Anacreonte confessa la propria follia intermittente nell'amore dissociato e contraddittorio:" ejrevw te dhu\te koujk ejrevw-kai; maivnomai kouj maivnomai" (fr. 79 D.), amo e poi invece non amo, sono pazzo e non sono pazzo.
Questi dimetri giambici contengono un motivo topico che si trova pure nella silloge teognidea ("il mio animo sta in pena per amor tuo, e non posso odiarti né amarti", vv. 1091-1092) e avrà un lungo seguito nella letteratura europea.
Molto noto è il distico elegiaco del carme 85 di Catullo:"Odi et amo . Quare id faciam, fortasse requiris./Nescio, sed fieri sentio et excrucior ", odio e amo. Forse tu domandi come faccia questo. Non so, ma sento che accade e mi tormento.
"Nota l'antitesi fra faciam e fieri : quello che accade non è un qualcosa che Catullo sia in grado di controllare, ma qualcosa che accade e che lui può solo subire, sentire nelle sue conseguenze dolorose (non a caso il poeta dice excrucior , utilizzando una forma medio-passiva, anziché usare il riflessivo me excrucio , che porrebbe con maggior vigore l'accento sul suo ruolo di soggetto attivo). L'analisi razionale non conduce al dominio dei sentimenti ma solo alla loro osservazione, all'ammissione di trovarsi in loro balia".[1]
L'ossimòro condensa la contraddizione lacerante del poeta che dissocia l'amare dal bene velle: la componente sensuale da quella affettiva, come chiarisce bene il distico finale del carme 72 :"Qui potis est?, inquis. Quod amantem iniuria talis/ cogit amare magis, sed bene velle minus "(vv. 7-8), come può essere?, chiedi. Poiché una tale offesa costringe l'amante ad amare di più ma a voler bene di meno.
Su questa linea Paolo Silenziario, autore che si colloca tra la tarda antichità e l'inizio della cultura bizantina (VI sec. d. C), in uno dei suoi circa ottanta epigrammi rimasti nell' Antologia Palatina considera l'oltraggio della donna che gli ha sbattuto la porta in faccia aggiungendo parole ingiuriose come una forma di u{bri" che eccita ancora di più il suo folle amore:"u{bri" ejmh;n ejrevqei ma'llon ejrwmanivhn" (V, 256)
Il poeta di Sirmione nel carme 8 rivolge un'apostrofe a se stesso per trovare la forza di uscire dallo squilibrio che lo tormenta:"Miser Catulle, desinas ineptire " (v. 1), povero Catullo smetti di essere folle.
"La logica che domina la poesia d'amore di Catullo è quella della contraddizione: nel compiaciuto e insistente ricorso all'autocommiserazione, che lo spinge addirittura a trasferire il proprio ego in personaggi femminili (Arianna, Berenice)...Nell'ambito della logica della contraddizione è scontato che si debba assistere a tentativi di conciliazione degli opposti: nel c. 85 l'antitesi fra bene velle e amare si condensa nell'ossimorico odi et amo , mentre nel c. 92 a Lesbia, che parla male di Catullo fa da pendant un Catullo che la copre d'improperi e tuttavia l'ama"[2].
La logica aperta al contrasto è tipica dei Greci.
Questa logica che non esclude la contraddizione secondo S. Mazzarino è tipica della cultura aristocratica dei Greci:"La nostra logica è rettilinea, astratta: quella dei Greci è sempre aperta al contrasto. Nell'Oresteia di Eschilo Divka Divkai (xymbaleî ) "Dika si scontrerà con Dika"[3]: ci possono essere due Dikai, due Giustizie nel caso dell'Oresteia , quella "matriarcale" di Clitennestra ( e delle Erinni, a cui il ghénos di Eschilo non può sacrificare) contro quella "patrilinea" di Oreste (e di Apollo, il dio degli Alcmeonidi legati al ghénos Eupatrida di Eschilo). Così in Erodoto: c'è la "tirannide" dei Greci nemica di Dike; ma c'è anche la "tirannide" di Deioce per cui i Medi hanno kòsmos ed eunomìa , e la "tirannide" di Ciro, dalla quale i Persiani ricevono "libertà", eleutherìa "[4].
Più avanti (p. 329) l'autore del pregevole studio Il pensiero storico classico aggiunge:"Tucidide esprime una società aristocratica, la quale svolge sino alle estreme conseguenze la capacità greca di contemplare teoricamente le aporie del lovgo" , ed insomma fonda il suo pensiero sullo ajntilogei'n "parlare in sensi opposti", egualmente validi. Dobbiamo ribadire questo punto: per la società aristocratica tucididea non ci può essere una Divkh sola: Divkh si scontra contro Divkh, come aveva già detto Eschilo; "utilità" si oppone a "giustizia", come nel tucidideo dialogo dei Melii. La cultura borghese di Socrate ha invece un punto fermo: e lo può trovare soltanto nell'identificazione dell'utile col giusto, nella presenza di una giustizia assoluta".
