NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 27 ottobre 2024

Nerone per la conferenza del 16 dicembre.


 

Le date.

Nerone nasce nel dicembre del 37.

 48 Morte di Messalina.

49 Nerone  viene affidato a Seneca.

50 Nerone viene adottato da Claudio

Nel 53 sposa Ottavia.

Diviene imperatore nell'ottobre del 54.

Nel 55 uccide Britannico.

Nel 59 ammazza Agrippina.

61 episodio di Budicca.

62 uccide Ottavia. Seneca si ritira, muore Burro. Nerone si guasta con il senato. Sposa Poppea.

64 riforma monetaria e rottura definitiva con il senato

65 uccisione di Poppea

66 Tiridate si sottomette

66-67 viaggio in Grecia.

giugno 68 suicidio.

 

 

Fonti e bibliogafia essenziale  

Tacito, Historiae, Annales.

Fonti di Tacito: Fabio Rustico, molto malevolo verso Nerone,

 Cluvio Rufo, la fonte meno ostile. Svetonio Paolino (governatore della Britannia): Commentarii. Corbulone: Commentarii.

 

Seneca, Apokolokyntōsis (54), De Clementia (55). Naturales Quaestiones.

 

Plinio il Vecchio, Historia a fine Aufidii Bassi, perduta.

 

Plinio il Giovane (Panegirico di Traiano).

 

Marziale, Epigrammi.

 

Plutarco: De sera numinis vindicta; Vita di Galba, Vita di Otone.

 

Svetonio, Neronis Vita.

 

Giovenale, Satire.

 

Cassio Dione (II-III secolo) , Storia Romana.

 

S. Mazzarino, L'impero romano  , Laterza, Bari, 1973.

 

S. Mazzarino, Il pensiero storico classico , Laterza, Bari, 1974.

 

E. Cizek, La Roma di Nerone, Garzanti, Milano, 1984.

 

   M. Fini, Nerone, duemila anni di calunnie, Mondadori, 1993

 E. Champlin, Nerone, trad. it. Laterza, Roma-Bari, 2008.

 

Roberto Gervaso, Nerone, Rusconi 1978.

 

Gerolamo Cardano[1], Elogio di Nerone.

 

 

Come Svetonio procederò non per tempora sed per species (Augusti Vita, 9, 1), per argomenti.

 Nerone nacque nel dicembre del 37 e morì nel giugno del 68, a 30 anni e sei mesi. Parliamo dunque di un bambino, di un adolescente e di un ragazzo.

Il potere dell'imperatore era basato sul comando degli eserciti (imperium), il governo delle province imperiali, i cui proventi rifornivano il fiscus la cassa privata dell'imperatore e l'auctoritas morale superiore alla potestas comune  agli altri magistrati

Egli era princeps senatus, il primo dei senatori.

Nel 56 Nerone accetterà il titolo di pater patriae. Nel De clementia  che Seneca dedica a Nerone (del 55), c'è  la teoria paternalistica del potere.

Seneca ricorda a Nerone che è il principe a stabilire i buoni costumi per il suo Sato: “constituit bonos mores civitati princeps” (III, 20, 3).

La premessa è che la immensa multitudo dei cittadini illius spiritu regitur, illius ratione flectitur, è retta dal suo spirito, viene piegata dalla ragione di lui, mentre tale moltitudine si spezzerebbe per i propri sforzi se non venisse sostenuta dalla saggezza del reggitore (III, 1, 5). Nella cooperazione tra il principe e lo Stato, questo costituisce la forza del corpo del quale Cesare è il caput (III, 2, 3).


 

 Regnare del resto dovrebbe essere una e[ndoxo~ douleiva, un onorevole servire secondo la teoria stoica.

Seneca nell'ultimo capitolo del trattato  chiarisce che la tanto celebrata felicità del principe consiste nel dare salvezza a molti, nel richiamare la vita dalla morte stessa e nel meritare la corona civica con la clemenza: “Felicitas illa multis salutem dare et vitam ab ipsa morte revocare et mereri clementia civicam”. Ecco le ultime parole del De clementia : “ Haec divina potentia est gregatim ac publice servare; multos quidem occidere et indiscretos incendi ac ruinae potentia est”, potenza divina è questa: salvare le folle e i popoli interi; invece è certo  che  è la potenza degli incendi e dei crolli ad ammazzare indistintamente molte persone.

