NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 23 ottobre 2024

Greci, Latini e Germani . Quindi graeculi, italiani e tedeschi.


 

La necessità della memoria storica. Il referendum dei Greci. Cicerone (Orator). Pavese. Leopardi.

Dopo questa lunga introduzione, ritorno a “il venerdì” di “la Repubblica” del 17 luglio 2015. Vi trovo a un articolo di Matteo Nucci (Nella pancia della Grecia che ha detto il grande No, pp. 36-37): “I tedeschi non capiscono assolutamente nulla” mi ha detto Maria, una cinquantacinquenne di Exharia “perché non vogliono ricordare il passato (…) Più di una persona mi ha spiegato come questo deficit di memoria storica sottragga ai tedeschi la capacità di giudicare correttamente quel che sta accadendo”.

 

Il referendum consultivo in Grecia del 2015 si è tenuto il 5 luglio ed ha riguardato l'approvazione del piano proposto dai creditori internazionali per parte della Commissione europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale (la cosiddetta trojka)

Nello specifico, il popolo doveva approvare o rigettare le proposte avanzate alla Grecia da UE, FMI e BCE-. Ha rigettato. Ero in Grecia e ne sono stato contento. Ho cantato Bella ciao con loro in piazza Sintagma.

.

 

Dunque non ricordare e non conoscere il passato significa non capire e non crescere.

Lo dichiara  Cicerone nell'Orator [1]: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?

 

Restare bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa buona.

 

Lo fa notare C. Pavese:"C'è qualcosa di più triste che invecchiare, ed è rimanere bambini"[2].

 

Leopardi trova che nella sua età prevalgano queste “creature”, giovani e anziane, infantilmente insensate[3]: "Amico mio, questo secolo è un secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a nascondere per vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E questi buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli altri tempi hanno fatto gli uomini, e farlo appunto da ragazzi, senza altre fatiche[4] preparatorie"[5].


 

 

Importanza dello studio del greco e dell'umanesimo come amore dell'umanità. Citazioni sofoclèe. Andreotti e Adele Faccio in altri tempi.

 

Ancora in "il venerdì" di "la Repubblica" del 17 luglio (p. 154), Enrico Deaglio nota che " Italia e Germania sono i due paesi in cui lo studio del greco classico è stato, fin dai primi dell'Ottocento, la pietra angolare dell'educazione della classe dirigente. In Prussia a partire dal 1810, nel Gymnasium concepito da Wilhelm Von Humboldt, in un'epoca di spinta romantica e fervore neoclassico; in Italia dai primi programmi della scuola pubblica post unitaria, amplificati dalla riforma di Giovanni Gentile del 1924. L'Italia divenne l'unico paese europeo in cui al Liceo classico il greco antico si studiava ogni giorno dai tredici[6] ai diciotto (…) Contestato da più parti come anacronistico ed elitario, lo studio del greco antico è oggi purtroppo in fortissimo declino; si preferiscono insegnamenti più monetizzabili.

In Italia gli studenti del liceo classico sono dimezzati negli ultimi otto anni fino a scendere al 5, 5 per cento del totale. In tutta Italia non sono più di 35 mila e i professori di greco sono ridotti a poche centinaia, con serie difficoltà a trovare un posto di lavoro. Peccato. Uno che in parlamento sapesse rivolgersi ai tedeschi citando loro, in greco, qualche esempio di tirannicidio, ci sarebbe stato comodo; mentre noi sforniamo solo inutili twittatori. Matteo Renzi aveva cominciato bene, l'anno scorso parlando a Strasburgo di 'generazione Telemaco'. Purtroppo, si è capito troppo presto che non era farina del suo sacco".

 

Tsipras di recente ha ricordato l'Antigone di Sofocle per significare la necessità che la politica non si discosti completamente dall'umanesimo della figlia di Edipo che dà un esempio di disobbedienza al tiranno e al suo decreto antiumano dicendo:" ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore.

"Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone  di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera dell'uomo"[7].

 

Un'altra espressione di umanesimo è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo  nell'Edipo a Colono : "e[xoid  j ajnh;r w[n" (v.567), so bene di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Il sapere di essere uomo che cosa comporta? Significa incontrare un uomo degradato a farmakov~, come è il vecchio Edipo , provarne pietà, incoraggiarlo ponendo domande::"kaiv s j oijktivsa"-qevlw  jperevsqai, duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t  j e[cwn", vv. 556-558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui. Quindi significa ascoltare e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io-dice il re di Atene al mendicante cieco-sono stato allevato fuggiasco come te"(vv.562-563)."Dunque so di essere uomo- e[xoid  j ajnh;r w[n- e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567-568).

