In “Il venerdì” di “la Repubblica” del 31 luglio 2015 trovo un riferimento, invero piuttosto generico, a testi Greci. Il titolo dell’articolo è Cinquanta sfumature di rosso (pp. 65-66). L’autore Giuliano Aluffi. Sentiamolo, poi vediamo di precisarlo.
Buona parte dell’articolo è virgolettato in quanto ripreso da un saggio Red, A History of the Redhead (Black dog &Lewenthal), pubblicato dalla scrittrice e storica dell’arte inglese Jacky Colliss Harvey.
“Un popolo dove i capelli rossi erano frequenti era quello dei Traci, come racconta Erodoto. Per tutta l’antichità Traci è stato sinonimo di barbari: erano feroci guerrieri, che si rifiutavano di edificare città e preferivano vivere in gruppi tribali, (cosa che favorì, tra l’altro, la manifestazione di geni recessivi( in continua guerra tra loro e con chiunque li disturbasse” spiega la storica.
“A differenza dei Greci, gli uomini traci non pretendevano fedeltà matrimoniale dalle loro donne, cosa che portava alla nascita di molti figli illegittimi, poi venduti come schiavi. Nelle case degli ateniesi avere almeno uno schiavo trace era la norma. Così all’associazione mentale negativa tra “capelli rossi” e “barbaro impulsivo” si aggiunse anche l’etichetta dequalificante di “sottomesso”. Lo si vede nella commedia greca: il personaggio dello schiavo ha sempre una parrucca rossa o bionda, per sottolineare la diversità dal vero greco”[1].
Lo stesso Aristofane si fa interprete di questa forma di razzismo nelle Nuvole, dove il coro si lamenta di “stranieri e teste rosse” così abbondanti in Grecia. Un simile disprezzo si diffuse anche presso i Romani”.
Per quanto riguarda la commedia latina, l' aggettivo rubicundus sembra qualificare la rozzezza. Plauto lo usa per dipingere la faccia del rufus (rossiccio) schiavo Pseudolo tanto geniale quanto volgare:"ore rubicundo" (v. 1219).
La Penna indica "qualche altro passo interessante del III libro dell'Ars amatoria di Ovidio dove la polemica contro il gusto arcaizzante ritorna in forma satirica. Ecco il quadro dell'incessus rozzo (303 sg.): illa, velut coniunx Umbri rubicunda mariti,/ambulat, ingentis[2] varica fertque gradus "[3], quella cammina come la moglie rubizza di un marito umbro, e procede a grandi passi con le gambe divaricate.
Per il rubicunda cfr. la matrona sabina dei Medicamina faciei 13.
Sono versi che contrappongono "con disprezzo, anche se temperato dalla comicità, la rusticitas dei tempi antichi"[4] al lusso moderno:"Forsitan antiquae Tatio sub rege Sabinae/maluerint quam se rura paterna coli,/cum matrona, premens altum rubicunda sedile,/adsiduo durum pollice nebat opus,/ipsaque claudebat, quos filia paverat, agnos,/ipsa dabat virgas caesaque ligna foco " (Medicamina faciei, vv. 11-16), forse le antiche Sabine sotto il re Tazio preferirono curare i campi paterni piuttosto che se stesse, quando la sposa, seduta rubizza sull'alto sgabello, filava con pollice instancabile il suo duro lavoro, e lei stessa chiudeva gli agnelli che la figlia aveva portato al pascolo, lei stessa metteva verghe e legna fatta a pezzi sul focolare.
Le antiche Sabine dunque erano delle tanghere prive di grazia
Per Aristofane, ricordo le Rane.
Cleofonte, l’ultimo grande demagogo della guerra del Peloponneso, contrario alla pace con gli Spartani fino all’ultimo, viene messo alla gogna nella parabasi delle Rane di Aristofane come incapace di pronunciare correttamente la lingua dei veri Ateniesi: sulle sue labbra ambigue orrendamente freme la rondinella[5] tracia (vv. 679-681), e, poco più avanti è messo tra gli stranieri, di rame, rossi di pelo, mascalzoni e discendenti da mascalzoni, ultimi arrivati, dei quali ora la città si serve per ogni uso (toi`~ de; calkoi`~ kai; xevnoi~ kai; purrivai~, kai; ponhroi`~ kajk ponhrw`n eij~ a[panta crwvmeqa, 730-731) ma che in passato non sarebbero stati utilizzati facilmente nemmeno per caso come vittime espiatorie: “oujde; farmakoi'sin eijkh'/ rJa/divw~ ejcrhsat j an” (vv. 730-733).
“Noi diremmo ‘spaventapasseri’ o ‘Guy Fawkeses’. La parola significa letteralmente ‘medicine umane’, ovvero ‘capri espiatori’ (G. Murraty, Le origine dell’Epica Greca, p. 24).
Torno all’articolo di Aluffi e concludo con il riferimento a Catullo
“Per le donne invece era segno di preziosità, la carnagione chiara e i capelli rossi suggeriscono uno stereotipo diverso: l’idea dell’harem”. Sono ancora parole citate dalla storica
Catullo mette la carnagione chiara tra le doti fisiche gradite a molti, ma non sufficienti secondo lui, quando mancano la venustas, la grazia, e la mica salis , il grano di sale, a costituire una bella donna. Tale è solo Lesbia :"Quintia formosa est multis, mihi candida, longa, recta est…Lesbia formosa est " (86, 1-2, 5), Quinzia per molti è bella, per me di carnagione chiara, lunga, diritta…Lesbia sì che è bella. Per quanto riguarda le rosse, ricordo la bononiensis Rufa. Rufulum fellat (59, 1). Rossella o Rossana specializzata nella fellatio. Costei era pure bustirapa: rubava il cibo destinato ai morti.
Bologna 26 ottobre 2024 ore 11, 11 giovanni ghiselli
[1] Gli Achei dell’Iliade e dell’Odissea peraltro sono spesso biondi, come Menelao (Odissea, I, 285) ndr
[2] =ingentes.
[3] Op. cit., p. 189.
[4] La Penna, op. cit., p. 199.
[5] Tra le altre cose la rondine è in sé un animale ambiguo: significa il ritorno della primavera e dell’amore ma non “ci sono dubbi sul fatto che la rondine, nella cultura antica, funzioni anche come presagio di sventura. Cleopatra fu terrorizzata dal fatto che delle rondini avevano fatto il nido attorno alla sua tenda, e sulla nave ammiraglia (Dione Cassio, 50, 15)”. (M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 137). E' il dark side della rondine.
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