NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 25 ottobre 2024

Annibale. La battaglia del Trasimeno raccontata da Polibio.


 

Servilio e Flaminio vennero eletti consoli per il 217, Gerone II di Siracusa fornì aiuti. I Romani si preparavano ejnergw'~ in tutto e dappertutto Insomma : “et facere et pati fortia Romanum est[1] (Livio,  II, 9).

Gerone II è stato stratego dell'esercito siracusano, dal 275 a.C. al 270 a.C., e in seguito basileus di Sicilia, dal 269 al 215 a.C.

Allora infatti i Romani diventano estremamente temibili foberwvtatoi, qundo incombe su di loro un timore autentico (fovbo~ ajlhqinov~ ), in pubblico e in privato. Insomma il metus hostilis li potenzia.

 

Intanto in Spagna Gneo Cornelio combatteva contro Asdrubale. In Italia Flaminio avanzò attraverso l’Etruria e si accampò pro; th'~ tw'n jArrhtivnwn povlew~ (3, 77, 2) e Gaio Servilio si diresse su Rimini.

 A. nel frattempo si atteggiava a liberatore dell’Italia da Roma lasciando andare via senza riscatto gli Italici prigionieri. Poi, siccome temeva la volubilità dei Celti, ricorse a uno stratagemma tipicamente punico: si fece preparare delle parrucche (kateskeuavsato periqeta;~ trivca~, 3, 78, 2) e le cambiava continuamente per assumere aspetti diversi. Nello stesso modo cambiava i vestiti adattandoli sempre alle parrucche oJmoivw~ de; kai; ta;~ ejsqh'ta~ metelavmbane ta;~ kaqhkouvsa~ ajei; tai'~ periqetai'~ (3). Quindi decise di procedere, poiché i Celti volevano fare preda.

Decise di passare dia; tw'n elw'n-e{lo~- , attraverso le paludi, un tragitto cui Flaminio non avrebbe pensato. E’ la via porrettana, paludosa per gli straripamenti dell’Arno. Nell’aprile del 217 Annibale partì. Mise la cavalleria comandata da Magone nella retroguardia per varie ragioni soprattutto per la mollezza e l’infingardaggine dei Celti (tw'n te loipw'n cavrin kai; mavlista th'~ tw'n Keltw'n malakiva~ kai; fugoponiva~, 3, 79, 4) e per impedire un loro eventuale tentativo di fuga. La traversata fu penosa. Annibale perse un occhio. Finalmente i Punici superarono tou;~ eJlwvdei~ tovpou~ e si accamparono vicino a Fiesole. Annibale sapeva che Flaminio era ojclokovpon -–kovptw busso-, uno che batteva alle porte del favore popolare, e un demagogo perfetto, ma uno stratego incapace e pensò di provocarlo devastando il territorio.

 Lo stratego capace deve capire quali sono i punti di debolezza del carattere del nemico. I difetti di un comandante sono propevteia, la precipitazione, qrasuvth~,l’arroganza, qumo;~ a[logo~ , la passionalità scriteriata, poi kenodoxiva, la vanagloria, kai; tu'fo~ e la boria, difetti che costituiscono occasioni offerte ai nemici per sottomettere (eujceivrwta) e d’altra parte insidie per gli amici (3, 81, 9).

Annibale aveva previsto e non fallì il proprio piano. La giornata del Trasimeno era particolarmente nebbiosa e i Romani caddero in un’imboscata. Flaminio fu ucciso da un gruppo di Celti (cfr. Livio 22, 6, 3, l’insubro Ducario) e nel vallone caddero 15 mila Romani che ritennero supremo dovere to; mh; feuvgein mhde; leivpein ta;~ tavxei~ (3, 84, 7). Molti, spinti nel lago, annegarono, siccome appesantiti dalle armature. Annibale tenne prigionieri i Romani e lasciò partire gli altri senza riscatto, dicendo che era venuto in Italia  polemhvswn oujk  jItaliwvtai~, ajlla;  JRwmaivoi~ uJpe;r th'~ tw'n jItaliwtw'n ejleuqeriva~ (3, 85, 4). La sconfitta non poté essere tenuta nascosta e il pretore dai rostri disse: “leivpomeqa mavch/ megavlh/ (8), siamo stati sconfitti in una grande battaglia. Cfr. Livio: pretore Marco Pomponio disse : “pugna magna-inquit-victi sumus” (22, 7).

Bologna 25 ottobre 2024 ore 13, 36 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Tito Livio racconta che Muzio cercò di uccidere l’ etrusco Porsenna, re di Chiusi, il quale,  entrato in guerra per restaurare Tarquinio cacciato da Roma nel 509 a. C., era arrivato al Gianicolo. Il romano ammazzò per sbaglio il segretario  del re. Catturato pronunciò la famosa frase programmatica della virtù militare romana: “et facere et pati fortia Romanum est ” (Storie, II, 9), fare e sopportare atti forti è da romano. Quindi minacciò Porsenna di altri attentati. Il re ordinò di darlo alle fiamme se non avesse chiarito quali insidie lo minacciavano. Allora Muzio pose la mano destra sul fuoco del sacrificio aggiungendo stoicamente e romanamente appunto: “ut sentias quam vile corpus sit iis qui magnam gloriam vident” (II, 13), perché tu capisca che cosa di poco conto sia il corpo per chi mira a una grande gloria. Il re etrusco provò ammirazione per tanto coraggio e lo lasciò andare libero riconoscendo la sua virtù: “Tu vero abi” inquit, “in te magis quam in me hostilia ausus. Iuberem macte virtute esse, si pro mea patria ista virtus staret” (II, 14),  vai pure libero, disse, tu che hai osato atti ostili più verso di te che verso di me. Darei l’ordine di lodare il tuo valore, se questo valore stesse dalla parte della mia patria”. Muzio a sua volta riconobbe che il re sapeva rendere omaggio al valore e gli rivelò che trecento giovani nobili romani avevano giurato di tentare di ucciderlo. Muzio perse comunque la mano destra e per questo ebbe il soprannome di Scevola (mancino).                    

 

 

 

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