 

 Nelle successive[2] Epistole a Lucilio  il maestro di Nerone già ripudiato dal discepolo imperiale ricorda che nell'età dell'oro governare era compiere un dovere non esercitare un potere assoluto: “Officium erat imperare, non regnum”(90, 5). Secondo Svetonio, nei primi tempi del suo principato Nerone si comportò da filantropo, al punto che quando venne costretto dalle leggi a firmare una condanna a morte esclamò: “quam vellem, inquit, nescire litteras!” (Neronis vita, 10), come vorrei non saper scrivere! Inoltre soppresse o abolì le imposte più gravose, salutava i cittadini chiamandoli per nome, e al Senato, che gli porgeva ringraziamenti, rispose: “Cum meruero”, quando li avrò meritati.

 


 

Quando Tiridate di Armenia si sottomette, nel 66, la folla proclama Nerone imperator, corrispondente ad aujtokravtwr. Anche le monete portano questi titoli.

Nessuno dopo Augusto era stato imperator. E' una rivendicazione dell'autorità di Augusto.

Scipione non accettò il titolo di re per non insospettire il senato, ma si lasciò nominare imperator (Livio, 27, 19). Regium nomen, alibi magnum, Romae intolerabile esse. Regalem animum in se esse…tacite iudicarent (27, 19).  

 

Il matricidio 59 d. C.

A Nerone piaceva la Grecia ma non andò mai ad Atene e a Sparta: a Sparta per le leggi di Licurgo, ad Atene dia; to;n peri; tw'n jErinuvwn lovgon (C. D. 63, 14), per via della storia delle Erinni.

Nelle Eumenidi di Eschilo le Erinni si incitano a vicenda: "liquido sangue materno versato a terra, oh, non si raccatta: il liquido versato al suolo è perduto. Ma bisogna che tu in cambio mi dia che da te vivo possa ingozzare denso liquido rosso dalle membra"vv. 261-265).

Ma questa ipotesi viene confutata da alcuni atteggiamenti che vedremo.

Evitò anche Eleusi poiché i criminali non potevano essere iniziati ai misteri eleusini. Atene e Sparta sono nemiche dell'assolutismo. Le leggi di Licurgo erano ammirate dall'aristocrazia romana. Inoltre la Grecia classica odiava Alessandro. Nerone preferisce Corinto e la Grecia ellenistica.  Corinto è un grande centro commerciale, un mosaico etnico. A Corinto c'erano molti orientali i cui antenati avevano venerato Alessandro.

Seneca nel De beneficiis racconta che i Corinzi  offrirono a Nerone la cittadinanza con queste parole: "nulli civitatem umquam dedimus alii quam tibi et Herculi" (I, 13, 1). Nerone dunque, dopo avere partecipato ai giochi olimpici e pitici, si recherà e si fermerà a Corinto.

La visione orrenda delle Erinni spunta davanti agli occhi di Oreste , quando l'assassino della madre le vede quali donne "simili a Gorgoni/dalle nere tuniche e intrecciate/di fitti draghi"( Coefore vv.1048-1050). Tali mostri sono"le rabide cagne della madre"(v1054) che appaiono soltanto al matricida:" uJmei'~ me;n oujc oJra'te tavsd  j, ejgw; d ‘ oJrw'”, voi non le vedete queste, ma io le vedo"(1061).

Le Furie lo incalzano: “ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv” (v. 1062), sono sospinto e non posso più restare io.

T. S. Eliot pone questi versi quale epigrafe di Sweeny agonista (1930), :" You don’t see them, you don’t-But I see them: they are hunting me down, I must move on”.

Nel dramma La Riunione di famiglia (1939)   Eliot mostra come tali visioni siano un privilegio.

Secondo l'autore di The waste land  bisogna seguire le Erinni come segni mandati da un altro mondo, non cercare invano di evitarle con un'impossibile fuga in quella "deriva infinita di forme urlanti in un deserto circolare" che è la storia umana. Quelli che vedono le Erinni insomma, sono monocoli in una terra di ciechi.

Non sempre del resto c’è redenzione dopo un delitto del genere: Nerone, dopo avere ammazzato Agrippina (59 d. C.) sebbene rassicurato dalle congratulazioni dei soldati, del Senato e del popolo: “neque tamen conscientiam sceleris…aut statim aut umquam ferre potuit, saepe confessus exagitari se maternā specie verberibusque Furiarum ac taedis ardentibus” (Svetonio, Neronis vita, 34), tuttavia non poté subito né poi sopportare il rimorso del delitto, e spesso confessò di essere tormentato dalla visione della madre e dalle fruste e dalle fiaccole ardenti delle Furie.