 

 A proposito di citazioni sofoclèe da parte di politici, una mia collega che fu anche deputata nel tempo della prima Repubblica, Giancarla Codrignani, mi disse che in una seduta parlamentare Giulio Andreotti cercò di zittire Adele Faccio citando le parole di Aiace che  in procinto di suicidarsi zittisce l'amante Tecmessa :"guvnai, gunaixi; kovsmon hJ sigh; fevrei"[8], donna, alle donne il silenzio porta ornamento.


 

Scritte in greco moderno nelle manifestazioni del luglio 2015 nella piazza Sintagma di Atene.

 Ero ad Atene nei giorni caldi successivi al referendum di luglio (dhmoyhvfisma)

Ho provato compiacimento per la mia capacità di decifrare molte scritte in greco moderno sui muri o negli striscioni portati dai manifestanti. Faccio qualche esempio :  diagrafhv tou creou~ -cancellazione del debito- cfr.  la seisavcqeia di Solone.

jAnatrophv th~ politikh`~, tou maurou metwpou th~ kubernhth~  capovolgimento della politica, della fronte scura del governo

La più diffusa: Oci mecri to telo~,  no fino alla fine.

Oi trapeze~ sta ceiria tou laouv, le banche nelle mani del popolo.

Oci sth sumfwnia, no all’accordo.

Rhxh me th litovthta pash qusiva, basta all’austerità con ogni sacrificio.


 

Un articolo di Massimo Cacciari e le diversità di Germani, Greci e Latini.  Tacito. Plutarco. Hölderlin

 

Leggo in “la Repubblica del 21 luglio (p. 27) un articolo di Massimo Cacciari intitolato Germania, Gigante d’Europa senza auctoritas.

Il filosofo veneziano nota “che tra cultura tedesca (cultura non in senso letterario o vetero-umanistico, ma come senso comune e forma mentis ) e mondo mediterraneo la relazione sia sempre stata quella tra distinti inseparabili, in costante e fecondo alternarsi di amore e odio, di nostalgia e repulsione”  

  Tale inseparabilità dunque va interpretata nei due aspetti teorico e pratico.

“Intanto, essa si pone in termini completamente diversi nei confronti del mondo latino (die Welsche) e di quello greco”.

 

 

Una diversità già evidenziata da Tacito nella Germania scritta negli ultimi anni del I secolo d. C.

Vi si trovano alcuni giudizi, o pregiudizi, ancora vivi a proposito dei Tedeschi

 Lo storiografo latino descrive con ammirazione preoccupata questa gens non astuta nec callida (22, 3), non astuta né scaltrita, un popolo comunque bellicoso che considera vergogna massima avere abbandonato lo scudo (scutum reliquisse praecipuum flagitium , 6) e chi se ne è macchiato viene escluso dalle cerimonie sacre e dalle assemblee, e, anzi, molti usciti vivi dalla guerra misero fine alla loro vergogna con l'impiccagione. A questa gente la pace è sgradita (ingrata genti quies, 14) ed è più  difficile persuaderli ad arare la terra e ad aspettare il raccolto che a provocare il nemico e a guadagnarsi delle ferite:" Nec arare terram aut expectare annum tam facile persuaseris quam vocare hostem et vulnera mereri ; pigrum quin immo et iners videtur sudore adquirere quod possis sanguine parare (14), che anzi sembra pigrizia e inettitudine acquistare con il sudore quello che ci si può procurare con il sangue.

Germani,  laeta bello gens si legge ancora nelle successive Historiae[9] (IV, 16), gente contenta di fare la guerra.

  Nel mangiare sono frugali:"Cibi simplices, agrestia poma, recens fera aut lac concretum : sine apparatu, sine blandimentis expellunt famem", i cibi sono semplici, frutti selvatici, selvaggina fresca o latte rappreso: senza mense sontuose, senza cibi stuzzicanti, scacciano la fame.

Nei confronti della sete però non hanno la medesima moderazione,  quindi, se i Germani vengono assecondati nella tendenza all'ubriachezza, fornendo loro quanto agognano, potranno essere vinti più facilmente con i vizi che con le armi  :" diem noctemque continuare potando nullum probrum 22 (…)  Adversus sitim non eadem temperantia. Si indulseris ebrietati suggerendo quantum concupiscunt, haud minus facile vitiis quam armis vincentur " (23).

Altra debolezza loro è la superstizione (10), poi quella del gioco d'azzardo  (alea, 24) nel quale, dopo aver perduto tutto, stabiliscono come posta la libertà personale e, se  perdono l'ultima mano, mantengono la parola data in questo vizio riprovevole con un'ostinazione in un brutto difetto ( in re prava pervicacia) che loro chiamano lealtà (fidem).