Dubito che la cultura di Socrate sia identificabile con quella borghese, anzi sono sicuro che non lo è: il borghese fonda la propria identità sul denaro che Socrate trascura se non anche disprezza.
Il tema misei'n-filei'n prosegue in Ovidio il quale negli Amores scrive:"Odi, nec possum cupiens non esse quod odi " (II, 4, 5) odio e non posso non desiderare quello che odio.
Nei Remedia amoris il poeta di Sulmona rinnega questo atteggiamento tipico di anime poco fini:"sed modo dilectam scelus est odisse puellam.;/exitus ingeniis convenit iste feris./ Non curare sat est ; odio qui finit amorem,/aut amat aut aegre desinet esse miser " (vv. 655-658), ma è un delitto odiare una ragazza amata fino a poco tempo prima;/una conclusione del genere si addice ad animi rozzi./Basta non curarsene; chi vuole finire l'amore con l'odio/o ama o con fatica smetterà di essere disgraziato.
Su questo poemetto torneremo, a lungo, tra poco, nella prossima stazione.
Ritroviamo la compresenza di stati d'animo contraddittori nell'ondeggiare psicologico e sentimentale del Petrarca:"Pace non trovo e non ho da far guerra/ e temo e spero, et ardo e son un ghiaccio,/e volo sopra 'l cielo e giaccio in terra/e nulla stringo e tutto 'l mondo abbraccio...Pascomi di dolor, piangendo rido,/egualmente mi spiace morte e vita:/in questo stato son, Donna, per vui" (Canzoniere , CXXXIV).
Saltiamo a D'Annunzio e al già citato Trionfo della morte dove troviamo le coppie amore-odio e amore-morte.
Questo romanzo (de1894) è il manifesto sensuale del superuomo o piuttosto della superfemmina: Ippolita Sanzio, amante e nemica del protagonista Giorgio Aurispa, alter ego dell'autore.
La donna aveva quel genere di bellezza che flagella gli uomini e li fa desiderosi. L'uomo sa che lei è volgare e che è lui a vestirla di idealità:" sotto al sentimento da lei suscitato si moveva quel medesimo odio: il mortale odio dei sessi. Ella è dunque la Nemica, pensò Giorgio. "Finché vivrà, finché potrà esercitare sopra di me il suo impero, ella mi impedirà di porre il piede su la soglia che scorgo..Per rivivere e per conquistare, bisognerebbe che io mi affrancassi dall'amore, che io mi disfacessi della Nemica"[5]. Ippolita operava su di lui un'ossessione carnale. Giorgio, "come il poeta dell'Epipsychidion [6] , in un'esistenza anteriore non aveva forse amato Antigone?" (p.338). Ma questo non bastava poiché "ancora una volta la Nemica esperimentava su di lui trionfalmente, il suo potere" (p. 339).
Dalla dialettica di ostilità e desiderio sorgeva una lussuria più acre e penetrante. Aurispa pensava: "La vita interiore è stata sempre ed è sempre in lei fittizia. Interrotta la mia suggestione, ella ritorna alla sua natura, ella ridiviene una femmina, uno strumento di bassa lascivia. Nulla potrà mutare la sua sostanza, nulla potrà purificarla. Ella ha il sangue plebeo, e nel sangue chi sa quali eredità ignobili! Ma io non potrò mai sottrarmi al desiderio ch'ella ha acceso in me. Non potrò mai estirparla dalla mia carne. E da ora in poi non potrò vivere né con lei né senza di lei. So che debbo morire. Ma la lascerò io a un successore? L'odio contro la creatura inconsapevole non gli si era mai sollevato con tanto impeto "(p.378). Abbiamo già detto che i due amanti finiranno precipitando "nella morte avvinti" (p. 404).
Nel romanzo Il fuoco ( del 1900), che costituisce il manifesto letterario del superuomo, la Foscarina, la grande attrice amante di Stelio Effrena l'imaginifico, è altresì la sua nemica, avvelenata dall'arte:"s'erano congiunti come in una mischia; avevano sentito nella saliva il sapore del sangue. D'improvviso, avevano ceduto a un impeto di desiderio come a una cieca volontà di distruggersi. L'uno aveva scosso la vita dell'altra come per isvellerla dalle infime radici. Spasimando avevano sentito l'acutezza dei denti nei loro baci crudeli...V'erano azioni da compiere pel mondo, conquiste da proseguire, sogni da esaltare, destini da sforzare, enigmi da tentare, lauri da cogliere. V'erano cammini laggiù, misteriosi d'imprevedibili incontri...Ma egli era là, nella carcere del suo corpo, giacente sotto il peso della donna disperata...La volontà dell'una diceva:"Io ti amo e ti voglio tutto per me sola, anima e corpo". La volontà dell'altro diceva:"Io voglio che tu mi ami e mi serva, ma non posso rinunziare nella vita a nessuna cosa che ecciti il mio desiderio". La lotta era ineguale e atroce"[7].