Nerone però sopportava che gli rinfacciassero il matricidio.

 Molte invettive scritte vennero affisse con la menzione irrisoria di questo delitto, in greco

Nevrwn    jOrevsth~    jAlkmevwn[3] mhtroktovnoi.

Neovnumfon Nevrwn ijdivan mhtevra ajpevkteine (Svetonio, Vita, 39),

Nerone, Oreste, Alcmeone matricidi,

Nerone uccise la propria madre, nuova sposa.

Matricida e incestuoso.

Sentiamone un epigramma in latino

Quis neget Aeneae magna de stirpe Neronem?

Sustulit hic matrem, sustulit ille patrem. Nel doppio senso di tollere : prendere su di sé e togliere di mezzo.

Nerone era molto tollerante nei confronti di tali invettive.

 

Forse perché, come afferma Proust, il matricidio è un delitto di dignità mitologica: “ Proust ricordava che nessun altare fu considerato dagli antichi più sacro, circondato da più profonda venerazione e superstizione quanto le tombe di Edipo a Colono e di Oreste a Sparta[4].

A Roma, come in Grecia, “gli spettatori si aspettavano di trovare allusioni all’attualità nelle rappresentazioni, e gli attori si aspettavano che le loro frecciate e i loro gesti venissero còlti, interpretati, apprezzati…Nerone portava una maschera con le sue fattezze. Nessuno poteva avere più dubbi: Nerone era Oreste, il matricida, Oreste era Nerone; Nerone era Edipo, l’uomo che aveva ucciso suo padre e sposato sua madre…Per Nerone la chiave del mito di Oreste non era che egli fosse un matricida, ma un matricida giustificato…Oreste aveva ucciso la madre non solo perché la morte di suo padre e il comando di Apollo chiedevano vendetta, ma perché Clitennestra lo aveva privato della sua eredità e il popolo di Micene soffriva sotto la tirannia di una donna” Champlin, p. 124 ss.

Oreste nelle Coefore dice che molte spinte convergono a un unico fine: gli ordini del dio, la pena del padre, la mancanza di beni, e che i cittadini distruttori di Troia si trovino così soggetti a due donne: infatti Egisto da femmina ha il cuore-qhvleia ga;r frhvn (299-305).

“Un’abile recitazione poteva addirittura trcciare un parallelo tra Agrippina che aveva indicato il suo grembo, e Clitennestra che si denuda il seno che aveva nutrito Oreste: il bene comune aveva vinto sulla pietà filiale” (Champlin, 127)

Il  denudamento del seno viene attribuito da Eschilo al personaggio di Clitennestra che mostra il petto a Oreste per indurlo a compassione:" ejpivsce", w\ pai', tovnde d j ai[desai, tevknon,-mastovn"(Coefore , vv. 896-897), fermati, figlio, abbi rispetto di questo seno, creatura.

Nerone recitò anche la parte di un altro matricida: Alcmeone che aveva ucciso Erifile, la quale, per avere la collana di Armonia, aveva mandato a morire Anfiarao.

Dunque fu nerone stesso, ancora più dei suoi nemici, a mitologizzare l’assassinio di sua madre.

Amleto menziona Nerone come esempio da evitare: “O heart, lose not thy nature; let not ever/the soul of Nero enter this firm bosom;/ let me be cruel, not innatural:/I will speak daggers to her, but use none” (III, 2), o cuore, non perdere la tua natura; non lasciare che l’anima di Nerone entri mai in questo petto risoluto; lascia che io sia crudele, ma non snaturato: le mie parole saranno dirette a lei come pugnali, ma ne userò nessuno

 

Terrò la conferenza su Nerone il 16 dicembre dalle 17 nella biblioteca Ginzburg

Bologna 27 ottobre  2024 ore 11, 50. giovanni ghiselli

p. s.

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[1] G. Cardano, Pavia 1501- Roma 1576.

Medico e matematico, “uomo universale” che estende la propria indagine a tutti i campi dello scibile.

 

[2] Composte negli anni 62-63 d. C.

[3] Alcmeone uccise la madre Erifile che aveva mandato a morire in guerra il padre Anfiarao.

 

[4] Giovanni Macchia, L’angelo della notte, p. 166.

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