Ma la tara più grande di questa gente è l' odium sui  (33), l'odio degli uni per gli altri, e l'accorato auspicio di Tacito è che questa disposizione autodistruttiva sussista per il bene di Roma.

“Maneat, quaeso, duretque gentibus, si non amor nostri, at certe odium sui, quando urgentibus imperii fatis, nihil iam praestare fortuna maius potest quam hostium discordiam "(33), rimanga e duri a lungo, speriamo, tra quelle genti, se non l'amor di noi, almeno l'odio tra loro, poiché, incombendo il destino dell'impero, niente di meglio ci può concedere la fortuna che la discordia dei nemici.

Questa speranza della lotta tra i Germani è "un motivo-nota  Mazzarino[10]- che arriverà sino ad Orosio: geri bella gentium , Or, VII, 43, 14-15", ossia al V secolo d. C.

 

Forse la divisione dei Tedeschi in due Stati dopo la seconda guerra mondiale era un modo di tenere vivi i contrasti tra loro con due sistemi diversi. Un mio allievo ebreo disse che se la Germania fosse stata riunificata, i Tedeschi avrebbero fatto la terza guerra mondiale.

 

 Più avanti (Germania, 37) Tacito ricorda che il pericolo dei Germani incombe sull'Italia da circa 21O anni, ossia dalla disfatta inflitta dai Cimbri nel 113 a. C. a Norēia (in Carinzia) al console Papirio Carbone, quindi lo storiografo fa del sarcasmo sulle vittorie  tentate nei confronti di questo popolo bellicoso per il quale come si è detto, la guerra è una gioia:" tam diu Germania vincitur ", da tanto tempo si vuole vincere la Germania, e afferma che i Germani in realtà sono i nemici più temibili :"quippe regno Arsacis acrior est Germanorum libertas ", poiché la libertà dei Germani è più fiera del regno di Arsace[11]. Poi lo storico passa in rassegna le altre sconfitte subite dalle legioni romane (quella di Cassio Longino nel 107 a. C., quella di Servilio Cepione e Manlio Massimo ad Arausio nel 105, quella di Varo a Teutoburgo nel 9 d. C.), e mette in rilievo il costo (nec impune) delle vittorie di Cesare (su Ariovisto), di Druso, Tiberio, Germanico (su Arminio);  infine lo storiografo chiude il capitolo facendo dell'ironia sui trionfi di Domiziano:"Nam proximis temporibus[12] triumphati magis quam victi sunt ", infatti nei tempi più recenti (i Germani) hanno subito più trionfi che sconfitte.

La loro regione viene descritta  come  " informem terris, asperam caelo, tristem cultu aspectuque" (Germania, 2), orribile per il terreno, rigida per il clima, triste ad abitarsi e a vedersi, e gli unici uomini che possono vivere sono i nativi (indigenae). Per quanto riguarda il loro aspetto e la loro costituzione essi hanno truces et caerulei oculi, occhi minacciosi e azzurri, rutilae comae, chiome rossicce, magna corpora et tantum ad impetum valida (4), corpi grandi e gagliardi solo per l'assalto.

 

Si pensi all’attacco nazista dell’operazione Barbarossa che una volta perduta la spinta iniziale si è risolto in una catastrofe per i Tedeschi.

 

Dato Il clima e la natura del suolo, i Germani si sono abituati al freddo e alla fame (frigora atque inediam caelo solove adsueverunt, 4); la terra in generale è aut silvis horrida aut paludibus foeda (5), irta di selve oppure orribile per le paludi[13].

Negli Annales, l’ultima opera di Tacito, il nipote dell’imperatore Tiberio, Germanico   tiene un discorso ai suoi legionari prima della battaglia vittoriosa di Idistaviso (16. d. C.) con l'intenzione di minimizzare la forza e il valore diei nemici:"Iam corpus ut visu torvum et ad brevem impetum validum, sic nulla vulnerum patientia: sine pudore flagitii, sine cura ducum abire, fugere, pavidos adversis, inter secunda non divini, non humani iuris memores." ( II, 14), il loro corpo poi, come è minaccioso a vedersi e gagliardo per un breve assalto, così non ha resistenza alle ferite: senza vergogna del disonore, senza curarsi dei capi, si allontanano, fuggono, spaventati nelle avversità, immemori nel successo di ogni legge divina e umana.

 

Torno a Cacciari che ricorda i grandi Tedeschi cultori della Grecità: da Herder a Heidegger a Jaeger[14].