In conclusione :"La donna impara ad odiare nella misura in cui disimpara a sedurre"[8].
L'uomo forse si avvia piuttosto a morire come abbiamo visto nel caso di Alcibiade.
Dal momento che si tratta di follia ora passiamo alla psicoanalisi, non senza l'antichità.
Freud sostiene che l'atto sessuale contiene le due pulsioni originarie, Eros e Distruzione, già individuate da Empedocle di cui l'inventore della psicoanalisi si riconosce debitore :" Empedocle di Acraga (Agrigento), nato all'incirca nel 495 a. C., si presenta come una figura tra le più eminenti e singolari della storia della civiltà greca...il filosofo, dunque, insegna che due sono i princìpi che governano ciò che accade nella vita dell'universo e nella vita della psiche, e che essi sono in perpetua lotta tra loro. Egli li chiama filiva (amore o amicizia), e nei'ko" (discordia o odio). Uno di questi poteri-che in sostanza sono per lui "forze motrici naturali, e niente affatto intelligenze con la consapevolezza di un fine"-tende ad agglomerare in unità le particelle originarie dei quattro elementi, mentre l'altro, al contrario, mira a far recedere queste mescolanze e a separare le une dalle altre le particelle originarie degli elementi...I due princìpi fondamentali di Empedocle-filiva e nei'ko"- sia per il nome, sia per la funzione che assolvono, sono la stessa cosa delle nostre due pulsioni originarie Eros e Distruzione , la prima delle quali tende ad agglomerare tutto ciò che esiste in unità sempre più vaste, mentre l'altra mira a dissolvere queste combinazioni e a distruggere le strutture cui esse hanno dato luogo"[9].
La teoria di Empedocle può avere influenzato il proemio del De rerum natura di Lucrezio:" E' possibile che nella contrapposizione fra Venere, dea della pace, e Marte, dio della guerra, e nella possibilità dell'almeno temporanea sopravvento del principio "positivo" su quello "negativo" si debba avvertire un'influenza della teoria empedoclea relativa alla vicenda ciclica degli elementi, dominata alternativamente dai due principi cosmici di Amicizia (Filiva) e Contesa (Nei'ko" )"[10].
Il discorso viene ripreso da Freud in uno scritto successivo:"Dopo molte esitazioni e oscillazioni ci siamo decisi ad ammettere soltanto due pulsioni fondamentali: l'Eros e la pulsione di distruzione . Meta della prima di queste due pulsioni è stabilire unità sempre più vaste e tenerle in vita: unire in vita dunque; meta dell'altra, al contrario, è dissolvere nessi e in questo modo distruggere le cose. Nel caso della pulsione di distruzione possiamo supporre che il suo fine ultimo sia di portare il vivente allo stato inorganico...Nelle funzioni biologiche le due pulsioni fondamentali agiscono l'una contro l'altra oppure si combinano insieme. Così l'atto del mangiare è una distruzione dell'oggetto con il fine ultimo di incorporarlo, l'atto sessuale è un'aggressione che si propone la più profonda delle unificazioni. Da questa cooperazione e da questo contrasto delle due pulsioni fondamentali traggono origine i molteplici e variopinti fenomeni dell'esistenza. L'analogia delle nostre due pulsioni fondamentali si estende al di là del campo vivente fino a raggiungere la sfera inorganica dominata dalla coppia degli opposti attrazione-repulsione"[11].
La storia di Päivi contiene entrambe queste pulsioni. Alla fine ha prevalso quella distruttiva.
L'amore in definitiva, come la vita, è conciliazione di contrari:"to; ajntivston sumfevron kai; ejk tw'n diaferovntwn kallivsthn aJrmonivan"[12] , ciò che contrasta concorre e dai contrari bellissima armonia; questa è un grande approdo, però non è evidente a tutti:"aJrmonivh ajfanh;" fanerh'" kreivttwn"[13], l'armonia invisibile è più forte di quella visibile.
Lo stesso medico Erissimaco, che nel Simposio di Platone critica Eraclito, dice che ci sono due Amori (to;n kalovn te kai; aijscro;n e[rwta, 186d), uno bello e uno turpe, e che il primo costituisce quella ajrmoniva che è sumfwniva (consonanza) e oJmologiva (accordo) le quali sono il fine di ogni attività.
