'antica fiamma.  Se ne ricorderà Seneca nella Medea  la cui nutrice vedendo la furia della moglie tradita dice:"irae novimus veteris notae " (v. 394), conosco i segni dell'antica ira, poi Dante facendone una traduzione letterale nel Purgatorio  ("conosco i segni dell'antica fiamma", XXX, 48). Ogni autore conosce la tradizione e se ne avvale come base aggiungendo del suo. Così l'edificio cresce.

Dare retta a un impulso amoroso viene vissuto dalla regina come  una violazione del pudore, (Pudor , v. 27) considerato al pari di una divinità la cui offesa sarebbe meritevole di morte, una punizione che la "spudorata" si infliggerà da sola.

 

Pesaro 20 agosto 2022 ore 16, 55 giovanni ghiselli

 

 

 

 

 



[1] Medea, p. 203.

[2]A. La Penna-C. Grassi (a cura di) Virgilio, Le Opere, Antologia , p. 357.

[3]L'uomo senza qualità , p. 270.

[4] Giordano, Piazzi, Tumscitz, Integros accedere fontis , Cappelli, Bologna, 1966, p. 105.

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