 

“Tuttavia, nessuno forse ci aiuta a intenderne il vero senso meglio del più grande lirico tedesco, Hölderlin. Gli dèi della Grecia sono fuggiti, andavano un tempo tra i mortali, ma ora vivono nella stessa assenza. Ciò che verrà non è quell’Ellade, non sono quegli dèi”.

 

Tutto era pieno di dèi, come pensò Talete:"Qalh'" wj/hvqh pavnta plhvrh qew'n ei\nai"[15] Il popolo greco "nella vita della natura avvertiva la presenza della divinità"[16].

Questa presenza del numinoso però a un certo punto scompare.

Già Sofocle le cui tragedie si oppongono alla sofistica, nell’ Edipo re scrive  " e[rrei de; ta; qei'a", tramontano gli dèi  (v. 910).

 

Plutarco nel De defectu oraculorum: racconta che durante la navigazione verso l’Italia, dall’isola di Paxo[17]  si sentì una voce che chiamava Tamo, il pilota egizio. Quindi disse: “ quando giungi nei pressi di Palode, annuncia che il grande Pan è morto! Pa;n oJ mevga~ tevqnhke”(16 c).

Tamo lo fece. Non c’era vento né onde e Tamo gridò da poppa con lo sguardo rivolto alla riva. Allora si levò un immenso gemito, non di uno ma di tanti, insieme a grida di stupore. Tiberio Cesare chiamò Tamo, poi fece fare delle ricerche e i tanti filologi della corte dissero che Pan era figlio di Ermes e di Penelope,

Lo smentisce D’Annunzio, “Mentì, mentì la voce dinanzi alle dentate –Echinadi tonante nella calma dell’estate-verso la nave…Mentì la-voce-che gridò: “Pan è morto!”. La bellezza del mondo sopita si ridesta.-Il mio canto vi chiama a una divina-festa”[18].

 

Quindi, continua Cacciari: “Verrà il loro erede. E questa è la Germania. Il viaggio in Grecia significa, in realtà, la trasmigrazione in Germania dello spirito greco. La Grecia non è più in Grecia, e soltanto il grembo tedesco potrà rigenerarla. Dove il genio di Atene sarà fatto di nuovo valere?  Sulle rive dei fiumi tedeschi, nelle sue nobili città. E perché qui soltanto? Perché questo è il luogo “dove il lavoro si svolge silenzioso negli opifici e la scienza, il sapere, illumina e orienta lo stesso artista zum Ernste, alla serietà. Queste visionarie parole del grande inno Germanien forniscono la traccia più preziosa per intendere, nella sua sostanza meta-politica il vitale rapporto della cultura tedesca con il mondo classico mediterraneo. Questo mondo appare in sé un mero passato, e soltanto “traslato” in lingua tedesca (…) ha un avvenire”.

L’inno di Joseph Haydn?

La Germania conclude Cacciari non deve rinunciare al valore etico della “serietà” del proprio lavoro. Una serietà che “contraddice dalle fondamenta ogni pretesa o istanza di dominio (…) Non è l’eccesso di auctoritas tedesca a distruggere l’Europa, ma piuttosto l’assenza di ogni auctoritas”.

 

 Manca una sovranità che operi efficacemente “L’unica-sovranità- al momento disponibile è quella delle strutture tecnico-amministrative-finanziarie, che mai ha avuto e mai avrà legittimità e autorità culturale-politica. Tantomeno potranno averla gli staterelli europei ognuno per proprio conto. Ma alla autorità e sovranità di una nuova Europa politicamente unita chi oggi sta seriamente pensando e lavorando?

Soltanto costui potrebbe assumerne in futuro anche la guida politica. Tranquilli, non sembra proprio poter essere la Germania. Purtroppo”. Finisce così l’articolo di Cacciari.

 

 Alla fine del romanzo epistolare Iperione (1799) il protagonista eponimo arriva tra  i Tedeschi diversamente da Edipo a Colono “dove il bosco sacro lo accolse e anime nobili gli si fecero incontro. Come fu diverso ciò che accadde a me! Barbari da tempi immemorabili, resi ancor più barbari dal loro zelo, dalla loro scienza e dalla religione stessa, profondamente incapaci di ogni sentimento divino, troppo corrotti fino al midollo per cogliere la gioia delle sacre grazie, offendevano un’anima delicata con i loro eccessi e con la loro meschinità ed erano vuoti e disarmonici come i cocci di un vaso gettato”(p. 164)

 

 

 La Germania dunque non può interpretare il ruolo assunto da  Ottaviano Augusto il quale  nel penultimo capitolo (34) delle Res Gestae scrive che ebbe il titolo di Augusto e uno scudo d’oro nella curia con l’iscrizione che gli era stato offerto clementiae et iustitiae et pietatis causa. 