JArmoniva è formato sulla radice ajr-/aJr dalla quale deriva anche ajrevskw, piaccio, ed è imparentata etimologicamente con ars che significa dunque l'abilità di connettere (ajrarivskein) in modo adeguato e da piacevole.
Per concludere questa sezione diamo ancora qualche testimonianza sullo squilibrio amoroso che ostacola il lavoro agricolo.
Teocrito nel X idillio contrappone la savietà dell'infaticabile mietitore Milone, che non è innamorato, alla la cecità mentale di Buceo il quale, pervaso da amore, cerca di giustificarsi affermando:"tuflo;" d j oujk aujto;" oJ Plou'to" ,-ajlla; kai; wJfrovntisto" [Erw"" (vv. 19-20), cieco non è solo Pluto, ma anche Eros irriflessivo.
Virgilio alla fine della IV Georgica contrappone la serietà vincente di Aristeo alla follia perdente dell' incauto amante preso da subita dementia :" L'amore è forza ma dementia (v. 488: cum subita incautum dementia cepit amantem )"[14], quando una pazzia improvvisa prese l'incauto amante. La stessa Euridice strappata all'amante gli grida:"Quis et me...miseram et te perdidit, Orpheu,/ quis tantus furor? "(vv. 494-495), quale...quale follia così grande ha perduto me e te, Orfeo?
Abbiamo visto che G. B. Conte interpreta la figura del contadino Aristeo "scrupoloso e pio" come positiva e quella dell'amante Orfeo che disobbedisce agli dèi come negativa:" Non si può far nulla contro la volontà degli dèi; il trionfo su di loro è ingannevole. Bisogna invece seguirne scrupolosamente i voleri, riconoscerne la divinità e il potere. E ciò non è senza evidente accordo con l'ideologia delle Georgiche "[15].
Aggiungo: obbedire agli dèi anche quando impongono la crudeltà, significa poi asservirsi a qualsiasi potere.
I motivi comuni a quest'opera e a tutte le rappresentazioni idealizzate della vita rustica "corrispondono al disegno del principe, che fin dall'epoca dello scontro con Antonio aveva manifestato la sua intenzione di risollevare le sorti dell'agricoltura italica duramente provata dalle guerre civili e di creare un florido ceto di piccoli proprietari terrieri, giustamente considerati un fattore importante di stabilità sociale."[16]. Simile funzione ha l'elegia proemiale del II libro di Tibullo "nella quale il poeta prende a pretesto la festa rurale degli Ambarvalia per tessere le lodi del lavoro dei campi: l'agricoltura ha consentito all' uomo di abbandonare le abitudini nomadi e d'incivilirsi, lo ha spinto ad apprendere l'arte di costruirsi una dimora stabile e di procurarsi del cibo"[17].
Il latino dunque è anche la letteratura del potere: ebbene durante il (2001) Certamen Horatianum di Venosa del 2001 Ivano Dionigi ha detto che il compito di noi antichisti sarà quello di imparare a utilizzare questa poesia e lingua per difenderci dal potere. Latino e greco infatti servono comunque a trovare e definire la nostra identità linguistica e culturale ed è soltanto con la forte coscienza della propria identità che questa può essere difesa e magari confrontata con le altre.
Pesaro 28 agosto 2023 ore 10, 18 giovanni ghiselli
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[1]G. B. Conte (a cura di) Scriptorium Classicum 2, p. 17.
[2]P. Fedeli, Lo spazio letterario di Roma antica , I, p. 151.
[3]Coefore 461:" [Arh" [Arei xumbalei', Divka/ Divka".
[4]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico , I, p. 175.
[5]G. D'Annunzio, Trionfo Della Morte , Mondadori, Milano, 1977, p. 247.
[6]Poemetto di P. B. Shelley, del 1821.
[7]G. D'Annunzio, Il fuoco , Mondadori, Milano, 1977, p. 164-165, 167, 260
[8] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, p. 87.
[9]S. Freud, Analisi terminabile e interminabile , in Freud Opere volume 11, p. 527 e ss.
[10] Conte, Scriptorium classicum , 5, p. 18.
[11]Freud, Compendio di psicoanalisi , 1938, vol.. cit., p. 575 s.
[12]Eraclito, fr.24 Diano
[13]Eraclito, fr.27 Diano
[14]G. B. Conte, Virgilio , p. 47.
[15]G. B. Conte, Virgilio , p. 48
[16]P. Fedeli, Lo spazio letterario di Roma antica , I, p. 158.
[17] P. Fedeli, Lo spazio letterario di Roma antica , I, p. 157.
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