Da allora, afferma, fui superiore a tutti auctoritate senza avere però maggiore potestas dei colleghi.

Nelle Baccanti di Euripide, Tiresia dice al re di Tebe:

via Penteo, da’ retta a me:

non presumere che il potere (to; kravto") abbia potenza (duvnamin) sugli uomini (vv. 309-  310)

 

Tacito del resto smonta le affermazioni dell’imperatore e nota che il presunto  consensus universorum fu in realtà una forma di servilismo: “At Romae ruere in servitium consules, patres, eques. Quanto quis inlustrior, tanto magis falsi et festinantes” (Ann. I, 7) 

 Mutato l’ordinamento politico, nulla era rimasto delle antiche tradizioni: omnes, exūta aequitate, iussa principis aspectare (Annales, I, 4), tolta la veste dell’uguaglianza, tutti aspettavano gli ordini del principe.

All’inizio delle Historiae lo storiografo scrive che dopo la battaglia di Azio pacis interfuit convenne alla pace omnem potentiam ad unum conferri (I, 1), tuttavia simul veritas pluribus modis infracta, nello stesso tempo la verità venne in diversi modi guastata, prima per l’insensibilità verso la cosa pubblica, come cosa estranea, mox libidine adsentandi, per la passione di adulare o viceversa per l’odio verso il padrone.

 

Hölderlin in Iperione (1799) nota che “Dalla bellezza spirituale degli Ateniesi derivò necessariamente il loro senso della libertà. L’egizio sopporta senza dolore il dispotismo dell’arbitrio, il figlio del Nord sopporta senza avversione il dispotismo della legge, l’ingiustizia sotto forma di diritto” (, p. 99).

 

Bologna 23 ottobre 2024 ore 20, 44 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Del 46 a. C.

[2]Il mestiere di vivere  , 24 dicembre 1937.

[3]Ricorda  l'attardato bambino pargoleggiante dell’età d’argento di Esiodo. Cresceva ajtavllwn, mevga nhvpio~, facendo capriole molto stupido, incapace di parlare (Opere, 131) in casa della madre fino a cento anni. Divenuti adulti, campavano poco, per la loro stupidità e violenza. Si può pensare ai ragazzi attuali tacciati di essere "bamboccioni"  

[4] Di nuovo il topos della fatica necessaria (cfr. cap. 3).

[5] Dialogo di Tristano e di un amico (1832).  E’ una delle Operette morali delle quali l’autore scrive:"Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone , 1394) .  Al capitolo 66 citerò altre parole di Tristano all’amico.

 

[6] Veramente dai quattordici ai diciannove. Il latino dagli undici ai diciannove ndr

[7]E. Fromm, La disobbedienza e altri saggi , p. 63.

[8] Aiace (del 456), v. 293.

[9] Composte entro il 110.

[10]Op. cit., p. 462. ,

[11] Fondatore del regno dei Parti (nel 256 a. C.), altri nemici tradizionali di Roma.

[12] Negli anni 83-85 Domiziano condusse campagne militari contro i Chatti, situati sulla riva destra del medio Reno. Il trionfo celebrato nell'83 viene ricordato anche da Svetonio ( Vita di Domiziano, 6). 

  In realtà queste campagne avevano rinforzato il confine renano dell'impero con la creazione degli agri decumates , ossia dei terreni sottoposti alla decima.

[13] Questo topos etnografico si trova pure in Seneca (De ira, I, 11; De Providentia 4, 14) con valenze diverse.     

[14] Secondo Jaeger l’ aspirazione alla gloria e alla perfezione della virtù viene intesa da Aristotele "quale emanazione d'un amor di sé elettissimo, la ". L'espressione si trova nell'Etica Nicomachea che  séguita con questo brano: L'autore di Paideia  cita l’ Etica Nicomachea di  Aristotele a prposito della filautiva (Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti”, IX, 8, 1169 a 18 sgg.) e conclude:  "In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza: l'eroismo"( Paideia , I vol.,  pp. 46 e 47).

 

[15] Aristotele, Sull'anima, 411a 8.

[16] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 545. Virgilio  nella terza Bucolica scrive “Iovis omnia plena; ille colit terras, illi mea carmina curae” (vv. 60-61), tutto è pieno di Giove; egli coltiva le terre, a lui stanno a cuore i miei canti.

 

[17] Situata tra Corcira e Leucade, davanti all’Epiro

[18] L’annunzio di Maia, Laus vitae.

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